Guido Michelone
Massimo Barbiero – Enten Eller e Odwalla
Vent' anni fra jazz e ricerca
Foto di Luca d' Agostino
Lampi di stampa – pagg135 – Prezzo di copertina 10 Euro
Enten Eller festeggia il suo ventesimo anno di vita..
Massimo Barbiero
è persona troppo introversa e schiva per sollecitare celebrazioni. Il fatto che
su di lui sia uscito un libro sembra metterlo addirittura in qualche imbarazzo.
Anche se detto libro, scritto ed elaborato da Guido Michelone, è uno scarno
ritratto, basato su una efficace somma di citazioni del e sul percussionista e compositore
piemontese. Un ritratto distaccato e problematico allo stesso tempo, un opera che
propone riflessioni e offre spunti di discussione, che lancia sassi nello stagno.
Mettiamoci sulla stessa onda. Parliamo del disco uscito in occasione del
ventennale e approfittiamo di questo evento (felice) per porci qualche interrogativo
sul quello che è oggi la musica improvvisata o comunque la si voglia definire. Usiamo
qualche metafora attingendo a Tolkien, che di Massimo è uno dei tanti numi letterari.
Viviamo in un mondo che somiglia molto alla
Terra di mezzo. Una terra in preda ad enormi sconvolgimenti sui quali si può solo
prevedere, per certo, che comunque andranno le cose, niente sarà come prima. In
ogni caso gli Elfi se ne andranno. Forse sono già andati via.
Per esser più chiari: è probabile che il jazz come arte abbia perso slancio
e capacità di innovarsi, che la musica accademica abbia poco da dire di nuovo, rinchiusa
com'è nei suoi castelli inaccessibili, che il rock abbia perso la sua vecchia carica
eversiva. Le logiche di massificazione prevalgono. L' artista non commerciale è
quindi una specie di hobbit, qualcuno che si assume un compito molto più grande
di lui. Che cerca di far sopravvivere il suo minuscolo villaggio contro entità molto
più potenti. Cosa può fare? Celebrare i fasti del passato ripercorrendone pedissequamente
le orme? Molti lo fanno. Molto jazz dei nostri giorni è riproposizione, pura e semplice,
del bob e dell' hard bop. Tanti altri si perdono - o si nascondono - dentro collages
musicali, fuochi d' artificio sonori. La critica bene informata la chiama contaminazione
stilistica.
Il problema è che in realtà trovare strade nuove appare maledettamente
difficile. In giro ci sono tuttavia artisti che si sforzano di testimoniare questa
realtà semplice e drammatica e che cercano di trovare una loro strada negli stretti
sentieri di questo intricato labirinto che è l'arte di oggi. Artisti che usano Bach
o Monk, Stravinkij o Ellington, od Ornette, o il progressive rock, non come statuine
di una preziosa collezione da far vedere in società ma come lampade che illuminino
un possibile nuovo sentiero. Artisti che raccontano il sogno di una musica diversa.
A mio parere Enten Eller è uno degli esempi di questo sforzo. Lo
è per la sua di semplicità, per la sua arte "scabra ed essenziale", che evoca paesaggi
e memorie musicali senza scadere in nostalgie di maniera o in cartoline sonore.
Perchè racconta sentimenti forti: primo fra tutti una lucida, abrasiva malinconia.
Senza mai scadere nel languore, in quel minimalismo emotivo che affligge tanta musica,
tanto cinema, tanta letteratura dei nostri giorni..
Prendiamo in esame qualche passo di questo disco. L'omaggio a Zawinul,
reso con una melodia che ricorda certe atmosfere delle colonne sonore di film italiani
degli anni 50 e 60, è un esempio di quello che sto cercando di dire. Così come lo
sono l'inquieto brano che da il titolo al cd, le sofferte sequenze melodiche di
Mandarini., le delicatezze delle chitarre di Brunod, "Atlantide" è,
per certi versi, un disco meno "sperimentale" del problematico "Melquiades"
inciso con Tim Berne nel 2006. Per celebrare
il proprio compleanno il gruppo si è immerso in un atmosfera più intima, ma solo
apparentemente più rarefatta. Si possono cercare nuove vie, dice
Barbiero,
anche senza suonare free, anche senza improvvisare totalmente, anche lasciando cantare
gli strumenti. A proposito di canto: il contrabbasso di Maier, anche in sequenze
problematiche come quella di "Silicio " suggerisce sempre una qualche melodia lontana.
La musica di Enten Eller è crepuscolare sì, ma ardente. Sperimenta,
ricerca, ma sa raccontare.
Può anche lasciare dubbi e sollevare interrogativi. Si è infatti naturalmente
liberi di pensare che il jazz, arte viva e vitale, nata dalla polvere e dal fango
delle strade, non abbia bisogno di calarsi in queste atmosfere post romantiche Si
può pensare che lo swing sia mezzo e fine principe dell' improvvisazione musicale.
O che Trane sia sempre e comunque il faro di ogni nuova avventura musicale. E restare
lì, in attesa che nasca domani il nuovo Miles, un altro Duke. Ma questa ventennale
ricerca di linguaggi nuovi, di nuove maniere di comunicare con chi ascolta, non
può essere ignorata da nessuno.
Marco Buttafuoco per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 23/11/2008
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