Roccella Jazz Festival 2007
"Al tempo che farà"
Roccella Ionica, 16-25 agosto 2007
di Enzo Fugaldi
foto di Gianmichele
Taormina
Una esibizione del trio di Carlo Rizzo, grande specialista del
tamburello, con i francesi Michel Mandel, clarinetti e Norbert Pignol,
accordeon, breve volo tra musiche etniche impreziosito dalla perizia degli esecutori,
ha inaugurato l'edizione 2007 di "Rumori
mediterranei", precedendo un imperdibile concerto del nuovo quintetto di
Ornette
Coleman, con Tony Falanga e Charnett Moffett al contrabbasso,
Al McDowell al basso elettrico e Denardo Coleman alla batteria. Nonostante
i recenti problemi di salute, uno dei protagonisti di primo piano della storia del
jazz - in una serata funestata dalla tristissima notizia della morte di Max Roach
- ha toccato ancora una volta livelli di altissima arte. La sua incessante ricerca
l'ha portato oggi a triplicare il basso: uno elettrico tra le mani del fido Al
McDowell, che ha una maturità musicale e una padronanza dello strumento assolute,
e due contrabbassi divisi tra i sapienti archetti e il walking di Falanga
e Moffett. Questo impasto di note basse crea uno sfondo ricchissimo ma perfettamente
ordinato e distinguibile, con una solida stabilità interna dovuta a una divisione
dei ruoli in costante equilibrio. Falanga riserva grande spazio all'archetto
(persino la bachiana suite per violoncello), Moffett contrappunta da par
suo all'archetto con l'utilizzo del wha wha, e McDowell usa soprattutto il
registro alto dello strumento, avvicinandosi al suono di una chitarra. Su tutto
svetta il lancinante fraseggio del leader, dividendosi fra il suo bianco sax alto
e la tromba, in un completo azzurro lucidissimo, per non smentire la sua antica
passione per gli abiti dai colori accesi. Il repertorio si basa sull'alternarsi
di brani lenti e veloci, Following the Sound,
Sleep Talking, Jordan,
911, Call to Duty,
Turnaround, Those That
Know Before it Happens, Taking the Cure,
Dancing in Your Head,
Song World, Song X,
fino al richiestissimo bis di Lonely Woman.
È rasserenante vedere come la musica di Ornette, pur non rinunciando alla
ricerca, abbia raggiunto una sorta di calma classicità e sia oggi ampiamente accettata
dal pubblico, come è accaduto per la musica dell'ultimo
Steve Lacy.
Il festival ha ripetuto la riuscita esperienza dei concerti pomeridiani
in solitudine presso l'ex Convento dei Minimi di Roccella Jonica, introdotti dalle
presentazioni e dalle interviste del critico Maurizio Franco. Enrico Intra
si è esibito con la consueta perizia, classe e signorilità, spaziando da brani originali
a carattere atonale a standard reinventati con gusto e fantasia (Take
The A Train, How high the moon).
Carlo Actis Dato, dedito da sempre ai concerti in solitudine, trova qui la
dimensione ideale per raccontare la sua personale sintesi delle musiche del mondo.
Con i fedeli sax baritono e clarinetto basso, facendo ampio uso della respirazione
circolare, ha coinvolto il pubblico interagendo con esso con autoironia e comicità
supportate da una travolgente tecnica strumentale. Un'idea del suono come saturazione
dello spazio acustico, come vibrazione vitale, fino all'imitazione del didjeridoo,
a far risuonare il legno della pedana, a smontare pezzo per pezzo il clarinetto
basso in una gag esilarante.
Carlo Rizzo ha proposto una lezione-concerto, una sorta di enciclopedia
del tamburello, dagli strumenti più tradizionali a quelli da lui inventati, il
politimbrico e il multitimbrico, con una rapida carrellata dalle tradizioni
mediterranee a quelle del medio e lontano oriente, al Brasile.
