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Quattro chiacchiere con...Joyce E. Yuille
ottobre 2015
di Alceste Ayroldi
foito di Roberto Prosdocimo

"Welcome To My World" è l'elegante, raffinato e intrigante primo album da leader della vocalist statunitense Joyce E. Yuille che sarà presentato al Blue Note di Milano il 31 ottobre.

Joyce, partirei da "Welcome To My World", che è il tuo primo album da leader. Come mai hai atteso fino ad ora?
Ho sentito che era giunto il momento giusto per fare qualcosa per me stessa. Ho lavorato su questo album per circa due anni. La ragione per cui ho atteso tanto a lungo è perché ho cercato di fare qualcosa di speciale. Chiunque può andare in uno studio e registrare un album in un solo giorno o in una settimana, ma io volevo essere in grado di fare le scelte giuste per i brani, prestare attenzione a ogni dettaglio importante e presentare un progetto unico.



Il tuo mondo musicale è sinuoso, elegante, danzabile. C'è qualcosa che è cambiato nella tua musica rispetto al passato?

Sì, certamente! Sono maturata musicalmente rispetto al passato. Amo ancora diversi generi musicali, ma sento di essere più attratta da un certo tipo di jazz che è parte del mio viaggio verso un sound più definito. Sento che il mio stile e il mio approccio alla musica si è evoluto straordinariamente in un suono più concreto, molto più definito.

Parliamo del tuo incontro con Luciano Cantone, che ha prodotto il tuo disco ed è anche autore di alcuni brani.
Ho conosciuto Luciano grazie a un altro produttore con il quale avevo collaborato in passato. Lui conosceva il mio stile e ha pensato che la Schema Records fosse il posto giusto per il mio primo album da solista. Quando sono arrivata alla Schema io e Luciano abbiamo parlato di Black Music, R&B e mi colpì il fatto che conoscesse molti brani della mia adolescenza. Abbiamo quindi iniziato a parlare di cosa avrei voluto fare e mi diede alcuni consigli. Io sono molto accondiscendente su diversi campi, ma sono anche molto cocciuta quando sono convinta delle mie idee. Comunque, Luciano mi ha lasciato ampio spazio. "Come with me" è uno dei brani che Luciano mi ha dato e mi sembra uno dei più gradevoli up-tempo del disco.

La collaborazione con Luciano Cantone e la Schema Records ha modificato qualcosa del tuo universo musicale?
Mi ha aiutato a imparare un po' di più sulla produzione e sul mercato della musica: Il più piccolo dettaglio, i pro e i contro. Mi è piaciuto essere un'artista a tutto tondo; osservare come le cose procedono in una casa discografica è stato molto interessante per me. Ho trascorso parecchio tempo alla Schema, perché avevo la fortuna di vivere a soli dieci minuti dagli studi. Mi è stato molto utile essere lì frequentemente.

Un organico di musicisti che comprende la band di Timo Lassy. Avevi già collaborato in precedenza con il musicista finlandese?
Ho incontrato Timo grazie alla Schema. Timo aveva pubblicato qualche album con loro in passato e in quel periodo stava per pubblicare il suo terzo album. Al Blue Note di Milano era in programma una "Schema Night" ed ero stata invitata per esibirmi in un brano con Timo e la sua band; lo avevo ospitato anche nella mia rassegna Jazz & Racquet Project a Brescia: una piccola rassegna jazz che ho creato con il mio compagno che è un ex tennista e amante del jazz. In pratica, l'unione tra me e Timo è iniziata con queste due performances. Luciano ha avuto l'idea di farli suonare, perché tutto il mio album si adattava magnificamente con il suono di Timo e la sua band.

Immagino che non sarà cosa semplice poter ascoltare dal vivo "Welcome To My World" con la formazione del disco. Hai pensato a una soluzione alternativa?
Sarebbe meraviglioso avere lo stesso sound dell'album, ma la contempo la performance dal vivo offre agli artisti l'opportunità di creare qualcosa di nuovo sul palco: qualcosa di magico. Amo improvvisare durante i miei concerti e cercare una situazione che mi permetta di fare questo. Timo è sempre impegnato in tour con la sua band e, tra l'altro, vive in Finlandia, così ho avuto la fortuna di essere invitata dal mio amico sassofonista Alessandro Fariselli a partecipare con il suo gruppo ad un festival in Emilia Romagna. Abbiamo incominciato a chiacchierare sull'idea…et voilà! Ora sono in tour con una band di eccellenti musicisti emiliano-romagnoli che si chiama Jazz Inc. Sono tutti musicisti con un notevole background: oltre ad Alessandro Fariselli, ci sono Massimiliano Rochetta al pianoforte, Mauro Mussoni al contrabbasso, Luca Mattioni alle percussioni e Fabio Nobile alla batteria. Tutti eccellenti musicisti che sono stati anche in tour con Mario Biondi.

