European Jazz Expo 2011 Cagliari, 26-29 maggio 2011
di Daniela Floris foto di Daniela Crevena
Un festival ricchissimo questo di EJE Cagliari, che sarebbe inesatto definire "Festival
Jazz" tout court, data l'estrema varietà degli artisti che si sono avvicendati sui
palchi del grande Parco di Monte Claro. Jazz, ma anche world music, ibridi tra pop
e jazz, reggae, e così via, caratteristica oramai diffusa tra tutte le maggiori
kermesse musicali: lecitamente si tende ad attirare il maggior numero possibile
di paganti, e con l'occasione anche il Jazz guadagna pubblico, che potenzialmente
potrebbe diventare "adepto" di un genere tutto sommato ancora "di nicchia".
Cinquanta concerti in quattro giorni, stand di case discografiche e case editrici
del settore ma anche di specialità alimentari tipiche, un bellissimo allestimento
destinato ai bambini con percorsi didattici sulla musica – con possibilità di suonare
ogni tipo di strumento a percussione ottenuto con gli oggetti più disparati e in
verità frequentatissimo anche dagli adulti -, e conferenze stampa. E soprattutto
circa 200 artisti in gioco, che hanno fatto i conti con un vento di maestrale che
ha suonato letteralmente insieme a loro, aggiungendo fascino ai suoni, nonostante
gli innegabili problemi tecnici che ne sono conseguiti. Molti concerti si sono svolti
in contemporanea, dunque è stata imperativa – per chi scrive - una scelta preventiva
della musica da seguire in maniera "scientifica". La "via maestra" è stato il Jazz,
con particolare riferimento a concerti che in Italia sarebbe stato più difficile
riascoltare.
Il primo concerto cui abbiamo assistito è stato quello del pianista norvegese
Helge Lien, in trio, che ha visto al basso Frode Berg e alla batteria
Knut Aalefjær. Un pianismo drammatico, accordale, con prevalenza di toni
scuri ma mai cupo, una ricerca continua dell'impasto sonoro, e una notevole suggestiva
comunanza d'intenti, specialmente tra batteria e pianoforte, in perfetta sintonia
ritmico – dinamica. Agli ostinati del contrabbasso spesso si e' contrapposto il
movimento dissonante del piano, che nei momenti di intenso crescendo, ha privilegiato
accordi e armonia rispetto al tratto melodico. Mano sinistra importante dunque quanto
la destra, e una sonorità sempre piena, con affascinanti episodi di "raccordo" quasi
silenti.
Lien ama certamente destrutturare, arriva a volte a sfiorare l'entropia ma senza
esagerare mai con i volumi: il clima, la tensione, si mantengono casomai con l'uso
degli accordi, delle dinamiche molto curate, e spesso con l'uso (sapiente) degli
ostinati. Prolifico e intenso il contrabbasso di Berg, ha contribuito non poco a
quell'andamento che si può definire "a ondate", in un flusso sonoro mai omogeneo
e sempre raffinato e di gusto. Ci sono stati anche brani stilisticamente diversi,
tra cui il primo brano in assoluto composto da Lien, riecheggiante
Bill Evans
(e dal quale si è compresa la profonda evoluzione personale di questo pianista particolarissimo),
ma anche ("It is what it is"): pezzi molto lirici, in tonalità maggiore più definita,
anche se comunque armonicamente non semplice, e un "Amapola" garbato, gentile e
molto poetico, più latineggiante che mai eppure fascinosamente nordico.
Con Maria
Pia De Vito ci si immerge in un'atmosfera completamente diversa,
quella di "Mind The Gap", suo ultimo disco da poco uscito per l'etichetta
EmArcy. Concerto molto sofferto per i musicisti sul palco (con la vocalist c'erano
Claudio
Filippini al pianoforte, Roberto Cecchetto alla chitarra,
Luca Bulgarellial basso e Walter Paoli alla batteria),
per il fortissimo vento. Sinceramente però il maestrale ha disturbato artisti e
tecnici, ma non il pubblico (merito anche della professionalità della granitica
Maria Pia) che nonostante questo ha assistito ad un concerto veramente trascinante.
