P.A.S.T. Quartet
La serena modestia: passione fra Jazz e Teatro
"Baffo della Gioconda", Via degli Ausoni 40, Roma, 18 giugno
2010
articolo di Fabrizio Ciccarelli e Andrea Valiante
intervista di Fabrizio Ciccarelli
Torquato Sdrucia - Soprano sax
Paolo Piva - Alto sax
Stefano Arduini - Tenor sax
Adriano Piva - Baritone sax
Venerdì 18 Giugno 2010 nel cuore di
una delle zone più vive di Roma, San Lorenzo, è andato in scena, organizzato dall'Associazione
Culturale "Il Baffo della Gioconda", un concerto dalle venature
musicali davvero originali. A creare l'atmosfera delle serate migliori, intessendo
fresche scritture, è il P.A.S.T. Quartet, un ensemble innovativo di soli
sassofoni composto da Torquato Sdrucia al Soprano, Paolo Piva
all'Alto, Stefano Arduini al Tenore e Adriano Piva al
sax Baritono. Un credo in assoluto tra i più nobili (e per questo, purtroppo,
concepito dai più come "nicchia") ispira la vena compositiva del gruppo: creare
una contaminazione fra musica e poesia, adattare la (propria) musica alle fascinose
cornici dei teatri e, soprattutto, rielaborare la comune passione per il jazz nella
sua forma storica iniziale, prediligendo la scrittura di brani di propria composizione.
E' a partire dalla struttura particolarmente atipica della band
che si evince l'intricato fulcro di questi complessi arrangiamenti: una difficile
armonizzazione dei grandi generi del passato come lo swing, il tango e il ragtime,
pentagrammata sulla base distinta e peculiare che concerne un quartetto di sassofoni
così strutturato. I brani acquistano in questa maniera un senso profondamente nuovo,
luminoso, venato di cromature a volte tanto raffinate da reggere addirittura il
peso della scrittura originale, come accade nel pensoso e solare arrangiamento della
gershwiniana "Summertime".
Il live on stage non soffre l'assenza della consueta chiave poetica, prevista
in scaletta nella suite "Una settimana qualunque", per la mancanza della
voce recitante: la scelta non scalfisce la voglia di espressione dei musicisti che
catturano ugualmente le suadenti sonorità dell'intera composizione strumentale palesando
la loro forte empatia con scritture ampie e formalmente equilibrate. I soli si alternano
con sobria consapevolezza dell'armonia generale, esprimendo con sensibilità generi
diversificati e sempre coinvolgenti come il caldo swing di "Domenica" e l'emotiva
melodia disegnata in "Giovedì".
Il passaggio alla seconda parte della serata è tutto in
"Arduini Tango", squisito melange dalla scrittura pulita e ariosa
a firma dell'omonimo tenore, e nelle evergreens "Londonderry air",
ove il sax soprano si muove con nonchalance tra le morbide armonie, e la
splendida"Bahìa" di Ary Barroso. Quest'ultimo disegnato riprendendo la lettura
di
Stan Getz e Charlie Byrd, coinvolge particolarmente per la sua sinuosa leggerezza
ritmica, il miglior preludio all'interessante rielaborazione di "Porgy and Bess"
(il che enfatizza un particolare interesse del quartetto per le caratteristiche
di completezza e linearità proprie delle suite).
Oltre alla già citata "Summertime" e all'uniforme espressività
che gli strumentisti imprimono alle composizioni, si muove affabile l'interpretazione
di "It ain't necessarily so" in cui il sax soprano riprende con impressionistico
controllo di intensità la linea del clarino originale. La chiusura è affidata a
due brani originali scritti da Adriano Piva: il jazz tango di "Waitin'
for Carmen" e la delicata melodia, scandita "sotto voce"dall'alternanza puntuale
dei fiati, di "Fiammetta my dear", un bis romantico dedicato alla consorte.
