Südtirol Jazz Festival Altoadige
25 giugno - 4 luglio 2010
di Vincenzo Fugaldi
Foto: Alto Adige Jazzfestival / Günther Pichler
Il festival altoatesino prosegue nella sua tendenza all'ampliamento
territoriale e quest'anno, oltre al capoluogo Bolzano, ha portato le note del jazz
in rifugi e cantine (Jazz on the mountains, Jazz & wine), nelle banche
(Jazz & banking), a Bressanone, Brunico, Merano e in Val Venosta.
Uno dei maggiori pregi di questa mastodontica iniziativa,
che coinvolge in dieci intense giornate centinaia di artisti, è quello, importantissimo,
di far conoscere in Italia nuovi talenti europei. La posizione di frontiera e il
bilinguismo rendono l'Altoadige il luogo ideale per svolgere questo fondamentale
servizio, e ne è ben consapevole l'infaticabile direttore del Festival, Klaus
Widmann.
Nella seconda metà seguita da chi scrive, si sono ascoltati per
la prima volta in Italia due grandi giovani talenti europei, entrambi tedeschi:
Matthias Schriefl e Frank Woeste. Schriefl ha suonato in duo con il
vibrafonista lussemburghese Pascal Schumacher presso il Point 12 della Cassa
di Risparmio di Bolzano. Un incontro-scontro tra l'apollineo e il dionisiaco, anche
nei rispettivi abbigliamenti: il vibrafonista avrebbe potuto tranquillamente essere
scambiato per un impiegato della banca, mentre i colori sgargianti indossati dal
trombettista si contrapponevano al primo. E nel set improvvisato - i due si incontravano
per la prima volta - la compassata freddezza dell'uno strideva con l'estrosità dell'altro,
teso a ricavare dai propri strumenti (oltre alla tromba aperta e sordinata, uno
splendido trombone in legno dal suono caldo e ovattato, un lungo corno da montagna,
persino un bicchier d'acqua con il bocchino immerso) sonorità complesse e mutevoli,
in una ricerca che poteva far pensare a tratti al trombonista Albert Mangelsdorff,
suo illustre predecessore e conterraneo. Il festival ha offerto altre due occasioni
per ascoltare questo interessantissimo musicista (che ha al suo attivo già diverse
formazioni e alcune incisioni). La prima in seno all'orchestra locale "Sweet
Alps", diretta da Helga Plankensteiner, ove è stato special guest
insieme a Gianluca
Petrella, in un progetto intitolato "Mundial" composto dal tastierista
meranese Michael Lösch in omaggio alla competizione calcistica in corso.
La proiezione di immagini soprattutto calcistiche, manipolate elettronicamente in
tempo reale sincronicamente alla musica, contrappuntava con gusto le valide e fresche
composizioni, molto aderenti al tema, arrangiate intorno ai contributi di Schriefl
e Petrella, che hanno assolto il loro compito con appassionato impegno, sia nell'esecuzione
delle parti scritte che in ottimi assoli.
L'altra occasione per ascoltare il trombettista è stata alla
fine del concerto tenuto da
Danilo
Rea in pianoforte solo - trasportato con un elicottero - su una piattaforma
costruita ai piedi del Sassolungo, al di sopra del Rifugio Comici. Una giornata
di sole ha dato ai tanti escursionisti spintisi su per ascoltare il concerto l'emozione
di una lunga esibizione di Rea che ha inanellato instancabilmente senza interruzioni
un pot-pourri di standard, canzoni, arie d'opera. A conclusione del concerto, il
pianista ha invitato Schriefl a suonare un All Blues che il trombettista
ha reso con un solismo diametralmente opposto a quello davisiano, stimolando ulteriormente
la curiosità e il desiderio di riascoltarlo in Italia, possibilmente alla guida
delle proprie formazioni.
A capo del suo trio è stato invece possibile ascoltare, nell'incantevole
cornice della tenuta di Alois Lageder, la Vineria Paradeis di Magrè, il trentaduenne
pianista tedesco stabilitosi a Parigi Frank Woeste, con al contrabbasso
Jerome Regard e alla batteria Matthieu Chazarenc. Il paragone con
i trii di Esbjorn Svensson (EST) e di Ethan Iverson (The
Bad Plus)
è d'obbligo, ma la musica proposta da Woeste ha una sua particolare cifra stilistica,
di grande eleganza ed equilibrio formale, che non si rifà mai esplicitamente ai
modelli, con una sequenza di pregevoli composizioni originali le cui esecuzioni
poggiano sull'eccellente tecnica del trio senza ricorrere ad alcun tipo di effetto
elettrico né elettronico, ma affidandosi alla bellezza del suono acustico degli
strumenti per realizzare ritmi e atmosfere di grande impatto, costruiti su sobrie
cellule tematiche risultando estremamente gradevoli e coinvolgenti all'ascolto.
