Young Jazz Festival 14 direzione artistica Giovanni Guidi Foligno, 17-25 maggio 2014 di Vincenzo Fugaldi
Dieci anni di Young Jazz a Foligno, celebrati con un'edizione
densa di appuntamenti, che ha puntato a valorizzare il centro storico della cittadina
umbra con una serie di momenti musicali di notevole spessore.
La parte del festival seguita da chi scrive è iniziata all'auditorium
con il trio del chitarrista scandinavo Jakob Bro, insieme al contrabbasso
di Thomas Morgan e alla batteria di Jon Christensen. Una poetica vicina
a certo Bill Frisell
(musicista con il quale Bro collabora da anni), basata su atmosfere aeree e aperte,
impreziosita dalla complementarietà con il fervido contrabbasso di Morgan e dalla
apertura dello stile di Christensen, con pochi significativi tratti percussivi.
Insieme conferiscono alle composizioni del leader, delicate, eteree e sentimentali,
una spazialità peculiare e fascinosa, pur se caratterizzata da una uniformità stilistica
che non consente di apprezzare a pieno le grandi potenzialità del trio.
Non si possono fare appunti di sorta
invece al New Quartet di
Enrico Rava:
il trombettista ha riunito intorno a sé tre giovani ma già ben noti musicisti (Francesco
Diodati alla chitarra, Gabriele Evangelista al contrabbasso ed Enrico
Morello alla batteria) che rispondono al meglio alle sue sollecitazioni, con
un apporto di freschezza ed entusiasmo di cui la musica si avvantaggia pienamente.
La chitarra di Diodati sostiene con competenza le strutture armoniche dei brani,
ben coadiuvata dall'apprezzata verve di Evangelista, mente le bacchette, i piatti
e i tamburi di Morello danno all'insieme un'impronta a un tempo dinamica e morbida.
Rava ha molto spazio per sé, e non si risparmia come solista, facendo volare il
suono della sua mitica tromba come è giusto attendersi. Tanti brani originali di
Rava, alcuni nuovi, e come bis My Funny Valentine.
Una proposta interessante e personale è venuta dal quintetto
Overseas, capitanato dal contrabbassista norvegese stabilitosi da tempo a
New York Eivind Opsvik, con Tony Malaby al sax tenore, Brandon
Seabrook alla chitarra, Jacob Sacks alle tastiere e Kenny Wollesen
alla batteria. Composizioni originali che valorizzano in pieno le singole forti
personalità del combo, con il recupero di un particolare gusto per la melodia di
matrice folk, che si mescola con strutture di origine classica, senza trascurare
l'importante aspetto improvvisativo. L'ampio uso dell'archetto da parte del leader,
le sonorità pop-rock dell'organo, la chitarra acida e zappiana, la voce piena del
sassofono, e l'incredibile spinta ritmica della batteria conferiscono a questa musica
un fascino che colpisce e coinvolge l'ascoltatore. Tra i brani eseguiti, Silkweavers'
Song, They Will Hear the Drums, Der Kalde Havet, Neil,
Michelle Marie, e per bis uno spettacolare assolo di contrabbasso con l'archetto,
tutto giocato sugli armonici.
Accompagnato dal fido Fabio Marchiori e dall'Orchestrino
(Dimitri Grechi Espinoza, Filippo Ceccarini, Beppe Scardino,
Daniele Paoletti, Simone Padovani), Bobo Rondelli ha presentato
le canzoni del suo ultimo disco, «A Famous Local Singer», iniziando con un
omaggio al concittadino Piero Ciampi (Fino all'ultimo minuto). La street
band conferisce alle musiche del cantautore livornese una bella e disincantata
carica ritmica, che sottolinea la sua verve ironica e la naturale vena comica, in
brani come La marmellata, la splendida Madame Sitrì, inno alla diserzione,
Gigi balla, Che fregatura è l'amor, L'ultima danza e omaggi
a Buscaglione, Modugno, Celentano, Sinatra, agli Stones, a Pulp Fiction.
