Potrebbe essere riduttivo o limitante definire
Francesco Cusa esclusivamente musicista innovativo del panorama jazzistico
italiano, il batterista siciliano è in effetti qualcosa di più, una sorta di faro
illuminante, un divulgatore di una cultura musicale che va oltre la contaminazione
con altri generi musicali e nella direzione di una espressività complessa e per
certi versi dissacratoria di certezze e ambiti oramai standardizzati. Questo suo
cd "L'arte della guerra" ad opera dell'ensemble Skrunch che lo vede affiancato
ad altri sei frementi musicisti quali: Carlo Natoli chitarra baritono,
Paolo Sorge
chitarra elettrica; Beppe Scardino Sax Baritono,
Tony Cattano
trombone; Riccardo Pittau tromba, Dario De Filippi percussioni, è
una delle produzioni discografiche più dirompenti e intriganti di questi ultimi
anni.
Un'opera che se ascoltata con certosina attenzione e paziente interesse
riesce a farsi apprezzare in pieno dando l'esatta dimensione del ricco bagaglio
tecnico-espressivo di questi sette musicisti e del linguaggio jazzistico di Cusa
che è anche il solitario autore delle sette tracce in essa contenute. L'apertura
e la chiusura della selezione musicale hanno una caratterizzazione insolita perché
totalmente dedicate alla declamazione in lingua italiana, con opportuno sottofondo
musicale, di alcuni versi tratti da un testo di strategia militare di cui è autore
un generale cinese vissuto tra il VI e V secolo a.c., Sun Tzu, e da cui è stato
chiaramente ereditato il titolo del cd.
L'essenza vera e propria dell'album è però contenuta nei cinque brani
che si frappongono al prologo e all'epilogo, come sono definiti i due episodi di
apertura e chiusura, e che condensano in un flusso sonoro nervoso e incessante,
in cui predomina un'attività ritmica in continuo mutamento ricca di elementi di
fatto musicalmente contrapposti ma in costante intreccio. Il tutto ispirato dal
testo che da il titolo al cd e dalla proiezione nella realtà di oggi, così come
interpretata da Cusa. Il dettaglio dei passaggi salienti non può fare a meno
di evidenziare i pregevoli fraseggi sonori della sezione dei fiati del settetto,
intrisi di piroettanti escursioni che si avvinghiano su se stesse, rinforzate dall'energia
elettricamente tesa e impregnata di hard rock, che le due chitarre di Sorge
e Natoli sono magnificamente capaci di sprigionare. E' questo il layout di
brani quali Afrodionisiaco e degli altri due
ad esso susseguenti. E' invece dalla quinta traccia Alljazzera,
che si fa spazio un godibile infuso di jazz- rock, spumeggiante e vigoroso, che
per qualche attimo riporta anche al fiorente passato di gruppi come i Chicago Transit
Authority.
E' nella sua interezza, questa di Cusa & Company, un'opera di assoluto
valore artistico, capace di spezzare orizzonti ormai insipidi e scontati e tracciare
percorsi densi di stimoli per il jazz italiano ancora tutti da scoprire, ma sui
quali il nostro sembra trovarsi proprio a suo agio.
Giuseppe Mavilla per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 18/10/2009
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