Un po' per la bella varietà del repertorio presentato, che ha dato origine a musica
tutt'altro che monocorde – anche per la versatilità esecutiva della De Vito e dei
suoi musicisti; un po' per i brani in sé (alcuni originali, alcuni standard, comunque
tutti interpretati con piglio e personalità non solo della leader ma anche del suo
quartetto); un po' per l'incontestabile feeling tra gli artisti e per la loro indiscutibile
bravura. L' interazione di questo gruppo è stata perfetta per tutta la durata del
concerto: sia durante brani acustici, come quello suggestivo di apertura, riecheggiante
"Summertime"; sia nei momenti in cui gli strumenti erano sospesi,
e in cui tutto si è giocato sul timbro vocale della De Vito; sia durante brani "cult"
("If 6 Was 9", di Jimi Hendrix, ad esempio, con il suo arrangiamento altalenante
tra efficaci stop time e formidabili riprese, in cui Cecchetto alla chitarra ha
mostrato ancora una volta una creatività nei fraseggi e un'energia incredibile),
ma anche quando la scelta e' andata su elettronica e scat. Filippini al pianoforte
e alle tastiere è definibile in mille modi: folle, lirico, serio, acustico, tecnologico,
incalzante, eclettico, sghembo perfino, e da' un'impronta creativa fondamentale
se non in alcuni momenti addirittura fondante. Bulgarelli e Paoli hanno costruito
per tutta quest'ora di concerto un'impalcatura solidissima ma anche bella da ascoltare,
non solo "funzionale" alla vocalità della leader, ma di valore musicale intrinseco.
Maria Pia De
Vito quando dispiega la voce è espressiva e naturale e ha dimostrato
di essere ancora "interprete" e non "cantante".
Tra questi due concerti abbiamo colto momenti d'intensità mediterranea con Rita Marcotulli,
Javier
Girotto e
Luciano Biondini, tra jazz e musica tradizionale, connotata
dal gusto e dalla cura per i temi melodici vibranti ed intensi; ma anche la tromba
dal timbro delicato ed inconfondibile di Luca Aquino, insieme al Lokomotive
Trio, i giovani e creativi Tommaso Folchetti al piano, Mario
Mazzenga al contrabbasso e Giulio Marcellialla batteria.
Aquino e la sua continua, fruttuosa ricerca sonora lo abbiamo ascoltato anche nello
spazio "Showcase", duettare dapprima con
Andrea Tofanelli,
e poi regalare suggestioni dal suo ultimo album "Chiaro".
Vale la pena di documentare la scoppiettante Jam Session avvenuta al T Hotel al
nostro rientro, quando al termine del concerto di Nick
the Nightfly si sono avvicendati sul palco, insieme al cantante,
tutti i musicisti che si trovavano li al momento, cioè moltissimi, data l'ora tarda:
Jeff Ballard, Stefano
Bollani anche a quattro mani con Julian Oliver Mazzariello,
Amedeo Ariano, Sergio Cammariere,
Nico Gori,
Francesco Puglisi e altri ancora.
Il vento continua a portare note di tutti i generi al parco di Monte Claro, e se
crea problemi acustici a tecnici e addetti ai lavori, durante la giornata porta
sollievo al pubblico che segue in concerti sotto un sole convinto. Sono molti gli
eventi in programma, e in vetta alle necessarie scelte, è il concerto del pianista
armeno Tigran Hamasyan, artista si è rivelato davvero nuovo, intenso, nonostante
la sua giovanissima età; ha mostrato di avere una propria personalissima espressività,
un linguaggio già strutturato, un retroterra musicale molto ampio che comprende
la musica colta classica, naturalmente compresa tutta quella russa del novecento,
ma anche di conseguenza la musica tradizionale presumibilmente armena e non solo.