Un album che mette insieme soul e jazz. A quale dei due emisferi senti di appartenere di più?
Sono cresciuta a New York City nell'area chiamata El Barrio (Spanish Harlem). Qui sono stata fortemente influenzata dalla musica Latina poiché in quel quartiere vivevano molti immigrati portoricani. Comunque, vi erano anche molti neri nel quartiere ed eravamo circondati dal soul e R&B. A casa ascoltavamo tutti i generi musicali, ma il soul è quello che mi ha maggiormente influenzato. Dopo l'adolescenza ho iniziato ad esplorare il jazz e, naturalmente, quando mi iscrissi alla scuola superiore (l'istituto Fiorello LaGuardia, scuola a indirizzo musicale e artistica; dove Alan Parker ha ambientato il film "Fame"), studiai canto lirico e jazz. In ogni caso, mi sento molto più vicina al jazz.

Spicca tra le cover "It's Madness" di Marvin Gaye. Un omaggio a un grande musicista, oppure è il tuo punto di riferimento artistico?
Con franchezza non ricordavo che quel brano fosse di Marvin Gaye! Un giorno, mentre stavamo decidendo quali cover inserire nel disco, Luciano mi disse che amava la canzone "It's Madness" e la suonò per me. Mentre l'ascoltavo, tutto cominciò a tornarmi in mente. E' il mio modesto omaggio a una delle più grandi voci maschili di tutti I tempi. Non è un compito facile fare una cover di un brano di Marvin Gaye, specialmente "It's Madness". Gaye era in un momento molto particolare e oscuro della sua vita e se si ascoltano i testi e come lui interpreta la canzone, si può avvertire la sua inquietudine. Volevo approcciare il brano con lo stesso sentimento e il modo in cui l'ho fatto è stato pensando ad alcuni momenti di difficoltà della mia vita. Il brano ha ricevuto entusiasmanti apprezzamenti nel Regno Unito e sono molto orgogliosa di essere riuscita a toccare il cuore delle persone, così come lo fece Marvin.

C'è un brano che avresti voluto inserire nel disco ma, per motivi di spazio, non hai potuto farlo?
A essere sincera, no. Sento di aver fatto tutte le scelte più giuste per questo album.

Buona parte dei testi del disco sono firmati da te. Da cosa trai ispirazione?
Sono una buona osservatrice. Spesso, dopo una lunga e dura giornata, penso a ogni cosa accaduta e rifletto a lungo. Uso molte di queste riflessioni per i testi che scrivo. Poi, sono ispirata dalla gente, altre volte da una storia. In altri casi dal mio istinto! Il mio istinto mi guida sempre e mi aiuta a sedermi con penna e carta e così inizio a scrivere. Di solito inizio con la musica che mi è stata presentata, quindi lavoro sulla melodia e su quali sentimenti mi suscita. Da questo inizio a scrivere. Alcune volte l'ispirazione arriva subito, spesso devo spendere parecchio tempo per avere dei testi che significhino realmente qualcosa: non solo per me, ma per gli altri.

Un disco che fa ballare! E che potrebbe trovare anche un pubblico più giovane rispetto a quello che, almeno in Italia, frequenta i concerti jazz. Qual è il pubblico di Joyce E. Yuille?
C'è qualche brano up-tempo e vivace. Il pubblico reagisce molto bene. Non si può definire anagraficamente, in verità, perché la mia musica è per un pubblico di tutte le età. L'album, in sostanza, è destinato a un pubblico di una certa età, ma arriveremo anche con sei remix che saranno più appropriati per un pubblico più giovane e siamo sicuri che li farà ballare. Il mio pubblico, di solito, è più orientato al jazz e cerca un sound più caldo, e tutto ciò che c'è nel mio disco è capace di soddisfare i suoi gusti musicali. C'è un po' di blues e di soul in tutti i miei concerti e così la gente va via più felice.

