Ivrea Open Jazz Festival 29-30-31 marzo 2012
di Gianni Montano foto di Daniela
Crevena, Luca D'Agostino, Gianni Montano
29 marzo - Banchette Enten Eller+ Orkestra "E(x)stinzione"
Gli "Enten Eller" compiono 25 anni. "Siamo un gruppo
che fa pochi concerti e quindi non ci incontriamo spesso. Sono 6-7 anni, però, che
pensiamo di presentarci in scena con un'orchestra e finalmente il sogno si è avverato."
Così si esprime Alberto Mandarini alla fine del concerto, davanti ad una
sala gremita in ogni ordine di posti. Il progetto messo in scena: "E(x)stinzione"
è tanto articolato quanto ricco di contenuti. Innanzitutto i testi di Franco Bergoglio,
ispirati al concetto di "estinzione", come da titolo, passano dalla chiusura delle
fabbriche, alla mancanza di spazi per l'arte e per la vita stessa, concepita oltre
la semplice sopravvivenza, in un mondo sempre più omologato. Sono una serie di quadri,
di riflessioni, di flash per sublimare il politico in poetico (secondo una intenzione
rivelataci dallo stesso autore). Laura Conti è qui più attrice che cantante. Pronuncia le parole contestualizzandole
o decontestualizzandole, con toni a volte sarcastici, altre volte drammatici, con
intermezzi scat per dare respiro al copione. Interpreta la sua parte con una cura
particolare per le dinamiche emotive ed espressive. La musica procede, invece, per
blocchi, a volte separati a volte comunicanti. Trovare l'equilibrio fra archi e
quartetto jazz più solisti ospiti è un'impresa quasi titanica. L'impegno e la dedizione
all'obiettivo comune, però, forniscono in diversi punti magiche intese e relazioni,
anche se, in alcuni momenti si avvertono la fatica e la difficoltà di comunicazione
fra le varie parti in causa.
Gli Enten Eller si prodigano al meglio. Brunod fa lavoro di cucitura, di
raccordo ed esce fuori in soli con la chitarra elettrica discorsivi e pieni di significato.
Maier e Barbiero costruiscono e scompongono ritmi sempre cangianti
e non si risparmiano quando sono chiamati a dire la loro da protagonisti. In particolare
Maier prende un assolo possente in cui maltratta letteralmente le corde del contrabbasso
con violente strappate e veloci passaggi rumoristici di notevole effetto. Alberto Mandarini suona la tromba con la solita maestria, cercando sempre
la nota e il fraseggio meno scontati. Sceglie, poi, una direzione rigida, giustamente
esigente, quando tutti devono eseguire un motivo, una sequenza come ensemble integrato.
In altri frangenti si abbandona ad una sorta di conduction, suggerendo il tipo di
intervento richiesto ai musicisti attraverso la mimica facciale o la gestualità.
Actis Dato si impegna con la consueta irruenza, producendosi, fra l'altro, in un
vorticoso solo per mezzo della respirazione circolare al sax tenore e mettendosi,
per il resto, al servizio della band. Schiaffini, colonna dell' Italian Instabile
Orchestra, straordinario trombonista, mette in campo tutta la sua arte nell'operare
come membro di un ensemble, lavorando molto sul timbro dell'ottone, con o senza
sordina e sapendo interagire con le altre sezioni in maniera efficace e collaborativa.
Gli archi dell'orchestra "Bruni" di Cuneo fanno il possibile per ambientarsi in
un ambito nuovo per la loro esperienza. Partono con il freno a mano tirato, un po'
ingessati, poi si sciolgono e cominciano a divertirsi fra questi suoni così contrastanti
e desueti, fuori dal loro target abituale.
Lunghi applausi, alla fine, premiano il coraggio di una proposta difficile nella
concezione, nello sviluppo e non agevole per l'ascolto. E' una bella soddisfazione
per chi ripone fiducia in questa vera e propria scommessa. Uno fra questi Luigi
Naro della "Splasc(h)", che sta pensando di pubblicare, prima o poi, il "live" della
serata su cd o dvd.
30 marzo - Nuance (Elisabetta
Antonini- Marcella Carboni) - AREA (reunion tour)
Il sipario si apre su due musiciste che realizzano una musica che punta sulle sfumature,
sui toni delicati, su scenari caldi e riposanti. Marcella Carboni suona con
garbo l'arpa elettrificata. Accanto a lei
Elisabetta
Antonini la affianca con la sua voce non potente, ma aggraziata. C'è
poi un uso anche qui parco, di live electronics, consistenti in pedali di basso
ripetuti che costruiscono un fondale adeguato per le due musiciste, in alcuni pezzi.
Il repertorio scelto passa da lievi originals, a omaggi sentiti al Brasile di Jobim,
ad uno standard come "Lazy Sunday" fino ad arrivare ad una sanguigna "Tutu". Il
celebre brano lanciato da Miles Davis costituisce quasi un'onda anomala in una mare,
per il resto, calmo e senza increspature.
C'è molta curiosità, a questo punto, per la nuova reunion degli Area con una formazione
più ridotta nel numero e senza un cantante di ruolo. Manca all'appello, infatti, Maria Pia De
Vito che nell'estate scorsa aveva ricoperto il ruolo che fu di
Demetrio Stratos.
