Talos Festival 2013 "La melodia la ricerca la follia" direttore artistico
Pino Minafra Ruvo di Puglia, 5-15 settembre 2013 di Vincenzo Fugaldi
Vent'anni dall'inizio di un sogno.
Quello di un formidabile agitatore culturale,
Pino Minafra,
che ha scelto di donare al proprio paese natale la propria passione e competenza
organizzando un festival che, nonostante alcuni anni di sosta forzata oggi fortunatamente
dimenticati, è rinato nel 2012 incentrandosi
sul tema della banda. Un tema di grande rilevanza, date le specificità che rendono
uniche le bande di questa parte d'Italia. Da qui l'anteprima in largo Cattedrale
che in sette serate ha visto le esibizioni – partecipatissime dal pubblico – di
orchestre di fiati, fanfare e bande, seguite da quattro dense giornate di festival.
Presentati dall'onnipresente direttore artistico e dai giornalisti
Ugo Sbisà e Fabrizio Versienti, i concerti si sono svolti in diversi
spazi della cittadina: il chiostro del Convento dei Domenicani, la Cantina Crifo
e, per la parte serale, la raccolta e accogliente Piazzetta Le Monache, affollata
di un pubblico caloroso ed entusiasta. Ma non di sola musica vive il Talos: si distingue
anche per un profondo coinvolgimento delle locali attività di ristorazione, che
in forma associata (EAT, Esercenti Associati Turismo), garantiscono un servizio
di supporto che valorizza le eccellenze culinarie del posto, davvero memorabili,
e per una serie di attività collaterali di valore, come laboratori di fotografia,
mostre fotografiche, presentazioni di libri (E non chiamatelo jazz, di
Giancarlo Schiaffini, Auditorium Edizioni) e mostre d'arte (Unfolding story
# 6 di Sebi Tramontana). E si connota ancora positivamente per il coinvolgimento
delle istituzioni ma soprattutto per il ruolo affidato ai giovani volontari, che
hanno accolto con grande entusiasmo l'invito degli organizzatori a collaborare.
Proprio Schiaffini e Tramontana hanno inaugurato il Talos
2013 con un duo che sfruttava le suggestioni
spaziali e acustiche del Chiostro dei Domenicani, percorse dai due grandi protagonisti
dell'improvvisazione incrociando le coulisse dei loro tromboni con un approccio
sereno e autoironico, rilassato e godibile, che avvicinava il pubblico - affascinato
da talenti costruiti su decenni di esperienza nella prassi improvvisativa - con
una musica per nulla ostica e fruibile da ogni ascoltatore aperto e curioso.
"Senza confini – Ebrei e zingari" è il titolo dello spettacolo
che Moni Ovadia propone già da alcuni anni, con un gruppo composto da italiani
e rumeni, caratterizzato dalla centralità del cymbalon, e impreziosito dal
violino di Ion Stanescu. Melodie e ritmi rom ricchi di pathos e di carica
energetica, e la carismatica figura di Ovadia, garantiscono la godibilità della
proposta.
Il duo
Gianluigi
Trovesi (clarinetti) e
Gianni Coscia
(fisarmonica) è sempre convincente nelle proprie avventure musicali, condotte sul
filo di una finissima ironia, condensata nelle divertenti presentazioni che entrambi
si riservano alternandosi nei vari brani, e nella delicata riproposizione dei brani
del loro vasto repertorio condotta con mirabile interplay e stile impeccabile.
Il documentario La voce Stratos, di Monica Affatato e Luciano D'Onofrio,
proiettato al Convento dei Domenicani, ha il grande merito di aver rotto il silenzio
su una delle figure più importanti della musica dei nostri tempi: Demetrio Stratos.
Un quadro efficace e di grande equilibrio, che ne analizza la biografia, gli esordi,
gli sviluppi artistici in seno ai Ribelli e soprattutto agli Area, e le caratteristiche
vocali, uniche al mondo, senza trascurare l'ambiente musicale italiano degli anni
Settanta.
La seconda serata del Talos è iniziata con la travolgente musica
del duo di Javier
Girotto (sassofoni soprano e baritono e flauto) e
Luciano Biondini (fisarmonica). Un piccolo ensemble collaudato
in innumerevoli esibizioni, che non finisce di sorprendere per compattezza e pathos.
Tra le note di Aires Tango, una spericolata improvvisazione che confluiva
in Prendere o lasciare di Biondini e altri brani noti come Iguazú,
il concerto ha trasmesso una vivificante energia, disegnando paesaggi sonori immaginari
nel segno della bellezza e della fantasia, fuori dal tempo e dagli stili.