Da qualche tempo vivi in Italia. Questa circostanza ha cambiato qualcosa nella tua tecnica, nel tuo modo di fare musica?
Vivo in Italia da più di vent'anni. Penso che l'aver vissuto in Europa abbia cambiato la mia percezione nell'approccio alla musica. Mi ha reso più disponibile ad effettuare sperimentazioni e mi ha reso più aperta durante le mie performance live. Il pubblico italiano è meraviglioso! Amo il luccichio che la gente ha negli occhi quando si stanno realmente divertendo durante il concerto. Dal punto di vista della tecnica vocale, sono molto meno rigida e riesco ad assumermi maggiori rischi con più tranquillità. Vivere qui, mi ha insegnato a lottare tra eccellenza e individualità; a cercare di essere unica, a cercare qualcosa di nuovo, perché spesso vedo che qui gli artisti possono diventare rassicuranti nella routine o, più semplicemente, abituali. Mi piace sentirmi libera di saltare fuori dalla scatola e sorprendere la gente.
 
E nel tuo modo di vivere, nella tua mentalità?
In fin dei conti, sono sempre una vera Americana nei miei modi e nelle mie abitudini. Comunque, vivere in Italia ha cambiato il mio modo di godere del buon cibo! Non riesco a non mangiare cibo italiano in ogni parte del mondo! Scherzi a parte, sono sempre dell'idea di "vivi e lascia vivere" la persona; principio che sto cercando di praticare ancor più da quando vivo all'estero.

Conosci, quindi, la situazione musicale statunitense e quella italiana. Cosa manca all'Italia per arrivare agli USA e cosa gli Stati Uniti potrebbero volere dall'Italia?
E' una domanda scomoda… Non voglio fare alcun confronto, né cimentarmi nel dire chi debba imparare cosa e da chi. Comunque, vorrei vedere qualche musicista italiano in più sulla scena internazionale. Sono in pochi coloro che hanno questo privilegio, ma ce ne sono molti che avrebbero le qualità. Mi piacerebbe vedere qui in Italia l'artista offrirsi per delle sperimentazioni e una maggiore fusione con artisti stranieri oltre quelli che già conosciamo. C'è un mondo intero di grandi musicisti emergenti ed è questa la giusta via per poter crescere e imparare reciprocamente.

Quando hai deciso che avresti fatto della musica la tua professione?
Ho sempre saputo che avrei voluto essere coinvolta nella musica, da parte di mia madre c'erano alcuni musicisti di musica classica. L'ho capito quando ero piccola. Dopo il college, ho iniziato a suonare in giro in alcuni club di New York: ero così inesperta, ma avevo la giusta grinta, il grande desiderio di comunicare e condividere la mia passione.

Il tuo timbro, le tue dinamiche, i colori della tua voce sono particolarmente intensi e rievocano il passato della musica afroamericana. C'è una vocalist, in particolare, alla quale sei legata?
Amo le cantanti con un caldo e profondo range nella loro voce. Sarah Vaughan è una delle mie favorite nel passato. Lei aveva una voce come una fisarmonica con l'indubbia capacità di prendere non solo le note più alte, ma anche quelle più basse. Amo l'intensità di Cassandra Wilson e mi piace molto Carmen Lundy, anche se la mia favorita è Dianne Reeves. Lei ha un controllo totale della sua voce e amo ascoltarla e imparare da lei. Una voce che ti sta accanto.

C'è un periodo storico della musica che ti affascina di più e durante il quale avresti voluto vivere?
Certo! Avrei voluto vivere durante gli anni d'oro del jazz e incontrare tutti i suoi pionieri.

Cosa è scritto nell'agenda di Joyce E. Yuille?
Spero di poter portare in tour il mio album non solo qui in Italia, ma anche all'estero. Sto lavorando anche per i remix di alcuni brani e già penso a un secondo album da leader. Ci sono molte cose che vorrei portare a termine nel 2016 e, con un po' della mia consueta determinazione, ho pianificato alcuni progetti e collaborazioni. Mi ricongiungerò con Timo Lassy per una serie di date in Finlandia: il primo spettacolo sarà proprio il giorno del mio compleanno, il 4 febbraio. Un modo fantastico per festeggiare!







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Data pubblicazione: 21/10/2015

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