L'attesa esibizione in solitudine di Louis Sclavis è iniziata con
due ardui e ieratici episodi informali al clarinetto basso, seguiti da una sua nota
composizione, Le temps d'apres - brano che era
nella colonna sonora di un bel film del 1998
di Bertrand Tavernier, Ricomincia da oggi
-, da una improvvisazione senza ancia con il recupero di suoni ancestrali, fino
al bis, un'estraniante Petite Fleur di Bechet,
suonato alternando il clarinetto e il clarinetto basso.
Paolo Fresu,
al suo quarto concerto per sola tromba, ha dovuto raddoppiare la sua esibizione,
a causa del grande afflusso di pubblico. Ha utilizzato con buoni esiti una parte
del suo usuale rack di effetti elettronici, che padroneggia con sicurezza
e misura, e basi preregistrate, da suoni della sua tromba alla voce rauca e unica
di Miles Davis sovrapposta a una nota lunga eseguita con la respirazione
circolare. Ha infine dedicato un breve e intenso brano al flicorno, senza l'uso
dell'elettronica, partendo da ‘Round Midnight.
"Rumori mediterranei" diventa anche un'occasione per conoscere, o rivedere,
le località della provincia di Reggio Calabria. Il palcoscenico di Gerace è toccato
al quartetto del sax alto
Daniele Tittarelli, giovane ma già affermato talento romano,
insieme a
Claudio Filippini al pianoforte, Vincenzo Florio al contrabbasso
e Marco Valeri alla batteria. I quattro hanno proposto un fresco hardbop
di matrice shorteriana, con un repertorio di composizioni originali del leader e
un brano di Shorter. Il momento più atteso della serata è stato quello del recente
progetto "Re: Pasolini" di Stefano Battaglia, con Michael Gassman
alla tromba, Mirco Mariottini ai clarinetti, Aya Shimura al violoncello,
Salvatore Maiore al contrabbasso e Roberto Dani alla batteria, la
formazione che ha inciso un recente cd per l'ECM. La dimensione live, con
la possibilità di dilatare i tempi dei brani, impreziosisce ulteriormente le splendide
composizioni di Battaglia, dense di suggestioni visive, che utilizzano sapientemente
le sfumature timbriche offerte dall'organico per un omaggio a Pasolini commosso
e partecipe, dagli esiti felicissimi. Gli inusuali impasti sonori creati dall'incrociarsi
dei suoni della tromba, dei clarinetti, del violoncello, del contrabbasso, del piano
e dalla singolare fantasia percussionistica di Dani, le liriche melodie, la bellezza
dei luoghi, tutto ha contribuito a stabilire un'atmosfera d'incanto, disturbata
appena dal vento proveniente dallo Jonio. I brani prescelti sono stati
Moravia, Il sogno di una
cosa, Totò e Ninetto,
Teorema, La canzone di
Laura Betti, Fevrar.
A Martone due trii di grande spessore. Il primo era capitanato da
Francesco Bearzatti
al sax tenore e al clarinetto,
Paolino
Dalla Porta al contrabbasso e Manhu Roche alla batteria, ottimo
e collaudato gruppo di solida, rollinsiana verve. La seconda parte della
serata era affidata al "Riff Trio" di
Franco D'Andrea,
con Fabrizio
Bosso alla tromba e
Gianluca Petrella
al trombone. Un excursus nella storia del jazz, per distillarne l'essenza,
l'anima profonda, che contiene in sé il passato, il presente e il futuro, non conosce
i segni del tempo, è viva come non mai, si presta alla sperimentazione grazie alla
rispettosa ma antinostalgica progettualità del leader. Il repertorio rielaborato
da D'Andrea per questo trio, come per il quintetto che comprende anche D'Agaro
e Zeno De Rossi getta un ponte fra la tradizione del jazz e la contemporaneità:
si va da classici degli anni Venti all'ellingtoniana Caravan,
a Epistrophy di Monk, a
Naima di Coltrane con i fiati che si divertono
a riprodurre con tecnica superba i suoni sporchi e pieni di groove del jungle
style, mentre a
D'Andrea
spetta il ruolo di ricondurre la musica all'oggi, alla contemporaneità, con il suo
pianismo lucidissimo e intellettuale. Per il bis sulle note di
Well, You Needn't di Monk tutti i musicisti della
serata si schierano sul palco per un mirabolante sestetto che non sembra davvero
organizzato al momento.
