Umbria Jazz 2012 Perugia, 6-11 Luglio 2012 di Pierfrancesco Falbo foto di Fabio Orlando
Durante l'Umbria Jazz Festival la città di Perugia, unica location dell'evento,
viene invasa da appassionati, turisti e artisti di tutto il mondo. Questa ondata
di differenti culture viene accomunata dalla possibilità di poter assistere ad una
full immersion nella musica. Rispetto alle prime edizioni l'evento non viene più
vissuto con la stessa intensità dove la gente, in pieno stile Woodstock, andava
molti giorni prima a prender posto con il sacco a pelo. Ora il festival ha trentanove
anni ed ha maturato diverse scelte tra cui quella di fare le cose per bene organizzandosi
al meglio.
Venerdì 6 luglio
Verso le 17.00 sul palco dei giardini Carducci si sono esibiti i Tuba Skinny,
band dal chiaro New Orleans sound. I brani proposti erano strutturati nello stile
come le parti affidate alla tromba, i controcanti del clarinetto e lo swing del
banjo. Di particolare interesse la sezione ritmica con Robin Rapuzzi, virtuoso
della washboard, che con i fingerpicks ha dimostrato di aver anche gran senso dello
spettacolo. La band è stata accompagnata dal meteo della città che ha alternato
momenti allegri pieni di sole a momenti tristi di pioggia. Peccato per i finali,
che il gruppo non riesce a definire adeguatamente.
In serata è stata inaugurata l'arena Santa Giuliana con due concerti acustici
in cui
Stefano Bollani ha duettato prima con
Chick Corea
e poi con Hamilton De Holanda.
Il rapporto tra i due pianisti è ormai consolidato da anni al punto che le loro
sonorità si incastrano come le code dei pianoforti, in perfetto equilibrio come
lo Yin e lo Yang. In particolare tra i brani suonati non poteva mancare "Armando's
Rhumba".
Il secondo concerto della serata è stato anticipato dall'intervento di Hamilton
De Holanda nel duo Bollani/Corea per poi rimanere sul palco solo con il fiorentino.
Il brasiliano ha ridato vita alla serata suonando allegramente il samba. Il ritmo
era talmente travolgente che lo stesso Bollani non è riuscito a rimanere seduto
durante l'esecuzione e ha assunto posizioni stranissime creando delle coreografie
degne del carnevale di Rio. Inoltre ha utilizzato parti del piano e il sedile come
strumento a percussione. Tra i brani suonati "Canto de Ossanha", "O que serà", "Reginella"
e il tema di "Cinema Paradiso". Difficile non rimanere incantati da tale scelta
e dalle doti tecniche del duo in particolare lo staccato e il tremolo con plettro
di De Holanda.
Sabato 7 luglio
La giornata è iniziata col concerto, al Teatro Morlacchi, di Juan Pablo Jofre
Romarion che, insieme a "I Solisti Di Perugia", ha omaggiato Astor Piazzolla.
Nella sua musica è presente tutta la tradizione, in particolare quella di Julio
Pane, suo maestro e storico musicista di Piazzolla. Lo strumento, come lo stesso
Juan tende a precisare, è molto particolare. Si tratta di un bandoneon diatonico
che si contraddistingue da quello cromatico perché, premendo lo stesso tasto, genera
note diverse a seconda se si apre o si chiude il mantice. Ma Juan non porta con
se solo la musica della sua terra ma anche l'atteggiamento di chi ha rivoluzionato
la storia del tango. Il suo suonare in piedi, tipico di Piazzolla, gli permette
di esprimersi al meglio e di dirigere gli archi.
Prima di iniziare I Solisti Di Perugia vengono premiati dalla Fondazione
Cassa di Risparmio della città con un piatto tipico di Deruta.
Durante il concerto si nota l'attenzione che l'argentino presta alle dinamiche.
Il risultato che ne viene fuori è commovente soprattutto durante il pizzicato dei
violini che riesce ad addolcire la foga dell'ostinato "gato". Tra i brani suonati
le "quattro stagioni di Buenos Aires" ovvero: "Primavera Porteña", "Verano
porteño", "Otoño porteño" e "Invierno Porteño". La loro esecuzione
è stata curata al minimo dettaglio non tralasciando gli elementi caratteristici
come le dissonanze e le percussioni. Quest'ultime sono state riprodotte con il laccetto
del bandoneon e l'archetto sulla cassa del violino.
