Gianluigi Trovesi, il risotto allo zafferano
ed il suono del melograno
di Davide Ielmini
foto di Pietro Bandini
Di profumi,
Gianluigi Trovesi ne ha odorati parecchi: quelli della musica
che ascolta da ragazzino e quelli dei piatti della cucina bergamasca. Nato a Nembro
nel 1944, fa di clarinetti e sassofoni i mestoli della minestra musicale. Impacciato
e introspettivo, ma anche simpaticissimo nella sua semplicità d'uomo, ha riscosso
successi ovunque: in Germania, Portogallo, Norvegia. Nel 2001 Ciampi gli consegna
l'onorificenza di Ufficiale della Repubblica Italiana, e lui l'accetta consapevole
del fatto che la musica non è una medaglia.
Artista di punta dell'etichetta discografica tedesca ECM,
i suoi brani ingolosiscono come meringhe alla panna. Sin dai trascorsi con
Giorgio
Gaslini ("Free Actions" e "Graffiti") e, poi, in duo con la fisarmonica
di Gianni
Coscia e l'amato ottetto.
Un jazz che sa di "giullarismo" come il grammelot di Dario Fò, tra musica da camera
e dodecafonia, nobiltà della composizione e ballo popolare. Trovesi è questo: il
ricordo di un padre metalmeccanico che, di ritorno dal lavoro, cantava e sedeva
alla batteria. Sul palco arriva quasi dimesso, ma afferra le ance come polli dal
collo. Non ama le attese, Gianluigi: spingetelo in una balera, buttatelo in un club,
costringetelo in una sala di incisione e vi saprà stupire. E' quella la sua cucina:
di fronte agli arnesi del folclore italiano, dell'Ars Nova fiorentina, di un salterello
del Trecento e del contrappunto di Johann Sebastian Bach distilla uve sonore come
si fa con un Brunello di Montalcino. Servendo un jazz che, come la pizza, propone
una "base uguale per tutti, ma ingredienti aggiuntivi secondo il gusto personale"
e un risotto in omaggio a Giuseppe Verdi. Un po' "Profumo di Violetta" – Traviata,
si sa, è un progetto discografico – con aroma allo zafferano per onorare l'amor
di patria e l'amor di ventre.
Il risotto tipico alla milanese fa impazzire entrambi, Trovesi e Verdi: "E' il
mio piatto preferito in assoluto", ci racconta Trovesi, "perché fin da bambino
era il piatto domenicale per antonomasia, servito prima del bollito misto".
La ricetta segue la tradizione: "Si trita la cipolla e si soffrigge la midolla
di manzo con il burro. Poi si diluisce con poco brodo, si passa al setaccio e si
mette il tutto nella padella con riso e zafferano. Tramenarlo alquanto al fuoco,
quindi farlo cuocere di buon brodo rimettendone man mano che si asciuga". Un
preludio musicale che, nella sua lentezza, è un crescendo di piacere. Infatti, "a
mezza cottura unite la cervellata e, quando il riso è quasi cotto, aggiungete il
formaggio grattugiato". Varianti? In cucina, come in musica, ognuno ci mette
del suo. E questo è un dovere, a patto che chi opera sappia come operare. "Ad
alcuni piace, dopo averlo fatto rosolare un pochino, metterci il vino bianco",
prosegue Trovesi. "Altri, nel momento di ritirarlo dal fuoco, aggiungono un pezzetto
di burro fresco che dovrà essere diligentemente sciolto. E' importante che la bollitura
sia spinta a fuoco ardente".
Nulla di "Fugace" – come aveva titolato un suo intrigante cd questo bergamasco bravo
a svisare (altrimenti si direbbe, improvvisare) – ma tutto calcolato secondo quella
lezione acquisita tra la banda di Nembro e il conservatorio. C'è una canzone, poi,
che Trovesi abbina prontamente al piatto: ""La banda dell'urtiga", perché chi
conosce il testo del brano sa che chi "faceva il palo" non era nervoso per non aver
ricevuto il bottino, ma per il profumo del risotto proveniente dall'osteria di fronte.
"Per vederci non vedeva un'autobotte, per sentirci ghe' sentiva un acident", ma
aveva un odorato sviluppatissimo e una fame boia".
Miracolo dell'intensità olfattiva, eppure la musica non si può accontentare di una
risottata. Ed è per questo, allora, che il piatto che più di tutti si abbina all'idea
della musica è, per Trovesi, "il piatto unico. Poi c'è anche un frutto che sembra
suonare, ed è il melograno. Il paesaggio invernale, colorato dai suoi frutti, diventa
un enorme pentagramma. E gli stessi, aperti, svelano il segreto dell'armonia, della
melodia, del ritmo e del timbro". Il mistero di quella musica che si fa "canzone",
sollevata da pochi, essenziali ingredienti: quelli che lo chef appiccica alla memoria
di un naso e un artista deve attaccare alla memoria delle orecchie. Proprio come
la "Moritat" di Kurt Weill (dall'Opera da tre soldi) che il piccolo clarinettista
canta in quel cortile della sua infanzia "che è il più musicale di tutto il lombardo-veneto".
Allora il cibo può ispirare una melodia e le note possono ingrassare quando l'artista
siede ad una buona tavola. E nulla importa se la musica sia dolce o salata. Per
Trovesi non è né l'una e né l'altra, ma solo Ambrosia: "Il cibo degli dei!".
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Data pubblicazione: 21/09/2014
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