Fresco di una recente incisione per l'etichetta Parco della Musica
(«Stonebreaker»), il sassofonista Dan Kinzelman ha suonato nella formazione
in trio con Joe Rehmer al contrabbasso e Stefano Tamborrino alla batteria
denominata Hobby Horse. Un uso misurato dell'elettronica caratterizza la proposta,
che si basa su un'affidabile interazione fra i tre, e sulla carismatica figura del
leader. Brani complessi e ben architettati, fruibili e coinvolgenti, dominati dalle
cangianti sonorità del sax tenore e impreziositi dall'uso delle voci registrate
e non, e finale al clarinetto basso sulle note di un danzante brano di Bennie Maupin.
L'Orchestrino che ha accompagnato Bobo Rondelli si è anche esibito,
con la presenza di Tony Cattano al trombone, per le vie di Foligno in una festosa
parata che ha coinvolto l'intera cittadina.
Il Dinamitri Jazz Folklore (Dimitri Grechi Espinoza, alto; Beppe
Scardino, baritono; Emanuele Parrini, violino; Paolo Durante,
tastiere; Gabrio Baldacci, chitarra; Andrea Melani, batteria; Simone
Padovani, percussioni) si è esibito in due set, uno pomeridiano più sperimentale,
e uno serale, con l'aggiunta della voce di Piero Gesuè, più danzante e africano.
Mondi vari confluiscono nella musica di questo gruppo, dal Davis elettrico a diversi
ritmi folklorici, e i colori si succedono tra suoni acustici ed elettrici, in un
mix sempre travolgente.
In una terrazza fiorita di accogliente bellezza, il sole di mezzogiorno
ha accolto il concerto a sorpresa del trio di Beppe Scardino, con Gabriele
Evangelista e Andrea Melani alla batteria. La formazione, svelata solo
poche ore prima del concerto, ha suonato brani originali del baritonista, sobri
e pensosi, che solo in alcuni momenti liberavano crescendo o cariche ritmiche.
Il duo "Soupstar" di
Gianluca Petrella
e Giovanni Guidi si è confermato come una delle più riuscite proposte del
jazz italiano, con Petrella particolarmente lirico e Guidi pronto a sostenere la
sua coulisse con stimoli sempre nuovi e creativi, sia al pianoforte che al piano
elettrico. I due hanno raggiunto vertici di alta poesia in Per i morti di Reggio Emilia,
per poi accogliere alcuni ospiti: Davide Brutti al sax contrabbasso, Rava, Evangelista,
Bernardo Guerra alla batteria, l'Orchestrino e Cristiano Arcelli.
Repertorio variegato (Quizás, quizás, quizás e My Funny Valentine
per Rava), e gran finale collettivo con You ain't gonna know me 'cos you think
you know me di Mongezi Feza.
Il compito di chiudere questa edizione, con il taglio della torta
finale, è toccato al nuovo trio di Cristiano Arcelli, denominato Fiori
artificiali. Il sassofonista, con
Stefano Senni
al contrabbasso e Bernardo Guerra alla batteria, era alla prima esibizione
ufficiale del gruppo. Solito a esibirsi in formazioni più ampie (la Radar Band fra
tutte), nelle quali emerge soprattutto per il ruolo di arrangiatore, in questo contesto
Arcelli ha la possibilità di far risaltare le sue notevoli capacità solistiche,
ben sorretto dalla qualità ritmico-armonica del contrabbasso e dai puntuali tempi
e controtempi del batterista. Composizioni articolate, un sound sassofonistico estremamente
curato, in parte ornettiano ma in realtà debitore della grande tradizione del sax
alto e un serrato interplay caratterizzano questa nuova proposta di Arcelli, che
merita, come tutti i suoi progetti, particolare attenzione. Oltre ai brani originali,
una In My Solitude da manuale.