Il tutto non sterilmente giustapposto o peggio riproposto nella oramai trita e consunta
veste della "contaminazione", ma semplicemente filtrato, metabolizzato, vissuto
da una personalità artistica forte e di alto profilo. Un concerto veramente bello,
fatto di progressioni armonico - melodiche discendenti e indefinite, momenti ripetuti
circolarmente e vagamente ossessivi, predilezione per tonalità in modo minore, passaggi
graduali da suoni nostalgici ad angoscianti "fortissimo", fatti di figure ritmico
- armoniche trasposte sulla tastiera in crescendo ("Samsara"). Incanta "Someday
My Prince Will Come", stravolto, fiabesco si, ma per nulla rassicurante,
quasi aggressivo in alcuni momenti, cantato mirabilmente sui tasti in maniera emotiva.
La mano sinistra è fortemente presente sul piano e contrasta il lato fiabesco melodico
della mano destra. Per tutta la durata di questo classicissimo standard Hamasyan
esprime una poesia estremamente tormentata e anche drammatica salvo un finale pianissimo,
dolcissimo sui tasti acuti, che apre un sollievo ed una speranza inaspettatamente
"a lieto fine". Un retroterra fatto anche di piccole danze tradizionali sincopate
e, al momento in cui Jeff Ballard, come ospite, si è seduto alla batteria,
si è capito subito che il clima di Hamasyan era stato recepito in pieno: così l'onirico
6/8 e' stato tramutato da "ninna nanna" a brano connotato da una folle quantità
di battiti sottesi, accenti inusuali che hanno disegnato una infinita varietà di
ritmi in un tempo originariamente regolare e tranquillizzante. Ballard, durante
il bis, sceglie congruamente di volta in volta se assecondare la mano sinistra di
Hamasyan, ed il suo incedere pesante e cadenzato dare ulteriore leggerezza, con
le spazzole, alle piccole note acute della mano destra. Al termine del concerto
si ha la netta sensazione di aver ascoltato una solida rivelazione del pianoforte.
Stefano Di Battista nel pomeriggio propone il suo nuovo ambizioso
progetto "Woman's Land". La band è di tutto rispetto: Stefano
Di Battista al sax, Julian Oliver Mazzariello al pianoforte,
Jeff Ballard alla batteria, Francesco Puglisi al contrabbasso,
e alla chitarra Jonathan Kreisberg, e come "guest" il trombettista
Flavio
Boltro. Ogni brano rappresenta, racconta, disegna, esprime una grande
donna del nostro millennio: dalla Molly Bloom dell'Ulisse di Joyce, a Rita
Levi Montalcini, alla cosmonauta Valentina Tereskova, ad Anna Magnani, a Lara Croft,
ad Ella Fitzgerald. Musica coinvolgente, energica, molto ben eseguita, da
musicisti di altissimo livello e con un grado d'interplay davvero notevole. Il giornalista
Gino Castaldo è la voce narrante che prende per mano il pubblico dando cenni
su ognuna delle carismatiche figure femminili in questione. La musica convince:
Di Battista in gran forma e più energico che mai, Jeff Ballard, batterista
di classe incanta con la sua fantasia inarrestabile e sempre emozionante (fantastico
il suo solo in "Lara Croft"), così come Kreisberg, che ricama linee melodiche inaspettate
giocando con Di Battista (in "Anna Magnani" l'intro di chitarra morbida alla quale
si è unito il sax soprano è stata veramente suggestiva, nel suo lirismo puro). Puglisi
ha un'eleganza innata anche nei momenti più frenetici in stile "anni 70" come in
"Valentina Tereskova".
Flavio Boltro
in "Maria Lani" entra con un' introduzione funky quasi da colonna sonora di film
giallo e si esibisce in un duetto stellare con Di Battista, con i due musicisti
in perfetta sintonia, energici, precisi, coinvolgenti. Forse l'unico punto debole
che sembrerebbe un po' forzato è proprio dare a tutta questa bella musica un filo
conduttore così connotato, con la voce narrante, il che - in alcuni momenti - rende
un po' di "facciata" le scelte stilistiche compositive (cosmonauta russa – brano
anni 70); oppure al contrario rende incomprensibile il motivo per cui a Rita Levi
Montalcini sia associata una ballad morbidissima, invece che un altro tipo di brano.