Tre nuove locations nella piana di Gioia Tauro per il festival
2007: Polistena, San Giorgio Morgeto e Cinquefrondi.
Sono luoghi dove il jazz approda per la prima volta, grazie all'Associazione Culturale
Jonica e alla lodevole volontà degli amministratori locali. E la calorosa e foltissima
presenza di spettatori, locali e non, ha ampiamente premiato gli sforzi organizzativi,
che saranno certamente replicati negli anni a venire.
In una grande e gremita piazza di Polistena, dopo il gruppo della cantante
catanese Gabriella Grasso, un quartetto pianoless, costituito da
Enrico Rava
alla tromba,
Stefano
Di Battista ai sax alto e soprano, Rosario Bonaccorso al contrabbasso
e Aldo Romano alla batteria. Un evidente e contagioso piacere di suonare
insieme ha impreziosito il concerto dei quattro fuoriclasse, che hanno suonato con
convinzione e stile standard come Love For Sale,
‘Round Midnight, Mr.
P.C., Estate,
The Theme, e il divertente bis di
Mack The Knife. Tutti in serata di grazia, compatti
e inventivi, dai fiati liberi ed esuberanti, alla ritmica efficacissima, con una
menzione particolare per Bonaccorso, eccezionale in accompagnamento e godibilissimo
nell'affiancare gli assoli con l'unisono della voce amplificata su un'ottava più
alta, come Slam Stewart.
A San Giorgio Morgeto, il paese più alto della piana, i siracusani fratelli
Amato (Elio, trombone a pistoni, flicorno e pianoforte; Alberto,
contrabbasso; Loris, batteria) hanno convinto per la sincerità della loro
proposta musicale, tutta costituita da loro interessanti composizioni (Yber,
Helias Theme, Giusy
Mood, Piece,
Modern Jungle), precedute da
Trygonometry di
Ornette
Coleman, un omaggio che delinea sin dall'inizio la poetica cui il trio
si ispira, caratterizzata da serietà d'intenti e maturo interplay. Il sorprendente
polistrumentismo di Elio contribuisce a variare le atmosfere fra un brano e l'altro,
e valorizza le ottime prestazioni dei fratelli in assolo e in accompagnamento.
"Songs from the Underground" è il progetto che
Maria Pia De
Vito ha presentato alla Casa del Jazz nella scorsa primavera, realizzando
l'omonimo cd distribuito da «L'Espresso». A San Giorgio era accompagnata da
Claudio Filippini
al pianoforte,
Enzo
Pietropaoli al contrabbasso e Walter Paoli alla batteria. Quasi
dostojevskiane memorie dal sottosuolo, le songs prescelte con gusto da Maria
Pia scaturiscono dalla memoria come da uno scandaglio dell'anima: Jimi Hendrix (la
splendida Up from the Sky, entrata a buon diritto
nel mondo del jazz grazie a Gil Evans), Leonard Cohen (Alleluiah,
con ottimi assoli di pianoforte e contrabbasso), Joni Mitchell (My
Old Man), Elvis Costello (Almost Blue,
introdotta nel jazz da
Chet Baker),
Sting (The Secret Marriage), fino al brano originale
Songs from the Underground. La voce di
Maria Pia De
Vito è come sempre perfetta nell'esposizione dei temi e nello scat
e sapiente è il suo utilizzo dell'Echoplex, strumento elettronico che moltiplica
all'infinito le possibilità vocali. Il trio che la accompagna è ben all'altezza
del compito, grazie ai navigati Paoli e
Pietropaoli
e alla maturità raggiunta da
Filippini,
davvero a suo agio con la forma canzone.
