Una Striscia di Terra Feconda Festival Franco-Italiano di Jazz e Musiche Improvvisate XX^ Edizione
Direzione Artistica di PAOLO DAMIANI e ARMAND MEIGNAN Roma, 15-23 settembre 2017 di Vincenzo Fugaldi
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Edizione numero venti per il festival ideato da
Paolo Damiani,
che ne cura la direzione artistica insieme ad Armand Meignan. Un festival
che sembra rispondere indirettamente alle meste considerazioni di Louis Sclavis
nel corso di una recente intervista ad Alberto Bazzurro pubblicata sul sito
del mensile Musica Jazz: "Non ci sono più gli scambi fra musicisti europei che
c'erano un tempo. Ci conosciamo sempre meno, mentre sarebbe preciso dovere degli
artisti e delle istanze culturali in genere creare dei legami, evidenziare lavorando
insieme ciò che ci unisce, e che tutto ciò funziona. Questo progressivo inaridirsi
dei rapporti non potrà che condurci a una catastrofe annunciata."
La parte di festival seguita da chi
scrive iniziava sulla Terrazza della pallacorda di Villa d'Este, con l'XYQuartet
di Fazzini, Fedrigo, Tasca e Colussi, che ha presentato
le musiche del recente ottimo cd «Orbite» per l'etichetta Nusica.org. Il
quartetto Chut schierava sul palco la tromba e il flicorno di Fabrice
Martinez, le tastiere di Fred Escoffier, il basso elettrico di Bruno
Chevillon e la batteria di Eric Echampard, in prima nazionale. Chut ha
già all'attivo tre cd, e omaggia, anche nella strumentazione (basso Fender, piano
Fender Rhodes e synth) gli anni settanta del secolo scorso con particolare riferimento
al progressive di gruppi come Soft Machine o Nucleus. Vamp di basso di trascinante
leggibilità, scansione dei tamburi e dei piatti felicemente oscillante tra rock
e jazz, un piano elettrico che gestiva il sostegno armonico con adamantina chiarezza,
bei temi spesso affidati all'unisono a tromba e synth, assolo del leader sempre
convincenti. Un omaggio condotto con sincerità e affetto verso una musica che ha
evidentemente lasciato un segno profondo nell'immaginario musicale. Della ritmica
Chevillon-Echampard non si potrebbe dir meglio, concordando con l'entusiasmo con
cui è stata presentata dai direttori artistici.
Martinez e Echampard hanno suonato anche la sera dopo all'Auditorium
in seno all'Orchestre National de Jazz diretta dal chitarrista Olivier
Benoit, con, tra gli altri, Theo Ceccaldi al violino e la cantante italiana
Maria Laura Baccarini. La concezione compositiva di Benoit, orientata verso
il tema delle grandi città europee cui il musicista rivolge la sua attenzione da
architetto, è austera, nulla concede a una fruizione epidermica, e fa grande affidamento
sul canto e sulla recitazione di testi in inglese, compito che la Baccarini affronta
con grande sicurezza e ottimi esiti. L'orchestra, composta da dodici elementi, si
è mossa compatta fra arrangiamenti complessi di grande qualità. La serata era stata
aperta dal conferimento del Premio SIAE 2017 ad Alessandro Lanzoni,
che ha eseguito una sua pregevole composizione di taglio cameristico con il supporto
di Dimitri Grechi Espinoza e Francesco Bigoni ai sassofoni e di
Naomi Berrill al violoncello. Sono quindi saliti sul palco insieme ai quattro
Simone Graziano e Stefano Tamborrino per il progetto "Purple Whales"
dedicato alle composizioni di Jimi Hendrix. In brani come Angel, HeyJoe, VoodooChild, il sestetto ha lavorato di fino sugli arrangiamenti,
giocando sull'alternarsi alle tastiere elettriche e acustiche di Graziano e Lanzoni,
sull'uso delle voci di Berrill e Tamborrino, sugli ottimi fraseggi dei sassofoni,
ospitando in un brano anche l'alto di Michele Tino. Una operazione sulle musiche
hendrixiane che ha escluso volutamente l'uso di chitarra e basso, testimoniata da
un cd pubblicato da La Repubblica-L'Espresso nella collana Jazz Italiano. In chiusura,
una pregevole composizione di Graziano, Windows on a Better World.
Una residenza d'artista del 2016 ha visto insieme Theo Ceccaldi
e Carmelo Coglitore che hanno guidato una formazione con Costanza Alegiani,
Roberto Negro, Gabriele Evangelista e Fabrizio Sferra in un
progetto articolato che valorizzava le qualità di ciascuno, dando particolare risalto
al violino di Ceccaldi e al pianoforte di Negro.