Girotto e Biondini hanno preparato il pubblico al concerto della
Minafric Orchestra, diretta da
Pino Minafra
e dal figlio Livio. Attiva sin dal 2007, la MinAfric è oggi costituita da tredici
elementi (oltre ai Minafra, le trombe di Vito Mitoli e Marco Sannini, i sax di Roberto
Ottaviano, Gaetano Partipilo, Carlo Actis Dato, Nicola Pisani, i tromboni di
Beppe Caruso e Sebi Tramontana, il contrabbasso di Giorgio Vendola, le batterie
di Fabio Accardi e Giuseppe Tria) e ha ospitato in alcuni brani il quartetto vocale
delle Faraualla (Gabriella e Maristella Schiavone, Terry Vallarella e Serena
Fortebraccio). Un concerto intenso e di traboccante vitalità, nel quale confluiscono
gran parte delle passioni musicali di casa Minafra, il free, il suono bandistico,
le musiche balcaniche e mille altre suggestioni, in brani dagli arrangiamenti complessi
ma sempre aperti a una liberissima improvvisazione e felicemente comunicativi, che
fanno di questo ensemble una delle più significative espressioni della musica creativa
europea di oggi. Impossibile citare l'uno o l'altro solista, perché tutti impegnati
a dare il meglio di sé: tuttavia, va almeno ricordata la conduction del brano
conclusivo del concerto, affidata a Pisani, autore di un brano efficace e complesso,
Fabula Fabis, una novità nel repertorio del gruppo, che ingloba una nota
composizione del repertorio delle Faraualla, Sind. Le due batterie, insieme
al solidissimo sostegno del contrabbasso e alle espressionistiche performance di
Livio Minafra al pianoforte e al piano elettrico, conferiscono alla MinAfric
una enorme forza ritmica, che spinge in alto il lavoro dei solisti. Doverosi i bis,
affidati alla istrionica voce e al megafono di
Pino Minafra,
che conduceva il concerto alla conclusione con la propria caratteristica gioiosa
e saltellante vitalità, tra l'entusiasmo collettivo.
Ideato dallo stesso Minafra, l'incontro fra Vincenzo Deluci
e il Coro Novum Gaudium, dal titolo "Senza tempo", all'interno della
Chiesa di San Domenico, dalle rilevanti qualità acustiche, ha fortemente emozionato.
La purezza del canto gregoriano insieme alla tromba a coulisse e all'elettronica
di Deluci, che generavano bordoni sul genere Hassell-Henriksen, costruivano una
musica modale di potente valore spirituale, che poneva gli ascoltatori in una dimensione
a-temporale, in un rito meditativo, quasi una sorta di terapia collettiva contro
la superficialità e la cieca velocità della vita contemporanea. Si sono così ascoltati
canti di Ildegarda di Bingen e altri di autore anonimo, tra cui lo Stabat mater
dolorosa.
Per non passare troppo bruscamente alla musica profondamente
terrena della Kocani Orkestar, il Talos ha chiamato sul palco principale
il clarinettista Gabriele Mirabassi e il chitarrista Roberto Taufic,
che con sublime leggerezza hanno esplorato il campo vastissimo e in Italia non sufficientemente
noto delle musiche brasiliane di qualità, tra proprie composizioni e brani di Pixinguinha,
Guinga, Cartola, Chico Buarque, Nelson Ayres. La loro profonda conoscenza di un
repertorio di alto livello, insieme alle finissime armonizzazioni di Taufic che
sorreggono al meglio gli impareggiabili suoni e il fraseggio di Mirabassi, hanno
garantito un viaggio in musica suggestivo e memorabile, delicatissimo e venato di
nostalgia. La Kocani ha poi come sempre versato adrenalina pura sul pubblico, con
un performance muscolare che ha avuto una lunga prosecuzione acustica tra il pubblico,
per un rito di danza travolgente e liberatoria.
L'ultima giornata del Talos, dopo il convegno antimeridiano sul
tema "La Banda: un patrimonio da salvare", è stata inaugurata dalla fisarmonica
del pugliese Vince Abbracciante, per un concerto in solitudine in cui la
buona tecnica si coniugava con il sentimento, in un repertorio che alternava brani
famosi e composizioni originali. La Talos Master Band di Giancarlo Schiaffini
raggruppava tredici strumentisti tra quelli che hanno frequentato il master in improvvisazione
da lui condotto, e ha dato un saggio di quanto appreso nel cortile del convento
dei Domenicani.
A concludere il festival, tre affollatissimi concerti: i rumeni
Taraf de Haïdouks, alfieri della musica tzigana, con al centro il cymbalon,
e un volume di suono reso corposo dalla presenza di tre fisarmoniche, che sostenevano
il ruolo solista del violino elettrico e del flauto; la superba tecnica tapping
del chitarrista uzbeko Enver Izmailov, affidata però a un repertorio di gusto
discutibile e infarcita di gag; e infine la Band of Gypsies, unione tra Taraf
de Haïdouks e Kocani Orkestar, una potente macchina da guerra musicaleper la festa
finale di chiusura del festival, con il pubblico entusiasta e danzante.