Il live ideato dal P.A.S.T. Quartet è intenso
e di considerevole senso artistico, costruito sulla base di una musica sempre viva
e trascinante quale quella del jazz anni '30, senza distinzione tra jazz bianco
o nero: una gradevole serata costruita e levigata da una band di inusuale segno
artistico, di quelle che ad oggi, in verità, raramente si ascoltano negli "intimi"
locali e nei piccoli teatri, quelli che furono, e purtroppo più non sono, gli ambienti
più congeniali alle blue notes.
A fine performance parliamo con Adriano Piva, il band leader.
Raccontaci la tua esperienza musicale
Adriano Piva è uno di quei
rari jazzisti che ha deciso di dividere la propria vita artistica
fra le Blue Notes ed il teatro: di lui apprezziamo e segnaliamo
interessanti riletture del periodo prebop ed una singolare capacità
di catturare l'anima della rappresentazione on stage. La sensibilità
e la modestia dell'uomo sembrano fondersi con una singolare abilità
di essere non solo sassofonista ma anche e forse ancor di più "filologo"
del testo scritto e di quello musicale.
Nel 1987 compra un sax tenore, fulminato dalle Blue Notes. L'anno
successivo inizia a studiare con Andrea Polinelli. Passa quasi subito
al sax baritono. Nel 1992 nasce la "Swing time mood", Big Band studentesca
che durerà qualche anno diretta da Michel Audisso, Claudio Pradò,
Andrea Polinelli, Claudio Pacifici, Stefano Rotondi. Nel 1993 con
vecchi amici appassionati di R.&B. nascono gli "Opperbacco… il Blues!".
Il gruppo ancora oggi resiste.
Di sostanza, da quel momento in poi, il suo impegno: il quintetto
Cool col tenorista Stefano Arduini (di cui cura gli arrangiamenti
di vecchi standards mulliganiani), poi la "M.J. ùrkestra" diretta
da Roberto Spadoni (un Mingus riletto nel C.D. finale) dove conosce
il trombonista-arrangiatore-compositore Aldo Iosue: prende vita
una band di 11 elementi con un repertorio classic-swing; nasce quindi
la "Blu Nose Combination" che fu poi rifondata col nome di "Blu
Joshua Band" e che vive tuttora.
Nel 1997 la "IALS Big Band" diretta da Gianni Oddi, esperienza che
culminerà con "West Side Story" al teatro Olimpico di Roma. Tre
anni dopo la "Compagnia del Delfino": il presidente-regista Giuliano
Baragli gli commissiona musica di scena per teatro. Nel volgere
di dieci anni nasceranno musiche originali per "La Dama di Chez
Maxim", per il musical"La Bisbetica sprecata", "Camerino n° 1","Don
Nicolino tra li guai", "La Tela del Ragno", "Non te li puoi portare
appresso", "Black Comedy", "Dry rot", "La Cena dei Cretini","Delitto
al Castello", "Arsenico e Vecchi Merletti", "Niente Sesso, siamo
Inglesi", "E' una Caratteristica di famiglia", "Ok, va bene di Giovedì",
"La Pimpaccia de Piazza Navona", "Tredici a tavola", "Spirito Allegro",
"Il mare e la Madre", "L'Erede" ed infine "L'Incidente", collaborazione
che dura ancora oggi ed è più viva che mai.
Nel 2000 è entrato a far parte del gruppo klezmer "Ozen", diretto
da Adriano Mordenti, che si avvale dei preziosi arrangiamenti di
Aldo Iosue: collaborerà un paio di anni, per concerti in giro per
l'Italia in teatri prestigiosi. Nel 2005 nasce "Desafinando", progetto
ancora attivo, con l'aiuto prezioso del percussionista Umberto Vitiello,
del chitarrista Ezio Peccheneda e del contrabassista Gigi Rossi:
gruppo "brasiliano" che spazia dalla bossa al forrò allo chorinho.
Nel 2006 entra a fra parte della Big Band del Conservatorio "Lorenzo
Perosi" di Campobasso con la quale suona in concerti in teatri prestigiosi,
Villa Celimontana, fra gli altri. Nel frattempo l' attività di compositore-arrangiatore
subisce un' accelerazione: scrive per la B.B. del Conservatorio
e partecipa al concorso per arrangiatori del festival jazz "Eddie
Lang" di Monteroduni (Isernia). Un suo brano originale vince il
primo premio.