L'ultimo paese della piana interessato è stato Cinquefrondi, per altri
due concerti di grande spessore. Il giovane
Claudio Filippini,
qui al piano solo, ha qui dimostrato una maturità musicale sorprendente e una capacità
di distillare le note senza ostentare la tecnica che è propria dei grandi dello
strumento, con scelte di repertorio altrettanto interessanti. Ha interpretato infatti,
oltre a proprie pregevoli composizioni (Poses,
Louisiana), brani di Kenny Wheeler (Iowa
City), di
George Cables,
uno dei suoi maestri (Helen's Song), e standard
come Body And Soul e uno strepitoso
Jitterburg Waltz di Fats Waller. Ottime
le sue capacità di strutturare le esposizioni dei temi e di far cantare le melodie,
costruendovi sopra assoli lucidi e lineari. Nel brano di Wheeler ha dimostrato anche
padronanza del linguaggio minimalista, in particolare di quello di Steve Reich.
Ha chiuso la serie di tre serate nella piana di Gioia Tauro, con la consueta
maestria, il "Doctor 3" di
Danilo
Rea,
Enzo
Pietropaoli e Fabrizio Sferra. Il trio, giunto ai dieci anni
dalla sua costituzione, ha al suo attivo incisioni in studio e dal vivo, fino ai
recenti "Blue" e al live dedicato ai Beatles registrato alla Casa del jazz.
La formula è sempre la medesima: esplorare con creatività e inventiva il mondo della
canzone, avvicinando il grande pubblico alle loro proposte, che restano comunque
indiscutibilmente jazzistiche. Perché il jazz non è solo swing, ma piuttosto un
modo peculiare di concepire la musica. Alla base della concezione musicale di questo
trio, che vanta un affiatamento assoluto, c'è un'idea della musica come leggerezza,
festa, luogo della gioia. I titoli di alcuni dei brani da loro suonati, riuniti
in lunghe medley, danno un'idea del clima da loro instaurato in assoluta
empatia con il pubblico: i beatlesiani Come Together,
Hey Jude, I Will,
Your Song di Elton John,
Fly Me To The Moon,
O que serà di Chico Buarque, inframezzato da
Besame Mucho, una breve carrellata di musiche disneyane,
The Blower's Daughter di Damien Rice,
Resta cummè di Modugno,
Senza fine di Paoli, Emozioni
di Battisti, Tico-Tico, per finire con
La canzone di Marinella e
Il pescatore di De Andrè.
La parte centrale del festival inizia all'Auditorium comunale, con lo
spettacolo "Chet"-Viaggio al termine della musica, su testi di Paolo Bignamini,
con la regia di Emilio Sioli. La recitazione è affidata all'attrice Lucilla
Giagnoni, e la parte musicale al quartetto di
Fabrizio Bosso,
con Luca Mannutza
al piano, Luca Bulgarelli al contrabbasso e
Lorenzo Tucci
alla batteria. La performance inizia con la voce registrata di Chet che canta
If You Could See Me Now. I testi di Bignamini
disegnano a toni cupi e intensi momenti della vita del grande trombettista, affidando
il racconto alle sue numerose mogli e amanti, alla madre, alla figlia. La Giagnoni
affronta i ruoli con timing, immedesimandosi con sentita partecipazione,
fino a gridare la passione, la rabbia, il dolore e l'isteria di chi ha vissuto la
bellissima e tragica esperienza di amare Chet. A Bosso e al suo quartetto è affidato
il compito di resuscitare Chet per un'ora, di far rivivere ancora una volta il suono
della sua indimenticabile tromba. Egli lo affronta da par suo, ottimamente coadiuvato
dai suoi musicisti, e l'unione fra musica e parola si fa feconda, grazie anche all'apporto
della regia. Sembra di ascoltare un Baker giovanissimo, con ancora un ottimo labbro,
che intona Love for Sale,
But not for me, My Funny
Valentine, che strappa per due anni a Davis il primato di miglior
trumpet player della rivista «Down Beat». Il bis dell'applauditissimo spettacolo
è un omaggio a Louis
Armstrong, Do You Know What it Means to Miss New
Orleans.