Maria Pia De
Vito, con il pianoforte di Benoit Delbecq e le percussioni e
l'elettronica di Michele Rabbia, assente il quarto componente Jim Black,
ha portato al festival il progetto Table, un'intensa immersione nelle consuete alternanze
fra sperimentalismo vocale e forma canzone, con recitazione di alcuni testi del
poeta Gabriele Frasca. Una versione da brivido di C'è tempo di Fossati, con
un'armonizzazione eterea, quasi impalpabile, e una interazione totale, fatta di
pianissimo, di silenzi, di un gioco continuo di rimandi tra tasti, percussioni,
voce.
Dal campo della musica contemporanea proviene il contrabbassista
Daniele Roccato, che ha composto un Requiem per trio di contrabbassi,
violino e percussioni. La contrapposizione fra parti scritte e le improvvisazioni
di Dominique Pifarely e Michele Rabbia ha portato elementi di marcata
complessità ma ben sostenuti dalle notevoli personalità artistiche presenti sul
palco.
L'incontro fra
Gianluca Petrella
e Paolo Fresu
ha generato frutti copiosi e memorabili: i due hanno utilizzato l'elettronica e
formidabili basi preregistrate (come a esempio un canto corale corso o un brano
tradizionale africano) per far da sostegno ai loro intrecci di fraseggi, con tutti
i pregi di una improvvisazione nel segno di un interplay magico, sorprendente. Insieme
creano un mondo sonoro completo, perfetto, che non necessita di alcun altro elemento
o supporto. Una musica che tra l'altro ha il grande merito di avvicinare il pubblico
giovane, pur senza trascurare momenti dedicati a standard come Line for Lyons
e Round Midnight.
Watchdog è un duo che si è esibito al festival in prima
nazionale, costituito dalle tastiere di Anne Quiller e dai clarinetti di
Pierre Horckmans. I due hanno colloquiato con toni prevalentemente intimistici,
avvalendosi delle varie possibilità di intreccio fra clarinetto, clarinetto basso,
pianoforte, piano elettrico, synth e voce.
Una citazione da Dumas, "Vingt ans après", è stata scelta da Damiani per
denominare il proprio quintetto, con Fresu, Petrella,
Danilo
Rea e Ceccaldi. Fra composizioni nuove e preesistenti, con un
intenso, lirico e riuscitissimo omaggio al canto sardo di Non potho reposare,
la scrittura di Damiani, che ha utilizzato il solo contrabbasso, ha valorizzato
adeguatamente le eccellenze artistiche presenti sul palco, con uno spazio privilegiato
per Ceccaldi, che ha potuto ancora una volta dimostrare di essere l'uomo di punta
del violino nel jazz oggi in Europa.
La chiusura del festival è avvenuta come d'abitudine alla Casa
del Jazz, con il quartetto di Gabriele Evangelista e il Fourneyron/Arcelli
Residence Ensemble. Il contrabbassista toscano ha presentato il suo primo gruppo
da leader alla prima esecuzione assoluta, con Pasquale Mirra al vibrafono,
Gabrio Baldacci alla chitarra e Bernardo Guerra alla batteria. Da
tempo uno dei più apprezzati giovani contrabbassisti italiani, Evangelista ha mostrato
anche doti compositive, in un quartetto che faceva presa sulle sonorità del vibrafono
scarne ed essenziali e sulle lisergiche volate della chitarra elettrica, copiosamente
modificata da effetti vari, dando grande spazio all'improvvisazione poggiante su
una sezione ritmica energica e dinamica. I lunghi brani suonati erano diversi per
atmosfere, alcuni fortemente ritmici, altri eterei e d'atmosfera ma sempre interessanti
e complessi.
Fidel Fourneyron e Cristiano Arcelli, vincitori
del bando indetto da MIDJ per una residenza di alcuni giorni, insieme a Francesco
Diodati, Matteo Bortone e Guerra hanno lavorato alacremente su
composizioni e arrangiamenti costituendo un quintetto denominato F.A.R.E., dimostrando
quanto sia feconda la prassi della residenza, che consente la creazione e la messa
a punto di nuove formazioni, dando ai musicisti il tempo necessario per conoscersi
e stabilire un'intesa artistica, evitando le session frettolosamente improvvisate,
che non sempre ottengono risultati soddisfacenti. I due hanno lavorato sulla forma
dello standard, costruendo, alla maniera a lungo sperimentata dal bebop, nuove composizioni
sulla struttura di brani preesistenti, dimostrando di avere lavorato con estrema
cura e impegno, e concedendo il dovuto spazio alla chitarra di un ispirato Diodati.