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Giancarlo Schiaffini
E non chiamatelo Jazz
Auditorium Edizioni 2011 Euro 18, pagg.192
Già il titolo la dice lunga sulle intenzioni dell'autore. Non è un testo specifico
sul jazz, ma si occupa di musica improvvisata a largo raggio, vista nella sua genesi
e nella sua evoluzione. Il libro è anche un excursus sulle esperienze musicali e
artistiche di Schiaffini che entrano in gioco in diversi capitoli poiché il trombonista
è parte in causa nella storia del jazz di ricerca e nella musica contemporanea europea.
L'approccio alla materia è analitico, preciso anche nei dettagli, ma agile, di facile
lettura, mai pedante o ostico. In più traspare spesso il tratto ironico e disincantato,
tipico del personaggio, ad alleggerire pure le parti teoriche, concettuali, indispensabili
per offrire un quadro organico e completo sull'argomento.
Si parte da lontano, dalle origini, per arrivare all'introduzione della scrittura,
ad una forma di codificazione nella musica colta con una serie di esempi, di distinzioni,
di riflessioni mai ovvie. Il jazz compare come "il rientro dell'improvvisazione
nell'uso comune..." nel novecento eurocentrico. Particolarmente significative sono
le parti in cui Schiaffini espone le sue riserve per una pratica improvvisativa
legata a cliché consolidati attraverso una reiterazione di frasi fatte, di passaggi
ripresentati pari pari (i cosiddetti patterns). Questo tipo di atteggiamento ripetitivo
"allontana dalla vera natura del jazz" caratterizzato da "un suono personale e dall'espressione
immediata e coinvolgente". Il messaggio per quanti si vantino di aver frequentato
corsi alla "Berklee School" o di impostazione simile e pensino di aver capito
tutto della musica afroamericana poiché ne padroneggiano lo stile è indiretto, non
esplicito, ma arriva certamente a destinazione.
Nel capitolo dedicato a "Improvvisazione=composizione estemporanea", successivamente,
l'autore individua i prerequisiti degli improvvisatori, talento e memoria, si sofferma
sulle procedure, sulle tecniche, sottolineando l'importanza dell'errore come possibile
avvio alla scoperta di nuovi percorsi nella musica come in altri tipi di scienza.
L'ambiente, poi, come luogo fisico e come rapporto con il pubblico costituisce un
feedback in grado di condizionare e modificare in corso d'opera le coordinate d'azione
del performer.
E' interessantissima, ancora, l'enunciazione dell'idea di "massa critica". Secondo
questa definizione, l'improvvisazione libera non può coinvolgere più di sei o sette
persone, altrimenti si raggiungono risultati deludenti e contraddittori. Con un
organico orchestrale si impone il riferimento ad uno schema anche debole per evitare
lo sbandamento, lo squilibrio, l'impossibilità di gestire la situazione da parte
del band leader. E qui il trombonista ricorda come inconcludente un'esibizione della
Globe Unity a Saafelden con solisti illustri (oltre Schiaffini stesso) in cui
Alex Von Schlippenbach non aveva preparato alcuna partitura o accorgimento di
qualsiasi genere per guidare il gruppo. Si era andati avanti all'impronta, privi
di rete e di regole, non riuscendo, però, a cavare un ragno dal buco.
Il racconto dell'incontro con John Cage è gustosissimo, non come il minestrone preparato
dalla cantante all'interno della stravagante performance e servito ai musicisti
alla fine del concerto...Sono ricchi di contenuti, ma non privi di qualche notazione
aneddotica pertinente, tutti gli altri resoconti relativi ad incontri con gli artisti
che vengono ricordati. Fra gli altri Giacinto Scelsi,
Mario Schiano,
Luigi Nono.Non si perde, però, di vista l'oggetto della trattazione e ogni personaggio
viene inquadrato in rapporto alla sua posizione riguardo al comporre e all'improvvisare.
Per esplicitare ancor più chiaramente il concetto di "conduction" orchestrale viene
riportato lo spartito sui generis di un'esperienza allestita da Mauro Rolfini a
Ferrara nel 2011.
Chiude il libro una discografia ragionata di Schiaffini con note di commento intriganti
ed espresse con garbo e capacità di informazione.
"E non chiamatelo jazz", in conclusione, è certamente uno dei testi più stimolanti
pubblicati sull'improvvisazione in lingua italiana e ci fa conoscere più a fondo,
oltretutto, uno dei protagonisti della scena jazzistica di oggi e degli ultimi quarant'anni.
Gianni Montano per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 02/02/2013
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