Diverso, ma egualmente riuscito e applaudito, è stato "Teste quadre",
l'informale incontro fra la lettura scenica di Vito e le musiche improvvisate in
scena da Uri
Caine e
Gianluca Petrella. "Teste quadre" è un romanzo pubblicato nel
2006 dallo scrittore e critico musicale Aldo
Gianolio (Aliberti editore), un'esilarante e corposo tomo che racconta dell'ignobile
carriera di due impiegati di una non meglio identificata azienda pubblica di trasporti,
la Aztrapub. Una divertentissima storia della nostra italietta, venata da profonda
ironia, da un rabbioso e sano moralismo, che ci ricorda che esistono ancora gli
operai e i contadini e sfotte senza pietà le squallide manie borghesi delle teste
quadre, personaggi organici alla "città quadrata", capoluogo del territorio denominato
"ampia pianura". Davvero efficace la lettura di Vito, che rende con ottima tecnica
la prosa densa di Gianolio, con il discreto sottofondo di
Caine
e Petrella,
che si ritagliano spazi pertinenti venati da un parallelo taglio sarcastico.
Ancora un incontro pomeridiano dagli esiti felici, e non poteva essere
altrimenti – nonostante un fastidioso blackout che ha costretto gli artisti
ad esibirsi per una buona parte del concerto senza amplificazione e in penombra
– quello del pianista Dave Burrell e della cantante e danzatrice Leena Conquest.
Burrell è il mitico pianista che affiancava
Archie Shepp
negli anni '70, e la Conquest aveva già
affascinato il pubblico di Roccella nel 2006
in seno al gruppo di
William Parker
"Raining on the piano". Il duo, che ha un cd in uscita, ha eseguito splendide
composizioni del pianista intrise di tradizione e modernità, alcune con testi della
poetessa svedese Monika Larsson, altre danzate dalla Conquest con
una personalissima tecnica che miscela la sua esperienza nell'Alvin Ailey American
Dance Center, il cakewalk e le danze degli schiavi neri in una sintesi personalissima
e coinvolgente, e canta con voce parimenti intrigante, ampia estensione, senso dello
swing, solide capacità improvvisative. Tra i brani eseguiti
With a Little Time, So
Spiritual, Crucificado,
Faith to Black, il blues in minore
The Box con il testo improvvisato.
"Ballata in sud" è un documentario di Francesca Archibugi musicato
dal vivo dal chitarrista Battista Lena con Daniele Mencarelli al contrabbasso,
Marcello Di Leonardo alla batteria, e l'apporto di
Javier
Girotto ai sassofoni e flauto e
Luciano Biondini alla fisarmonica. È una sorta di schizzo preparatorio
di un documentario, un montaggio di immagini video riprese da un'auto durante un
viaggio dalla romana Casa del Jazz sino a Roccella Jonica, tra miserie e bellezze
del meridione. Belle le composizioni di Lena, ottimo compositore di musiche da film,
ben eseguite dal gruppo, pur tra costrizioni legate alla sincronia con le immagini,
con una menzione particolare per
Girotto
e
Biondini.
La prima delle serate al Teatro al Castello è iniziata sulle note di
Dear Old Stockholm scandite dalla tromba di
Paolo Fresu
e dal piano acustico ed elettrico di
Uri Caine.