Nel 2009, quale appassionato di Ragtime ha un sogno nel cassetto:
arrangiare nuovi e vecchi rags per quintetto di saxes. Nasce il
"Ragvival Quintet" con Stefano Arduini, Alfonso Bonanni, Paolo Piva
e Torquato Sdrucia.
Arriviamo ai giorni nostri. Con Roberto Mancini (direttore del corso
di Jazz al Perosi) collabora sia come baritonista che come arrangiatore
nei "Bluesax", ottetto di ispirazione cool.
Ultima recente fatica: nasce il "P.A.S.T. quartet", quartetto di
saxes orientato verso un jazz cameristico un po' più moderno di
quanto espresso fino ad ora ed aperto ad esperimenti e contaminazioni.
Prima uscita: Teatro Anfitrione, Roma. Il repertorio è costituito
al 50% da brani originali, il resto da standard, con particolare
predilezione per Gershwin, segnatamente "Porgy and Bess".
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Il mio primo contatto avvenne all'età circa di dodici anni: ero
influenzato, e mia madre, per consolarmi un po', mi aveva comprato dal giornalaio
il primo numero de "I Grandi Musicisti", Fratelli Fabbri Editori. Mise nel giradischi
(una mastodontica radio di quelle con sopra lo sportellino che si alzava) un concerto
di Listz: fu uno shock! Rimasi folgorato come S.Paolo sulla via di Damasco! Da quel
momento in poi fui preda di una vera e propria frenesia: ogni settimana compravo
il fascicolo della collana (erano distribuiti in ordine sparso, in maniera del tutto
casuale) e ascoltavo… ascoltavo…. ascoltavo… anche la notte. La mia camera era situata
lontano dalle altre, per cui, nottetempo, accendevo la radio-giradischi al minimo
del volume e godevo di quel flebile suono in preda ad uno struggimento che si trasformava
talora in dolore: perché non sono nato allora, mi domandavo, che ci faccio qui!
Quando mio fratello mi cedette la sua stanza, contigua a quella dei miei, non potendo
più proseguire quel gioco, nascosi sotto al cuscino una radiolina a transistor:
a mezzanotte c'era il "notturno dall'Italia" che trasmetteva, dopo il notiziario,
almeno tre brani di musica classica. Bei tempi!
Un ricordo molto intenso, poi?
Poi venne il pianoforte, l' A.Gi.Mus., il Jazz. Stesso meccanismo:
"I Grandi del Jazz" Fratelli Fabbri Editori, stessa frenesia. A quell'epoca ascoltavo
soprattutto i pianisti, saltando da
Bud Powell
a Fats Waller, da
Bill Evans
a Jelly Roll, da Monk a Scott Joplin. Si, Scott Joplin: lo
conobbi, sempre per caso, comprando a Porta Portese un L.P. intitolato "Original
Rag" ben prima, s'intende, che uscisse "La Stangata": è una della cose di cui vado
più orgoglioso! A 18 anni i miei mi regalarono uno stereo, di quelli con addirittura
l'ampli separato dalle casse. Un'emozione del genere oggi la potrei provare solo
se mi regalassero un Caravaggio! Il venditore mi omaggiava anche di un L.P: in un
mucchio infinito di dischi scelsi, sempre a caso, "A.C. Jobim the composer of Desafinado
plays". Il caso regna sovrano sulla vita della gente: quel disco mi colpì così duramente
che ancor oggi, se penso ad una nuova melodia, la penso in bossa!
Che ne è dell'esperienza pianistica?
Non sono mai diventato un buon pianista. A quell'epoca al grande
entusiasmo non corrispondeva una altrettanto grande capacità di sacrificio: solo
in seguito ho capito che la musica è anche e soprattutto sudore. Poi venne il grande
freddo, ovvero l'università, la professione, la famiglia: la musica fu retrocessa.
