di Paolo Carradori (Jazzit)
L'Instabile's Festival 2004 senza
l'Italian Instabile Orchestra ? Potrebbe sembrare una provocatoria
contraddizione ma non è così. La presenza di quella che è una delle orchestre
più famose al mondo è comunque forte in questo ottavo appuntamento pisano sotto
la preziosa guida artistica di Francesco Martinelli. Ben rappresentata
sia da progetti e formazioni che coinvolgono molti dei suoi musicisti, ma
soprattutto dall'aria che si respira, da vero cantiere di ricerca creativa che è
poi la filosofia dell'orchestra. Un programma che coinvolge spazi diversi oltre
il tradizionale Teatro Verdi (Cineclub Arsenale, Sala Multimediale Cinema
Lumìère, Teatro Sant'Andrea), parzialmente tematico se vogliamo, percorso che
mette a confronto musica improvvisata, elettronica, video, con tre grandi
artisti contemporanei Joseph Beuys, Umberto
Boccioni, Mimmo Rotella.
Il pianoforte di Umberto Petrin partendo da Refractions di Cecil Taylor, come
strumento di analisi, traccia ideologica, scandaglia nel profondo le tematiche
dell'artista tedesco Joseph Beuys (1921-1986). Attraverso
l'arte Beuys vuol ricreare un nuovo rapporto con il mondo, con il recupero della
natura, ricostruire l'unità dell'uomo, ridargli energia e tensione. Un'arte
capace con azione e parola (sculture sociali) di far entrare tutti gli
elementi viventi in comunicazione tra loro. Nel progetto Beuys Voice Petrin, tra l'altro poeta e profondo
conoscitore d'arte, riporta sulla tastiera le emozioni di un percorso
improvvisativo che fissa, scolpisce, nei ritmi/energia, in trasparenti spazi
sonori, una traccia forte, simbolica, un possibile legame antropologico con un
uomo nuovo, libero. Non a caso il pianista prende le mosse da Taylor, alter ego,
spazio di confronto dove mettere in gioco un ricco bagaglio culturale
novecentesco e tracciare contemporaneamente dalle complesse architetture
tayloriane un forte legame con la musica afroamericana. Con pregevole equilibrio
tra rigore e libertà espressiva Petrin, forte di un tocco limpido quanto lontano
da muffosi accademismi, con il contributo di nastri di nastri magnetici
preparati e le immagini amatoriali e suggestive del video "Diary of Seychelles", offre di nuovo una prova di
alto pianismo contemporaneo.
Ho veduto volare – Trittico per Boccioni è
invece il progetto del trombonista Giancarlo Schiaffini sull'opera
dell'artista calabrese. Il musicista dall'alto della sua oramai quarantennale
carriera nelle più prestigiose esperienze contemporanee (ha collaborato con John
Cage, Luigi Nono, Giacinto Scelsi, Steve Lacy, Misha Mengelberg solo per citarne
alcuni) costruisce un preziosa performance dove suono, immagini, voce,
elettronica, rappresentano piani di lettura che si intersecano, si allontanano,
dialogano, si confrontano, vicini in questo alla "sintesi dinamica"
teorizzata da Umberto Boccioni (1882-1916). Il futurismo fu probabilmente il
primo movimento artistico che si possa chiamare avanguardia, l'arte concepita
come radicale rivolgimento della cultura e del costume. Al manifesto letterario
di Marinetti del 1919 seguì il manifesto della pittura futurista, firmato altre
che da Boccioni, da Balla, Carrà e Russolo. Boccioni studia gli effetti fisici
della velocità sul corpo umano: il movimento è velocità, la velocità è una forza
che interessa l'oggetto che si muove e lo spazio in cui si muove. Questa ricerca
sul dinamismo rende attualissima l'opera di Boccioni, lavoro che si salda con
forza alla nostra società tecnologica, la pubblicità, i fumetti, internet, ecc…
Su questa attualità boccioniana, Schiaffini costruisce un progetto intriso di
quei fermenti, sperimentando linguaggio asciutto, suono disincantato, che
arricchisce con un uso dell'elettronica funzionale e non sterile espressione
tecnologica. Il trittico si completa con i contributi altrettanto decisivi di
Silvia Schiavoni e Ilaria Schiaffini. La Schiavoni canta, parla,
urla, legge tracce, saggi, scritti autobiografici dell'artista, rendendo
musicalità ai materiali orali, facendoli assurgere, oltre la valenza di
testimonianza, a costruzione sonora, strumentale, che ora riempie i silenzi ora
si sovrappone al linguaggio del trombone. In questo scenario emozionale le
immagini, le elaborazioni al computer di Ilaria Schiaffini, figlia di Giancarlo,
videoartista e studiosa d'arte contemporanea, chiudono il trittico con un
visionario quanto profondo lavoro di immersione, vivisezione, scomposizione
delle opere di Boccioni, alla ricerca di una possibile angolazione di lettura e
analisi critica. Una performance di sana arte contemporanea.