Di seguito, al ristorante "la Taverna" il pranzo è stato accompagnato dalla musica
del gruppo Stefano Mincone Quartet. Il repertorio suonato è stato un'abile
scelta di brani easy e brani tratti dal cd Red Sun. Cosi il chitarrista Mincone
è riuscito a presentare il suo nuovo album e a rendere piacevole questo momento
di relax.Tra le cover due classici di Stevie Wonder: "You Are the Sunshine of
My Life" e "Isn't She Lovely" mentre il progetto Red Sun, che ha visto alla
batteria non il gemello Giuseppe Mincone ma Luca di Battista, è risultato molto
originale per aver introdotto il passionale fisarmonicista Sandro Paradisi nel classico
guitar trio jazz. Durante l'esecuzione dei brani Mincone stupisce per l'essenzialità
con cui si esprime e per l'uso delle ottave mentre colpisce la comunicazione visiva
e il vibrato di Paradisi. Peccato, visto l'incastro con gli altri concerti, non
aver potuto sentire il gemello Giuseppe e il pianista Fabio D'Onofrio che si sono
esibiti nella formazione tributo a Wes Montgomery. In particolare l'interplaying
che Giuseppe regala al disco dà il giusto groove ai brani, mentre il piacevole D'Onofrio
arricchisce e "condisce" armonicamente le composizioni di Mincone.
Nel pomeriggio al Teatro Morlacchi Ryan Truesdell ha dato inizio ad una serie
di incontri per celebrare i cento anni dalla nascita di Gil Evans. Il giovane statunitense
ha diretto la Eastman Jazz Orchestra, composta da giovani e preparati musicisti,
rendendo pubblico il suo "progetto" di riscoperta di manoscritti e registrazioni
inedite di Evans recuperate grazie al supporto della famiglia di Gil e di Maria
Schneider. Ryan sin da giovane è stato affascinato dalla musica di Gil. Infatti
dopo aver ascoltato l'album "Porgy and Bess" rimane incuriosito dai voicing utilizzati.
La scelta di far suonare "note vicine", come lo stesso Gil sosteneva, era il segreto
di quella nuvola armonica che attraeva Ryan. I brani proposti sono stati tratti
dagli album Individualism of Gil Evans, Out of the cool e The Claude Thornhill Orchestra.
In particolare è risultata davvero frizzante "Concorde" con tanto di tinkling del
piano e l'ipnotica "Where Flamingos Fly". Tra gli inediti "Punjab", brano volutamente
non inserito in Individualism of Gil Evans, che è stato arrangiato con la Tabla
e lo standard "How About You".
La sera si ritorna all'Arena Santa Giuliana per poter assistere al concerto della
KJ Denhert band presso il Restaurant Stage. Sul palco convivono diverse personalità
che si fondono in un sound originale e orecchiabile. Musicisti d'esperienza come
Etienne Stadwijk e Aaron Heick impreziosiscono il sound creando quello che KJ chiama
"urban folk-jazz", uno stile che affronta temi sociali e altri del tutto personali.
In particolare "What's my name", strutturata in tre parti, parla di responsabilità
come un vento che soffia profondo sull'anima poi tramuta in un tema d'amore alla
Sergio Mendes, una delle influenze di KJ, per poi terminare in un funky carico di
groove. Tra gli altri brani suonati una stupenda riarmonizzazione di "Somewhere
Over the rainbow", "Little Mary", "Choose Your Weapon" che, con tanto
di delay sull'acustica, strizza l'occhio al dub, "Rivera" dedicata al pittore messicano
che vedeva il sacrificio e la passione come vie per fare buona arte e "And so the
story goes" sulla vita da musicista di KJ che trae origine dalla sua famiglia.
A seguire il tributo per l'anniversario dei 30 anni dalla morte di Thelonious
Monk da parte di Stan Tracey e del suo trio composto dal bravissimo contrabbassista
Andrew Cleyndert e dal figlio Clark alla batteria. Davvero difficile riuscire
a descrivere, se non usando discorsi copia e incolla, il modo di suonare di Tracey
senior che elegantemente unisce cluster a staccate gocce di note.
La serata continua con
Herbie Hancock e la sua band ovvero James Genus al basso,
Trevor Lawrence Jr alla batteria e Lionel Loueke alla chitarra. Ormai
Hancock è di casa a Perugia, viste le molte partecipazioni al festival, e il pubblico
lo accoglie sempre con una grande ovazione. Nella sua "postazione" sul palco non
può mancare il Fazioli unito alla tastiera e i tablet di Cupertino utili per espandere
i suoi suoni. Il pubblico esplode quando sente "Watermelon Man", "Rock
It" e "Chamaleon". In particolare, in "Rock It" il batterista utilizza
un rullante con fusto più alto, ideale per le sonorità elettriche mentre il bassista
adopera un whammy che diluisce i suoni spaziali di Hancock. I volumi del concerto
sono veramente alti ma gradevoli e il groove la fa da padrone. Il tipico fat sound
funky scatena chiunque venga inondato dalla positività di questa musica. Lo stessoHancock
suona in piedi la sua keytar e cerca il "botta e risposta" con gli altri musicisti.