Una musica di gusto molto elevato, in cui ogni nota è giusta e necessaria, e non
vi è spazio per facili e compiaciuti virtuosismi. Un trio che si potrebbe benissimo
ascoltare in casa ECM, per il profondo rispetto per l'estetica dei suoni, il respiro
meditato dei fraseggi, l'atteggiamento liquido e coerente verso il silenzio. Val
la pena citare i titoli dei brani eseguiti, tutti composti dal leader: Mother
Adrenaline, Naked Moon, Midnight Citizen, Simply Said,
Crossroads, Line for Lia, Warmer Regen.
La centrale piazza Walter di Bolzano ospitava il set del giovanissimo pianista
toscano Alessandro Lanzoni, con Gabriele Evangelista al contrabbasso
e Tommaso
Cappellato alla batteria. Il trio, consolidato e paritario, ha eseguito
un programma di brani originali composti da Cappellato e di standard, tra cui alcuni
di Shorter. Da lodare in particolare la granitica presenza dell'altrettanto giovanissimo
Evangelista, una grande realtà del jazz italiano, che ha già al suo attivo una eloquente
collaborazione con
Enrico Rava.
A chiusura del convegno "Culture meets economy", che ha
visto tra gli altri la partecipazione di Carlo Pagnotta, presso l'EURAC ha
suonato il trio promosso da Umbria Jazz composto da Joe Locke al vibrafono,
Dado Moroni
al pianoforte e Rosario Giuliani ai sax alto e soprano. Sesto e ultimo concerto
di un breve tour italiano per questo inedito chamber trio, dopo l'incisione
di un cd che sarà pubblicato da Egea nel mese di settembre. Un ensemble di grandi
fuoriclasse all'insegna dell'eleganza, che agisce con lodevole spirito di cooperazione
musicale, realizzando una proposta estremamente gradevole e rilassata, ma allo stesso
tempo traboccante di swing e dai densi contenuti musicali. Assoli spontanei e concentrati,
una magica interazione tra pianoforte e vibrafono - nel solco delle grandi esperienze
di dialogo tra questi due strumenti nella storia del jazz - che accolgono nel miglior
modo gli interventi di Giuliani, il cui travolgente solismo è qui particolarmente
a suo agio. I tre hanno eseguito ottimi brani originali, che si ritroveranno sul
cd in uscita (Swords of Wispers,Steppin' on the Stars e Love is
a Pendulum di Locke, My Angel di Giuliani, un omaggio a
McCoy Tyner
di Moroni intitolato Brother Alfred, in puro ed energico stile tyneriano)
e standard noti come una intensa The Peacock di Jimmy Rowles, una scatenatissima
Cherokee conMoroni incredibilmente swingante e il trascinante blues
finale, Bag's Groove, in un concerto presentato con cordiale simpatia da
Joe Locke.
Il Teatro Studio Theater, la sera dell'1 luglio, ha accolto la
grande formazione di 11 elementi costituita da
Enrico Rava
per il suo omaggio alle musiche di George Gershwin: oltre al leader, Francesco
Fratini alla tromba,
Daniele Tittarelli al sax alto, Dan Kinzelman al
sax tenore e clarinetto, Mauro "Otto" Ottolini al trombone e al sousaphone,
Marcello Giannini alla chitarra, Giovanni Guidi al pianoforte,
Stefano Senni
al contrabbasso, Zeno De Rossi alla batteria e la partecipazione straordinaria
di Gianluigi
Trovesi al sax alto e clarinetto basso e di
Gianluca Petrella
al trombone. La numerosa compagine si avvale degli arrangiamenti di Kinzelman, che
sin dagli iniziali It Ain't Necessarily So e I Loves You, Porgy si
rivelano aperti e ariosi, atti a tirare fuori il meglio dalle notevoli personalità
musicali coinvolte. Zeno De Rossi, qui in alcuni momenti quadrato e puntuale,
in altri libero ed estroso, dimostra ancora una volta di sapersi adattare a ogni
contesto, mantenendo la propria fantasia stilistica: il batterista ideale per ogni
formazione. Il chitarrista Marcello Giannini è essenziale al progetto sia
come accompagnatore che come solista, e in entrambi i ruoli si distingue per tecnica,
fantasia, ricerca sulle sonorità, un vero nuovo talento da seguire con attenzione.