L'inizio è, al solito, dedicato ad un'introduzione piuttosto avulsa da quanto succederà
in seguito da parte dell'"arancione" Paolo Tofani con la treekanta veena, una chitarra-sitar
con il doppio manico, secondo una definizione approssimativa. Gli altri, dopo cinque
minuti o più di tiritera delle sei o dodici corde, prendono posto e iniziano a "riverniciare"
i loro pezzi forti, senza il conforto dei testi e non manca qualche uscita "dal
seminato" (con una citazione monkiana, fra l'altro). Si ascolta un rock jazzato
molto energico, con il ricorso sistematico ai tempi dispari, a riff ripetuti e ripetitivi,
da cui partono i soli alternati fra i musicisti.
E' un punto di riferimento ritmico U.t. Gandhi, una new entry, con il suo
drumming preciso e ricco di forza propulsiva. Ares Tavolazzi, da parte sua,
fa vibrare il suo basso elettrico con l'entusiasmo dei giorni lontani. Patrizio
Fariselli è un po' il regista e il presentatore del rito. Suona anche lui con
fuoco e passione, mettendocela tutta per riempire gli spazi a sua disposizione.
La musica è parecchio sovrabbondante, infatti, piuttosto sopra le righe. Prive delle
parole "di tendenza" e dello strumento-voce a interpretarle, poi, le canzoni, quasi
degli inni per la generazione degli anni settanta, perdono fascino e sostanza. Quando,
alla fine del set, Tofani e Tavolazzi intonano "Gioia e rivoluzione" il revival
prende il posto della rilettura o della rivisitazione, ma ci può anche stare. Anzi
questo è, forse, l'apice dell'intera esibizione.
Il pubblico, meno numeroso che nelle altre date, applaude convinto, ad ogni buon
conto.
31 marzo - Enrico Rava
Quintet "Tribe"
Il gruppo si è costituito nel 2010, ma si ha
l'impressione di una consuetudine consolidata da ben più tempo. Suonano, infatti,
con una naturalezza, una leggerezza nell'approccio, che "copre" una profondità nel
linguaggio e nel modo di procedere, veramente unici. Si comincia con un tema e con
un tempo e si va a finire da tutta un'altra parte, attraverso una serie di passaggi
successivi tutti necessari e conseguenti. La musica è un flusso unico, frammentato
in diversi segmenti, dove gli assoli fioriscono spontaneamente e trascinano la band
verso nuovi percorsi e approdi, nella maniera più logica e, allo stesso modo, più
sorprendente. Giovanni Guidi si dimena sulla tastiera, contribuendo a suggerire
scarti stilistici, deviazioni, per mezzo di un pianismo molto libero in grado di
mettere in condizione i partner di sviluppare interventi obliqui su una superficie
inclinata, che miracolosamente sta in equilibrio. Gabriele Evangelista e Fabrizio Sferra non accompagnano soltanto.
Praticamente raddoppiano gli assoli, costruendone altri efficacissimi in contemporanea
e tutto questo ha un senso preciso. Non c'è niente di casuale. Gianluca Petrella
imperversa con il suo trombone, rivelando una capacità di ascolto rara, oltre alla
consolidata straordinaria abilità di strumentista. Tutto sommato non si sovraespone.
Quando viene fuori, però, ne guadagna il sound complessivo di "Tribe" e di
parecchio. Enrico Rava
si appaga nell'osservare la sua band andare avanti con una tale empatia e unità
di intenti. Si sposta sul palco vicino al solista di turno, lo guarda con la volontà
di spingerlo a dare ogni volta il massimo, senza sforzarsi, per il piacere di "jouer"
insieme. Prende e riceve vigore dai più giovani musicisti. Quando impugna la tromba
è ispirato, lirico e teso al punto giusto e ci fa capire che questa è la sua musica,
la migliore possibile che può offrirci in questo momento. In effetti è "grande jazz
italiano", non ci sono dubbi...
Altri appuntamenti
Nel pomeriggio del 30 marzo Giancarlo Schiaffini, dopo la presentazione del
suo libro "Non chiamatelo jazz" si dedica ad una performance con il suo trombone,
mentre il pittore locale Muroni dipinge su una tela. E' arduo classificare
come jazz, a onor del vero, quello che esce dall'ottone del musicista romano. E'
in estrema sintesi un riuscito saggio di suoni irregolari, note doppie e triple,
grugniti, dove lo swing è completamente assente, se non nell'ultima frase finale.
L'improvvisazione si segnala, ad ogni modo, per coerenza e coesione. Il quadro,
composto in simultanea, ne riprende la filosofia di fondo per l'adesione alla composizione
istantanea.
Il 31 marzo la danzatrice Roberta Tirassa si inserisce in un'installazione,
formata da una rete di fili di plastica e dà vita ad un balletto sulla musica di
"Kandinski", cd recente di
Massimo Barbiero
e Marcella Carboni con guest star Maurizio Brunod. Il pubblico vive
il contatto con questo corpo che si muove in modo articolato e flessuoso in maniera
totale, trovandosi a pochi metri dalla performer. E' un impatto molto forte, che
fa apprezzare la bellezza del gesto e del movimento, come archetipi della trasmissione
di messaggi significativi. Gli applausi finali sono sinceri e liberatori contemporaneamente.
La notte a Banchette combos locali continuano "l'occupazione" del jazz di Ivrea
e dintorni, riversando ritmo e blue notes in una città già rodata a questo
tipo di iniziative.
Con l'open festival, infine,
Massimo Barbiero
e soci confermano che le buone idee possono trovare gambe per marciare quando a
sostenerle sono la passione e la capacità di organizzare e coordinare i vari eventi,
anche in tempi di "vacche magre" come questi.