Genus si fa avanti con un octave che utilizza per emulare il suono sintetizzato
della keytar. Successivamente Lawrence Jr, presentato come "pericoloso" da Hancock,
riesce a rullare con una mano sola. L'energia che trasmette, e la compattezza sonora
che ne fuoriesce in accoppiata con Genus, spettina gli ascoltatori della prima fila.
Quello che però colpisce veramente è il senso di libertà che comunica la band. Ognuno
improvvisa risultando apparentemente fuori da ogni schema ma rispettando una struttura
ben precisa. Tra le perle della serata l'aver ripreso, dopo tanti anni, l'utilizzo
del vocoder. Hancock stesso ringrazia la "nuova tecnologia" con chiaro riferimento,
visto i logos della mela morsicata, al blasonato marchio in voga. Altro momento
interessante il solo di Loueke durante il quale ha presentato il suo nuovo album.
Il "marziano", come Hancock lo definisce, riesce a creare un coro africano con tanto
di percussioni e melodia utilizzando solo voce, chitarra e un po' di effettistica.
In particolare davvero bella la scelta di usare il whammy per emulare il tendersi
delle pelli dei tamburi. Sconvolge invece l'incastro poliritmico che riesce a creare
senza utilizzo di loop station. Infine non poteva mancare la storica "Cantaloupe
Island".
Domenica 8 luglio
Alla Bottega del Vino, rinomato locale di Perugia, si assiste al concerto di
Renato
Sellani e Massimo Moriconi. Dopo i sentiti ringraziamenti Sellani
inizia a suonare mentre Moricone mima il remare di un gondoliere utilizzando il
contrabbasso. Il repertorio suonato va da un omaggio a Gershwin fino a Besame
Mucho già presentato nel disco "My Foolish Heart". Il brano acquista
intensità e volume grazie all'ostinato e l'uso degli accordi di Moricone. Le "portate"
seguenti sono state "Over the rainbow" e il medley composto da "Torna
a Surriento" e "Caruso", un chiaro omaggio a Lucio Dalla. Il concerto
si conclude con "Estate" e le sue sostituzioni armoniche. Il feeling tra
i due musicisti, nato da molti anni ormai, permette a Moriconi di sentirsi a proprio
agio e di scherzare con Sellani persino nel richiamare nuovamente il finale vista
l'anticipata chiusura del pianista.
Nel pomeriggio il Teatro Morlacchi è la scena del secondo appuntamento con Ryan
Truesdell e la Eastman Jazz Orchestra. I brani presentati sono stati
tratti dagli album "New Bottle, Old Wine" e "Great Jazz Standads".
Questa volta però si è aggiunto un ospite speciale ovvero
Francesco
Cafiso che si è messo alla prova con brani come "Struttin' With Some
Barbeque" e "Sister Sadie", ripresa da "Out of the cool".
In serata, presso il Restaurant Stage, si è esibito il chitarrista Bobby Broom
con il suo Deep Blue Organ Trio composto da Chris Foreman all'organo
Hammond B3 e Greg Rockingham alla batteria. Tra i brani eseguiti molti del
loro ultimo album tributo a Stevie Wonder intotolato "Wonderful!". I più
coinvolgenti sono stati "Tell Me Something Good" dal tiro funky e "My
Cheri Amour" dove il leslie diffonde un arcobaleno di note d'amore.
Successivamente si esibisce la super band Spectrum Road. Nonostante la formazione
stellare con Cindy Blackman Santana alla batteria, Jack Bruce al basso,
John Medeski alle tastiere e Vernon Reid alla chitarra il risultato
finale è stato un'ondata di confusione. Viene veramente difficile immaginare a priori
tale disastro forse dovuto al soundcheck fatto di fretta. Lo stesso Reid ha dei
suoni digitali che miscelati alla sua plettrata shred non fanno che aumentare la
non comprensione dei brani. Gli spettatori, aggrediti dai volumi, vanno via uno
dopo l'altro; guardando il maxi schermo si ha la tentazione di voler cambiare canale.
Se non fosse stato per Santana, e la sua carica, il concerto sarebbe risultato pessimo
e il tributo a Tony Williams non avrebbe comunicato la genialità della sua musica.
Tra i brani proposti "Wild Life", "Vuelta Abajo", "There comes
a time" e "Coming Back Home" sono quelli riusciti meglio mentre la storica
"Sunshine of your love" era troppo lenta.