Ma non cancellata. Divenuto finalmente maturo professionista, marito e padre esemplare,
quell'antica passione riaffiorò: correva l'anno 1987,
e, sempre per caso, comprai un sax tenore. Confesso che l'obiettivo massimo per
me era poter suonare correttamente una melodia, magari un vecchio standard, con
gli amici, per gioco, ma, ancora una volta, fui preso da una incoercibile frenesia
al cospetto della quale quella giovanile sembrava acqua fresca. Allo strumento dedicavo
ogni minuto libero, tra le maglie del lavoro e della famiglia cha allora comprendeva
un bambino piccolo: non riuscivo a pensare ad altro. Rendendomi conto dell'inizio
tardivo e volendo in tutti i modi bruciare le tappe, cercai insegnanti disposti
a ricevermi nei miei orari coatti, che erano decisamente contro corrente rispetto
alle abitudini medie dei musicisti. Lavoravo su più fronti: lo strumento, l'armonia,
l'arrangiamento, l'improvvisazione.
E la musica dal vivo?
Parallelamente alla mia istruzione cominciai a suonare in giro,
soprattutto in big band. Ero passato al baritono, strumento raro a quell'epoca,
e tutti mi chiamavano…. Cominciai con la B.B. della scuola Ciac (diretta da Andrea
Polinelli, il mio primo, amato maestro), poi venne la band di Aldo Iosue
(con il quale ancora suono), di Gianni Oddi, di
Roberto Spadoni,
poi i gruppi più piccoli, la musica klezmer, la bossa nova (col grande Umberto
Vitiello), i quartetti e i quintetti di fiati.
La tua esperienza nell' àmbito teatrale
è ormai ben nota….
Un discorso a parte merita il Teatro: Giuliano Baragli,
regista-presidente della compagnia teatrale "Il Delfino" nonché cantante del mio
gruppo R&B, nel 2000 mi chiese musica per "La
dama di Chez Maxim". Rimase soddisfatto del risultato e mi propose per l'anno successivo
nientepopodimenochè un musical, "La bisbetica sprecata". Ero all'apice del narcisismo
musicale! Comporre per un musical! Come George Gershwin, come Cole Porter,
come Irwin Berlin! Se qualcuno nell' '87
avesse pronosticato tutto ciò gli avrei dato del pazzo! Mi tuffai con la consueta
frenesia in quell'avventura, e il risultato fu apprezzato. Da allora ho scritto
musica per una venticinquina di commedie, una fiaba musicale, un balletto. Ancora
non mi hanno cacciato…..
E speriamo che non lo facciano…..dal
Conservatorio in poi cosa accadde?
Un altro capitolo importante della mia vita musicale attiene al Conservatorio di
Campobasso: l'amico Roberto Mancini, direttore della cattedra di Jazz, nel
2006 mi spinse ad iscrivermi al biennio specialistico
da poco istituito: cominciò così un altro periodo frenetico: trasferte settimanali,
studi notturni, arrangiamenti, esami, concerti con la B.B. del conservatorio (della
quale faccio ancora parte). Un vero stress…. Quel tour de force serrato però è servito:
mi ha fatto uscire dalla mia precedente dimensione di arrangiatore naif, dandomi
consapevolezza e strumenti di crescita. Una mia composizione per B.B. ha addirittura
vinto il I° premio all' "Eddie Lang festival" di Monte Roduni!
Progetti per il futuro?
Di basso profilo. Vorrei sviluppare il progetto P.A.S.T. Quartet
affinandone il sound ed arricchendone il repertorio. Ho già scritto una piccola
suite di "Porgy and Bess" (undici brani interpolati da un succinto parlato che narra
la storia a grandi linee): mi piacerebbe farne un CD. Continuerò certamente
a collaborare con la "Compagnia del Delfino" o con chiunque me lo chiederà. Un sogno
nel cassetto? Fare un bel musical cantato e ballato alla grande! Detto questo non
considero conclusa nessuna delle mie precedenti esperienze: laddove ve ne fosse
l'opportunità le riprenderei con piacere.
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Data pubblicazione: 01/08/2010
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