Che dire ancora di questo magistrale duo? I due si esprimono con assoluto interplay,
come se suonassero insieme da sempre, nonostante le differenti matrici musicali,
e si scambiano i ruoli, fra estro e intimismo, swing e delicate ballad, con felici
ed eterogenee scelte di repertorio. Tra i brani eseguiti, molti dei quali contenuti
nell'eccellente cd "Things" inciso per la Blue Note,
I loves you Porgy, Cheek
to Cheek, il madrigale di Monteverdi
Sì dolce è il tormento, Sonia Said
composto da
Caine, A Night In Tunisia.
Ancora
Fresu protagonista insieme al quartetto "Lost Chords" di
Carla Bley,
piano, con Andy
Sheppard, sax tenore e soprano,
Steve Swallow,
basso e
Billy Drummond, batteria. Un'esperienza con una piccola formazione
per la Bley,
solita ad ensemble ben più ampi, ma con la consueta maestria nell'arte dell'arrangiamento,
nel tirare fuori il meglio dai suoi musicisti, grazie anche alle sue pregevoli composizioni
venate di lirismo e ironia, con uno
Sheppard
in serata di grazia e un apporto molto pertinente del trombettista italiano. Tra
i brani eseguiti Banana Quintet, una lunga suite
in sei movimenti e Ad Infinitum, un brano da
"Dinner Music", disco del 1976.
La seconda sera del festival vedeva esibirsi per primo il sestetto "Quasi
Band" capitanato dal direttore artistico del festival
Paolo Damiani
al contrabbasso, con la voce di Diana Torto, i clarinetti di Louis Sclavis,
i sassofoni di
Javier
Girotto, il pianoforte di
Rita Marcotulli
e la batteria di Michele Rabbia, la medesima formazione presente sull'ottimo
cd registrato dal vivo alla Casa del Jazz il 24 gennaio
2007 e pubblicato da «L'Espresso». Prezioso l'apporto alle musiche
della travolgente carica solistica di Sclavis e del passionale lirismo di
Girotto.
Fra i brani eseguiti, il suadente tema di Rumori mediterranei,
Dirindena, ninna nanna con testo di Ivano Marescotti,
brano iniziale del nuovo cd "Al tempo che farà" inciso per l'Egea,
Le long du temps/Le verbe di Sclavis, un pregevole
arrangiamento di Quello che non voglio, su un
testo di Stefano Benni ben interpretato da Diana Torto,
Just Feel della
Marcotulli,
per concludere sul cantabile motivo di Passi.
Chiudeva la serata un lungo e splendido concerto del quartetto del sax
tenore Joe Lovano, con James Weidman al pianoforte, Esperanza Spalding
al contrabbasso e Otis Brown alla batteria. Il quartetto si presenta compatto,
impreziosito dalla sorprendente presenza della contrabbassista, appena ventitreenne
e già musicista e docente affermata, che possiede una cavata possente e una musicalità
piena e matura, sia in accompagnamento che in assolo, e si affianca a Weidman
e Brown altrettanto efficaci nel sostenere il lavoro del leader, che
conferma la sua imponente statura musicale in perfetto equilibrio fra tradizione
e modernità nell'esecuzione di standard (Soul Eyes
di Waldron, Reflections di Monk) e interessanti
brani originali, con palese gradimento da parte del pubblico. Leggermente fuori
luogo la presenza della non memorabile voce della consorte Judi Silvano,
alla quale viene concesso uno spazio probabilmente eccessivo nell'economia della
proposta musicale.