A seguire si è esibito David Murray con la sua Big Band che ha visto alla
voce Macy Gray. Purtroppo l'alone di problemi è rimasto sul palco e non è
sceso con gli Spectrum Road. Infatti si è rotta una corda del basso che continuamente
urta contro i pick-ups creando un fastidiosissimo suono finché il fonico non decide
di escluderlo dal mix esterno. Oltre a questo si sommano problemi legati ai microfoni,
che non sempre riescono a riprodurre il suono dei musicisti a causa del loro continuo
muoversi, e la "cantante soul dalla voce roca" che risulta dispersa nei suoi pensieri
al punto che crede di essere in Puglia. Dispiace veramente vedere la Gray uscire
dal palco nelle pause per cambiare i vestiti, uno più bello dell'altro, e mostrare
sempre la stessa malinconia in viso. Fortunatamente negli ultimi brani il pubblico
si è incoraggiato e ha partecipato attivamente al concerto scatenando la Gray e
recuperando la serata.
Lunedi 9 luglio
All'arena Santa Giuliana si è esibito
John Scofield
con la sua Hollowbody band composta da Kurt Rosenwinkel alla chitarra,
Ben Street al contrabbasso e Bill Stewart alla batteria. Il tocco
di Scofield rende sempre la sua chitarra riconoscibile. Il suo saper selezionare
le note, e saperle toccare in modo diverso, rende i suoi solos lirici e stimolanti.
Durante l'intera esibizione rimane girato verso la band per dirigere le parti. Bella
la scelta di suonare ad unisono con Rosenwinkel il tema di "How deep is the Ocean".
Quest'ultimo ha un modo di esprimersi completamente diverso e preferisce geometrie
simmetriche con intervalli larghi. Praticamente la band è un "trio stereo" dove
si compensano due generazioni di pensiero. In scaletta è presente anche "Slinky"
sulla quale Scofield si diverte a strofinare il plettro sulle corde. Tra i tanti
suoni della sua chitarra non può mancare il ring modulator usato per accentuare
le dissonanze oppure il reverse per creare i pedali introduttivi. Sconvolgente Stewart
per la cura delle dinamiche e la cristallinità dei suoi piatti.
A seguire Esperanza Spalding che propone il suo nuovo disco "Radio Music
Society". La scenografia presente sul palco comprende la radio della copertina,
in versione gigante, che ospita l'orchestra. Per la Spalding la radio è il mezzo
in cui fluiscono diverse canzoni che possono, o no, attirare la curiosità dell'ascoltatore.
Ciò di cui va fiera è l'originalità dei suoi brani (e come darle torto?). Il suo
stile compositivo risulta piacevole e rende ogni brano orecchiabile e al tempo stesso
nuovo. L'ascoltatore rimane ingannato dalla sua musica perché quando pensa di aver
fatto proprio il brano si rende conto che una variazione l'ha trasportato verso
sonorità inaspettate. La mente è continuamente stimolata che è impossibile annoiarsi.
Inoltre è veramente difficile "etichettare" tale musica e la Spalding ne è cosciente.
Tra i brani più interessanti "Black Gold", canzone dell'orgoglio nero, "Smile
Like That" dove si diletta a cantare lasciando spazio a un solo fusion di
Jeff Lee Johnson e "Radio Song" che istantaneamente richiama alla mente
"Birdland". Tra le caratteristiche comuni dei suoi brani live la possibilità,
per ogni musicista, di poter fare un solo. In tal caso le strutture armoniche si
semplificano per dar spazio a sonorità free.
La nottata si è conclusa al Teatro Morlacchi dove si è svolto il terzo incontro
con Ryan Truesdell e la Eastman Jazz Orchestra. Questa volta l'ospite
speciale è stato
Stefano
Di Battista che ha suonato brani come "Struttin' With Some Barbeque"
e "Straight, No Chaser" sulla raffinata armonizzazione tratta da "Great
Jazz Standards".
Martedi 10 luglio
La giornata comincia con il gruppo di Pedrito Martines presso i giardini
Carducci. La sua rumba cubana è irresistibile grazie alla carica ritmica che riesce
a incastrare con Jhair Sala. Quest'ultimo si alterna a Pedrito tra
bongos, cowbell e congas. La parte più viva inizia quando suonano un "Guaguancó"
con tanto di "diana". A questo punto tra il pubblico qualcuno mette da parte la
timidezza e si libera in una danza sensuale scandita dalle ottave del piano di
Ariacne Trujillo e dal basso di Alvaro Benavides.