Il che naturalmente non ha sottratto valore artistico alla musica in sé: applausi
meritati per un concerto coinvolgente.
Anche Enzo
Pietropaoli con il suo quartetto ha presentato il suo nuovo cd:
"Yatra" ne è il titolo, ed è stato presentato quasi "eroicamente" poiché aleggiavano
prepotenti da un lato il bis di Cammariere, al termine del quale sono poi cominciate
le operazioni di smontaggio palco, dall'altro le note e i cori dell'ethnomusic di
Saba Anglana, feat. Roy Paci. Per musica così delicata, elegante, intensa, e' stata una dura prova. Ma il quartetto
(formato da Pietropaoli al contrabbasso, Julian Oliver Mazzariello
al pianoforte, Fulvio Sigurta' alla tromba e Alessandro Paternesi
alla batteria) non si e' lasciato disorientare ed e' stato premiato da un afflusso
sempre maggiore di gente, attratta probabilmente proprio da quei suoni morbidi ma
anche vibranti: tanto che al termine di questo bellissimo concerto c'e' stata una
vera e propria ressa per accaparrarsi i cd in vendita (che non sono bastati).
Garbati, ma swinganti, dolci e allo stesso tempo corposi nei volumi bassi ed eleganti
nei volumi alti, sobri ma intensi, questi quattro musicisti per un'ora e mezzo hanno
suonato un jazz di livello, non di maniera o di eleganza meramente estetica. Sigurta'
alla tromba è apparso ispirato, ha ricamato fraseggi che si possono tranquillamente
e semplicemente definire belli, accattivanti, poetici. Mazzariello al pianoforte
ha spesso accennato più che imposto linee ritmico melodiche, ma senza disperdersi,
creando un'efficace e affascinante tensione sonora. Pietropaoli ha esposto i temi
dei brani presentati in modo poetico, evocativo, creando emozioni con l'arte delle
dinamiche, delle sottigliezze che poi, in una parola, sono quelle che fanno la musica,
e che fanno della musica un linguaggio espressivo. In brani quali "Wise Up", "Yatra",
"Il mare di fronte", "Onda minore", per citarne solo alcuni, è emersa sempre una
"raffinatezza emotiva", una volontà di parlare senza mai urlare (complice anche
la batteria del giovane e bravo Paternesi), perché una cosa è il volume, una cosa
è l'intensità.
Prodotto da JandoMusic per l'etichetta ViaVenetoJazz, questo ci è sembrato un cd
veramente da ascoltare con attenzione, considerato ciò che abbiamo sentito dal vivo.
Brava anche Simona Severini, giovane cantante dalla voce dolce, espressiva,
flautata, e il suo repertorio affascinante di chansons; bella rivelazione
in un panorama di vocalist sempre più omologate. Anche il concerto di Sergio Cammariere,
ben confezionato, acclamatissimo con tifo quasi da stadio, accompagnato da artisti
di livello che come sempre l'hanno aiutato traducendo in linguaggio jazzistico le
sue canzoni (Luca Bulgarelli al contrabbasso, Bruno Marcozzi
alle percussioni, Amedeo Ariano alla batteria, Olen Cesari
al violino, Daniele Tittarelli al sax); innegabilmente cantautore di grande richiamo, è stato uno degli artisti
che hanno permesso a questo Festival allegro e variegato di totalizzare un numero
record di paganti (insieme naturalmente a Bollani, e ai gruppi non propriamente
jazzistici che hanno attratto moltissimi giovani) dei quali hanno poi potuto godere
anche i jazzisti propriamente detti: e il pubblico incuriosito bisogna dire è stato
attirato efficacemente a concerti ai quali magari non avrebbe assistito se non si
fosse trovato nel grande Parco di Monte Claro.