Mimmo Rotella (Catanzaro 1918) è probabilmente uno degli artisti più
originali degli ultimi decenni. L'artista trova una relazione tra il gesto
istintivo e inconscio dello strappare cartelli pubblicitari dai muri e le
nevrosi del cittadino, come un legame con la loro funzione consumistica. Lo
strappo cancella il valore comunicativo del manifesto, non solo, la lacerazione,
dal punto di vista estetico, lascia affiorare sorprendenti figure e colori del
cartellone sottostante, ne viene fuori un miscuglio di frammenti casuale, senza
nessuna rapporto tra loro. Rotella affianca a questa ricerca un lavoro sulla
voce, con i poemi fonetici, le poesie "epistaltiche, che esplorano le
possibilità della voce umana al di fuori dei linguaggi convenzionali, creando
una nuova grammatica di suoni e rumori. Il violinista Emanuele Parrini
e la cantante Tiziana Ghiglioni, insieme da anni in diverse
progetti, hanno dedicato all'artista catanzarese uno delle migliori
registrazioni del 2003 ("Rotella
Variations" – Splasc(h) /recensito su Jazzit n. 20). I due sul palco del
Tetro Verdi di Pisa con una corposa e prestigiosa formazione (Claudio
Fasoli sax; Gianluigi Trovesi alto e
clarinetto; Nico Gori
clarinetto; Giancarlo Schiaffini trombone; Jacopo
Martini chitarra; Franco Nesti contrabbasso; Tiziano
Tononi percussioni) ripropongono quel lavoro che dal vivo assume
caratteri emozionali del tutto speciali. La stratificazione dello strappo
rotelliano si traduce in una suite trasversale che si colora di sapori
contemporanei, improvvisazioni. ironia e libertà collettiva che esaltano il
carattere unitario dell'idea culturale che percorre tutto il progetto. Mentre
sullo sfondo scorre una selezione di opere di Rotella, soprattutto strappi e
decollage di Marylin Monroe, e ogni tanto dal nulla si ascolta la voce
dell'artista, un'energia circolare attraversa l'intera formazione e ogni
musicista fuori da unisoni e strutture, si mette in gioco creando tessere che
vanno a comporre un ricco mosaico. Emanuele Parrini da vero leader
gestisce i tempi e gli equilibri dell'ensemble, lasciandosi pochi soli come
sempre graffianti e concreti. La Ghiglioni a pieno agio nel
contesto surreale della serata evoca tutte le possibilità comunicative della
voce, legando tra loro i continui capovolgimenti tematici del percorso creativo.
Una coraggiosa ed intelligente prova nella difficile ricerca di una possibile
corrispondenza tra musica e arti figurative.
Doppio Senso Unico nell'affascinante spazio
del Teatro di Sant'Andrea vede all'opera Tiziana Bertoncini (violino),
Thomas Lehn (sintetizzatore), Giulia Gerace (video), Camilla
Bonadonna (fotografie). Una performance che al di là delle buone e sincere
intenzioni degli interpreti ha lasciato qualche perplessità. Il sintetizzatore
di Lehn,usato con ricca gestualità, costruisce spazi sonori, grovigli, silenzi,
fruscii, rumore, fischi, in una linea "stilistica" che non cade mai nella facile
soluzione o nella ripetizione. Di fronte a lui il violino della giovane
Bertoncini nega il proprio ruolo tradizionale a favore di un continuo lavoro di
destrutturazione anti-romantica, in una estrema ricerca sonora, percussiva,
lacerante. Dietro di loro scorrono delle immagini con un montaggio ritmico
diversificato. Ma queste tracce non si incontrano, rimangano parallele, una
lontananza, un vuoto che penalizza il valore singoli valori creativi.