La sera presso l'arena Santa Giuliana salgono sul palco i Sound Prints ovvero
Joe Lovano al sax, Dave Douglas alla tromba, Lawrence Fields
al piano, Linda Oh al contrabbasso e Joey Baron alla batteria. La
band ispirata a
Wayne
Shorter ha suonato free facendo emergere l'interplay tra Baron e Lovano.
Quest'ultimo nei momenti più concreti lasciava alla mente dell'ascoltatore la possibilità
di concludere le frasi.
Arriva l'atteso momento di
Enrico Rava
che nel pomeriggio aveva presentato alla Feltrinelli il suo "Dance on the floor".
L' idea è nata per omaggiare la genialità di Michael Jackson. Rava stesso ha detto
che ha conosciuto meglio Jacko solo dopo la sua morte. Allora mosso dalla
curiosità, e attratto dall'interesse mediatico, ha deciso di analizzare tutto il
materiale audio video esistente fino al punto di trovarsi immerso in quella musica
e di sentire la necessità di suonarla. Per completare l'opera è entrato in gioco
Mauro Ottolini al quale sono stati affidati gli arrangiamenti per l'orchestra.
Ma l'omaggio a Jackson non è solo musicale perché Rava lo stima, oltre che come
artista, come persona per tutto quello che ha fatto difendendolo dalle accuse di
pedofilia. Per quanto riguarda la scaletta Rava ha selezionato quasi tutti brani
non commerciali escludendo principalmente quelli dance perché non ne ama molto il
suono degli archi. La sua versione di "They don't care about us" ha un sapore
balcanico dal retrogusto reggae che lascia l'hard rock in bocca. Sembra quasi di
assistere ad un'orchestrazione zappiana. Davvero eccellente Ottolini impegnato sia
come direttore che come musicista. Altre hit proposte sono "Thriller" e "Moon
Walker". Quest'ultima viene anticipata dal solo di Dario Deidda che cresce
sempre di più di volume e insieme al chitarrista rende il brano tagliente e cattivo
al punto giusto.
Mercoledi 11
Nel pomeriggio su corso Vannucci si è svolta la "processione" dei Funk Off,
la marching band che con devozione al funk regala ai curiosi un felice giro per
Perugia. Con loro ogni strada si risveglia invasa dal groove e dalle coreografie.
In serata Al Jarreau si presenta sul palco con la maglietta dell'evento e
con la solita voglia di giocare con le parole. Questa volta è Perugia che viene
messa in rima con un classico del blues. Il risultato è qualcosa del tipo "Hoochie
coochie Perugia". Tra i brani presentati l'affascinante "Jacaranda Boucainvillea",
canzone sulla speranza nata durante un viaggio in Sud Africa. Seguono l'ironico
scat, unito al vibrato, sull'indirizzo del suo sito web e l'emulazione del violoncello.
Altra perla è l'esposizione del tema di Nuages da parte del chitarrista. Il pubblico
apprezza la performance della band manifestandolo con una standing ovation. A questo
punto Al Jarreau ritorna sul palco concedendo il bis con un canto a cappella che
vede l'orchestra trasformarsi in un coro gospel.
A seguire si é esibita la cantante che crede molto nella cultura africana ed egizia
al punto da rinunciare al suo nome da schiava per ribattezzarsi con il nome d'arte
di "Erica Luce Interiore e Veritá" ovvero Erykah Badu. Prima di cominciare
il pubblico è rimasto in attesa dei tecnici che hanno preparato lo stage. Ad un
certo punto inizia la musica con il dj che mette su un brano di Bob Marley. Com'era
già successo il suono risulta confuso e molto probabilmente la causa è il veloce
check sound. La Badu si presenta sul palco con una mantella e suonando un pad elettrico.
Questo mix di tradizioni africane e modernità hip-hop crea il suo marchio originale.
Sul palco salgono anche le figlie dalle quali non si separa mai. Tra le cose più
strane la scelta dei video proiettati sullo sfondo. Spesso sono presenti esperimenti
di fisica o di chimica come il cannone elettrico o il decadimento radioattivo. I
fan gradiscono le sue lente sonorità che spesso si semplificano con dei beat sound
che uniti ai video rendono il concerto una seduta ipnotica.
Infine l'ultimo concerto al Morlacchi con Ryan Truesdell e
Paolo Fresu.
I brani suonati erano tratti da "Porgy and Bess" e il suono morbido di Fresu
li ha resi spettacolari. La sua postura alla
Chet Baker,
con le partiture poggiate per terra, non ha affievolito il suono dei suoi ottoni
ma li ha fatti arrivare direttamente all'orecchio dell'ascoltatore.