La terza serata iniziava con "Avanti pop", una produzione multimediale
originale del gruppo Têtes de Bois, con ospiti Giuseppe Cederna,
Andrea Rivera, Peppe Voltarelli e i disegni di sabbia di Licio
Esposito. È un camioncino Fiat 615 del 1956 a ospitare a fianco del palco gli
ospiti che commentano le canzoni del gruppo con canti popolari, monologhi, disegni:
la storia di Rocco Gatto, ucciso dalla mafia calabrese nel
1977 per essersi opposto alle estorsioni raccontata da Cederna,
la voce di Voltarelli che interpreta Malarazza
di Modugno, le esilaranti tiritere di Rivera, e le canzoni dei Têtes,
che raccontano la classe operaia, gli incidenti sul lavoro, il dramma dei lavoratori
immigrati, inframezzate da brani di Battiato (Povera patria)
e Leo Ferrè (L'albatros).
Di nuovo spazio al jazz con la Parco della Musica Jazz Orchestra diretta
da Maria Schneider. Cresciuta alla scuola di Gil Evans, la Schneider
ha diretto con determinazione la big band romana, sfruttandone con grande stile
le ottime potenzialità e quelle dei suoi solisti, da
Maurizio
Giammarco a
Pino Iodice,
Daniele Tittarelli,
Aldo Bassi,
eseguendo brani originali splendidamente arrangiati, utilizzando le varie sezioni
in modo da creare tappeti sonori di colore pastello, sfondi ideali per gli assoli.
Fra i brani eseguiti, Greenpeace, e le
Three Romances contenute nel cd "Concert in
the Garden": Choro dançado,
Pas de deux, Dança ilusória.
La serata finale del festival iniziava con "In between", una produzione
originale della pianista
Rita Marcotulli,
che ha riunito per l'occasione una all stars: Nils Petter Molvær alla
tromba, Andy
Sheppard ai sassofoni, Nguyên Lê alla chitarra, Anders Jormin
al contrabbasso e Marilyn Mazur, batteria e percussioni. Nuove composizioni
e nuovi arrangiamenti di brani composti in precedenza per una musica di grande suggestione,
fortemente caratterizzata dalle atmosfere oniriche e dai ritmi insoliti creati dall'interazione
tra la fantasia e i colori della Mazur e le note lunghe di Molvaer, tra le
hendrixiane sei corde di Nguyên Lê e lo splendido suono e fraseggio di
Sheppard
al tenore e al soprano, tra il possente archetto di Jormin e i delicati interventi
della leader. Fra i brani eseguiti i noti Songs of Experience
e La strada invisibile.
Gran finale con la Shibuza Shirazu Orchestra, collettivo giapponese
composto da oltre trenta elementi, che ha proposto uno stranissimo, lungo e travolgente
happening multimediale, una babelica commistione di linguaggi, mescolando
musica, danza, travestimento, mimica, comicità, arti visive, in una inesauribile
e irresistibile performance ricca di una infinità di riferimenti colti ed extracolti,
fra cultura pop e cultura tradizionale giapponese. La musica, spinta all'eccesso
da un'amplificazione volutamente tirata al massimo, procedeva con impatto devastante
tra free, formidabili echi zappiani e della Sun Ra Arkestra, con assoli e
collettivi travolgenti, parti vocali, fino all'apoteosi finale, il volo sul pubblico
di un enorme dragone argenteo, tra la sorpresa e l'entusiasmo del numerosissimo
pubblico che affollava l'anfiteatro, per una memorabile conclusione di un'edizione
di "Rumori mediterranei" che certo resterà fra le migliori dell'intera storia del
festival.