In un concerto che avvince, anche gli altri musicisti fanno la loro parte con impegno,
con una menzione per i suoni scuri di Ottolini, che mette in ogni nota un
infinito amore per la musica, oltre a una rilevante padronanza della tradizione
jazzistica, e per il pianoforte di Giovanni Guidi, che si impegna in pregevoli
momenti in trio. Rava riserva per sé le esposizioni dei temi e numerosi assoli,
lasciando comunque grande spazio agli altri componenti. L'ingresso di Trovesi e
Petrella, su uno splendido e liberissimo arrangiamento della Rhapsody in Blue,
cambia le carte in tavola, e la musica acquista un'energia tutta nuova, sin
dall'iniziale glissato al clarinetto affidato a Kinzelman, con i fiati che sostengono
gli ispirati solisti con riff estemporanei. La situazione diventa più vitale e collettiva,
Ottolini si produce in un assolo al sousaphone di grande agilità tecnica e swingante
fantasia, tra gorgoglii e riprese dei temi, seguito da un travolgente assolo di
Trovesi al clarinetto basso con il solo accompagnamento della chitarra. But not
for me inizia in un tradizionale stile da street band, ed è seguita da una versione
di Summertime di suggestiva e meditativa bellezza, dando modo a Rava di prodursi
in un assolo di folgorante pertinenza. Una brevissima versione di stampo espressionista
di I Got Rhythm, sfolgorante di colori e libertà, conduce alla immortale
ballad The man I love, romantica e struggente, con la chitarra che contribuisce
ad arricchire le atmosfere con un apporto di grande attualità, sostenendo il trombone
di Ottolini qui delicato e sornione, evocativo e fedele allo spirito della canzone,
che si conclude in un finale trascinante dall'incedere solenne. Il bis, Autobiografia
di Rava, riconduce a frenetici ritmi urbani, sulla solida base rock della chitarra
distorta.
Il pianista pugliese
Livio Minafra, dopo innumerevoli concerti in solitudine, ha recentemente
costituito il suo quartetto, con
Domenico Caliri
alla chitarra elettrica,
Gaetano Partipilo
al sax alto e Maurizio Lampugnani alla batteria e alle percussioni. Anche
nella dimensione di gruppo prevalgono nelle corde di Minafra temi gioiosi e giocosi,
e nella sua musica di oggi si trovano forti riferimenti ad un certo progressive
rock, in particolare a quello degli Area, come nei brani Sorpresa e Uzbek,
dai ritmi balcanici e tempi dispari. Anche se non completamente superate le insidie
dell'incontro tra pianoforte e chitarra, il valore di entrambi rende la musica fresca
e scorrevole. Minafra fa anche uso della voce, del fischio, e di una tastiera, per
aggiungere colori alla sua fantasiosa tavolozza, che mantiene costantemente una
solarità di fondo grazie anche agli apporti degli altri componenti il quartetto,
tutti molto ben inseriti nel discorso musicale. L'unico brano meditativo, Lacrime
e stelle, è dedicato alla tragedia degli immigrati, alle loro disperate traversate
notturne del Mediterraneo, con il lirico tema commentato dallo xilofono. Il punto
di forza di questo quartetto è quello di avere già una precisa identità, un suo
suono, che fa presagire buoni sviluppi.
Nello spazio verde tra il Museion e il fiume Talvera, si è esibito
il gruppo Septik di Mederic Collignon, con oltre al leader alla tromba,
voce e tastiere, Frank Woeste e Mathieu Jerome al piano fender,
Jean-philippe Morel al basso, Maxime Delpierre alla chitarra, Thomas
De Pourquery ai sax alto e soprano e voce e Philippe Gleizes alla batteria.
Il nuovo progetto dell'estroso trombettista francese è dedicato a Ennio Morricone,
un compositore cui già sono stati tributati svariati omaggi, come quello da parte
di John Zorn, sicuramente tra i più riusciti. Pur percorso da buone idee, la proposta
di Collignon nel suo insieme è parsa piuttosto confusa, anche per la scelta di amplificare
la musica ad altissimo volume, facendo così scomparire nei brani più concitati il
contributo dei singoli. Arrangiamenti a volte esageratamente rock, con in evidenza
la potente energia del batterista, lasciavano a tratti il passo a momenti in cui
i suoni erano meglio modulati e la musica acquistava un respiro comunicativo, svelando
anche felici guizzi ironici e forme di personalissima teatrale conduction
da parte del leader, il quale non si è fermato neanche dinanzi all'arrivo di un
temporale.
La serata finale è stata affidata a quella che oggi può essere
a ragione considerata l'ultima delle grandi cantanti del jazz classico,
Dianne Reeves,
accompagnata da un combo eccezionale: Peter Martin al pianoforte e al piano
elettrico; il chitarrista brasiliano Romero Lubambo alle chitarre classica
ed elettrica; Reginald Veal al contrabbasso e basso elettrico; Terreon
Gully alla batteria. Un'esibizione che ha coniugato sapientemente e ad altissimi
livelli cuore e professionalità: la vocalità della Reeves è intrisa di gospel, blues,
rhythm'n'blues, è perfetta nei bassi bruniti come nei sovracuti più sottili, con
felici scelte di repertorio per nulla scontate. In più v'è la capacità di stare
sul palco con soave levità, da vera star. Di grande livello la prestazione del gruppo
con il chitarrista che, specie allo strumento acustico, ha dimostrato di essere
un vero fuoriclasse.