Probabilmente "Doppio Senso Unico" vuol mettere a suo modo alla prova le
capacità di ricomposizione, di sintesi, di chi ascolta e guarda, ma allora
sarebbero servite coordinate più forti, progettualmente meno evanescenti.
Le rassegne i festival hanno spesso al loro interno un momento magico
ed unico per cui saranno ricordate, ebbene il set del trio Joelle Léandre
(contrabbasso/voce), Sebi Tramontana (trombone), Paul Lovens
(batteria) sarà sicuramente uno di questi. La Léandre uno dei pilastri della musica improvvisata europea ha
esposto, senza forzare dinamiche e teatralità, la sua profonda capacità di tirar
fuori dal suo strumento una miriade di suoni e soluzioni ritmiche che creano
tensione e spazio per i compagni di viaggio. Paul Lovens, camicia bianca,
cravatta, sembra come sempre capitato sul palco per caso, quasi fuori posto.
Appena impugna le bacchette però si capisce subito che quello è in realtà il suo
posto naturale. Con uno stile scarno, usando pochi elementi di un set
tradizionale, Lovens costruisce con una personalità senza confini una ragnatela
di sonorità, di ritmi sottintesi, gestualità sospese, che stanno sempre dentro
la logica dell'improvvisazione collettiva. Una essenzialità che trova nelle
splendida prova di Tramontana un referente forte. Il trombonista italiano sforna
una delle sue interpretazioni più sentite vicino a quei mostri sacri.
Prosciugando al limite l'espressività del suo strumento Tramontana trasmette una
tensione creativa che trova nei silenzi, in brevi frasi distorte da sordine, le
più diverse, un filo conduttore che illumina tutto il percorso della
performance. Ancora una volta l'emozione è alta di fronte a tre artisti che
senza spartiti, accordi preventivi, nobilitano nel modo più alto
l'improvvisazione totale al di fuori di etichette e stili.
L'ultima serata presso il Teatro Verdi ci regala due set
tanto diversi quanto interessanti. Il sassofonista torinese Carlo Actis
Dato con il suo quartetto (fondato nel 1984!) con Beppe Di Filippo
ai sassofoni, Enrico Fazio al contrabbasso e
Fiorenzo Sordini alla batteria, riconferma tutte le coordinate
di ricerca che da venti anni porta avanti con questa formazione. Un
fantasmagorico work in progress che ingurgita ritmi, colori delle musiche del
mondo per poi riproporli in una gestualità circense, teatro musicale dove
succede di tutto. Actis Dato compositore, esecutore ed organizzatore di suoni ci
coinvolge nella sua gioia di fare musica con travestimenti, gag, scorribande in
platea, quiz a premi con il pubblico. Dietro tutta questa ricca esposizione c'e
però un rigore esecutivo, un profondo lavoro d'insieme e una tecnica strumentale
straordinaria che i quattro fanno trasparire con una facilità sorprendente. Ci
piace sottolineare, dando per scontata la conferma delle forti e inossidabili
qualità dei componenti la formazione storica, la bella sorpresa di Beppe Di
Filippo che, in sostituzione di Piero Ponzo, all'alto e al soprano fornisce una
maiuscola prova sia rispetto alle dinamiche interne al gruppo che nei soli pieni
di energia corrosiva.
Il contrabbasista Giovanni Maier non poteva trovare migliore denominazione per il suo ensemble.
Mosaic Orchestra rende infatti appieno la logica progettuale che sta dietro l'idea musicale. La formazione costruisce infatti, seguendo il disegno del leader, un percorso creativo dove gli elementi di provenienze e forme diverse vanno a formare un'opera unica. Il legame forte è quello con il jazz nero che piace a Maier: i colori e i grovigli sonori mingusiani, la Liberation Music Orchestra come guida ideologica terzomondista, la gioiosa parodia dell'Art Ensemble of Chicago come collante, caleidoscopio degli stili della storia del jazz, ma anche schegge della caotica genialità di Frank Zappa. Si avvale in questo viaggio di una formazione straordinariamente viva e pulsante (Luca Calabrese tromba, Lauro Rossi trombone, Enrico Sartori sax alto e clarinetto, Saverio Tasca vibrafono, Giorgio Pacorig pianoforte, Zeno De Rossi batteria) con
la quale modella strutture e spazi improvvisativi con sapiente capacità ed
equilibrio.