27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
16/07/2011 | Vittoria Jazz Festival - Music & Cerasuolo Wine: "Alla quarta edizione, il festival di Vittoria si conferma come uno dei più importanti eventi musicali organizzati sul territorio siciliano. La formula prescelta dal direttore artistico è quella di dilatare nel tempo gli incontri musicali, concentrandoli in quattro fine settimana della tarda primavera, valorizzando uno dei quartieri più suggestivi della città, la restaurata Piazza Enriquez, e coinvolgendo, grazie a concerti e jam session notturne, una quantità di pubblico davvero rilevante, composto in parte da giovani e giovanissimi, portatori di un entusiasmo che fa davvero ben sperare sul futuro del jazz, almeno in questa parte della Sicilia." (Vincenzo Fugaldi) |
15/05/2011 | Giovanni Falzone in "Around Ornette": "Non vi è in tutta la serata, un momento di calo di attenzione o di quella tensione musicale che tiene sulla corda. Un crescendo di suoni ed emozioni, orchestrati da Falzone, direttore, musicista e compositore fenomenale, a tratti talmente rapito dalla musica da diventare lui stesso musica, danza, grido, suono, movimento. Inutile dire che l'interplay tra i musicisti è spettacolare, coinvolti come sono dalla follia e dal genio espressivo e musicale del loro direttore." (Eva Simontacchi) |
05/09/2010 | Roccella Jazz Festival 30a Edizione: "Trent'anni e non sentirli. Rumori Mediterranei oggi è patrimonio di una intera comunit? che aspetta i giorni del festival con tale entusiasmo e partecipazione, da far pensare a pochi altri riscontri". La soave e leggera Nicole Mitchell con il suo Indigo Trio, l'anteprima del film di Maresco su Tony Scott, la brillantezza del duo Pieranunzi & Baron, il flamenco di Diego Amador, il travolgente Roy Hargrove, il circo di Mirko Guerini, la classe di Steve Khun con Ravi Coltrane, il grande incontro di Salvatore Bonafede con Eddie Gomez e Billy Hart, l'avvincente Quartetto Trionfale di Fresu e Trovesi...il tutto sotto l'attenta, non convenzionale ma vincente direzione artistica di Paolo Damiani (Gianluca Diana, Vittorio Pio) |
15/08/2010 | Südtirol Jazz Festival Altoadige: "Il festival altoatesino prosegue nella sua tendenza all'ampliamento territoriale e quest'anno, oltre al capoluogo Bolzano, ha portato le note del jazz in rifugi e cantine, nelle banche, a Bressanone, Brunico, Merano e in Val Venosta. Uno dei maggiori pregi di questa mastodontica iniziativa, che coinvolge in dieci intense giornate centinaia di artisti, è quello, importantissimo, di far conoscere in Italia nuovi talenti europei. La posizione di frontiera e il bilinguismo rendono l'Altoadige il luogo ideale per svolgere questo fondamentale servizio..." (Vincenzo Fugaldi) |
21/06/2009 | Bologna, Ravenna, Imola, Correggio, Piacenza, Russi: questi ed altri ancora sono i luoghi che negli ultimi tre mesi hanno ospitato Croassroads, festival itinerante di musica jazz, che ha attraversato in lungo e in largo l'Emilia Romagna. Giunto alla decima edizione, Crossroads ha ospitato nomi della scena musicale italiana ed internazionale, giovani musicisti e leggende viventi, jazzisti ortodossi e impenitenti sperimentatori... (Giuseppe Rubinetti) |
01/10/2007 | Intervista a Paolo Fresu: "Credo che Miles sia stato un grandissimo esempio, ad di là del fatto che piaccia o non piaccia a tutti, per cui per me questo pensiero, questa sorta di insegnamento è stato illuminante, quindi molte delle cose che metto in pratica tutti i giorni magari non me ne rendo conto ma se ci penso bene so che vengono da quel tipo di scuola. Ancora oggi se ascolto "Kind Of Blue" continuo a ritrovare in esso una attualità sconvolgente in quanto a pesi, misure, silenzi, capacità improvvisativi, sviluppo dei solisti, interplay, è un disco di allora che però oggi continua ad essere una delle cose più belle che si siano mai sentite, un'opera fondamentale." (Giuseppe Mavilla) |
24/10/2006 | Stefano Bollani, Rita Marcotulli, Andy Sheppard, Bobo Stenson tra i protagonisti del Brugge Jazz 2006 (Thomas Van Der Aa e Nadia Guida) |
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Data pubblicazione: 28/10/2007
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