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Patrizia Laquidara, la parmigiana siciliana e l'agrodolce dei fegatini veneti
settembre 2014
di Davide Ielmini
foto home di Angelo Trani

Gli occhi neri, di una notte sposa del mare. E la voce che tutte le donne vorrebbero avere quando chiedono, pregano, amano. Patrizia Laquidara nasce a Catania nel 1972, ed é una fra le scoperte musicali più avvincenti di questi ultimi dieci anni: Targa Tenco 2011, nella sezione canto dialettale, per "Il canto dell'Anguana", il suo ultimo cd in alto vicentino con gli Hotel Rif. In quella Catania, che ha dato i natali - tra i tanti artisti - anche a Vincenzo Bellini e Carmen Consoli, Patrizia consuma i suoi primi peccati di gola: "La parmigiana siciliana della mia nonna paterna", ci dice con il tono generoso di chi considera il mondo troppo piccolo. E così ha deciso di costruirsene uno proprio fatto di voli funambolici, di esseri mitologici e credenze popolari (l'anguana, nella tradizione veneta, é la donna-serpente nella quale si ritrovano il Bene e il Male) dove l'incontro si gioca tanto nelle canzoni quanto a tavola. E' anche per questo che Patrizia non ha un suo "piatto preferito: i miei gusti cambiano in base alle stagioni, ai luoghi in cui mi trovo, al clima e all'umore con cui mi alzo la mattina. Così, accanto alla parmigiana della nonna non posso non ricordare le uova dei cent'anni cinesi, gli ovos moles portoghesi e la salsa agrodolce della mia nonna materna; nonna veneta".



Parmigiana a parte, Patrizia nasce in una terra dove il cibo – proprio come la musica – nutre anche l'anima: gli occhi di bue (i molluschi che si servono con polpi e gamberi) fanno rima con i masculini marinati, le acciughe salate servite nel cugnetto (il recipiente di terracotta), u mauru (l'alga cruda), u zuzzu (la gelatina di maiale) e u sangeli (il sanguinaccio). Da qui alla "pasta alla Norma" (Bellini, ovvio), il passo é breve. Ma il Veneto, la Laquidara se lo porta dentro con la stessa intensità: si fa complice dei suoi accenti, vive la sua durezza vocale, si dondola alla teatralità di parole che affrontano la vita di petto anche quando si culla un bimbo. Perché il canto dell'Anguana raccoglie tutti i Sud e tutti i Nord della terra. Va dall'Africa ai Balcani, lungo le direttrici che gli uomini percorrono, spesso, senza sapere del loro rituale di tolleranza e condivisione.

E' qui, in questo alfabeto di cuori e sapori, che Patrizia "premia" la salsa in agrodolce: "Fegatini di pollo, pinoli, uvetta, brodo, amaretti e cipolla rossa. La ricetta é semplice: fare il soffritto con la cipolla, far rosolare i fegatini, aggiungere vino bianco e uvetta già bagnata. Ricoprire il tutto con brodo o acqua e far andare a fuoco lento. A metà cottura aggiungere gli amaretti schiacciati bene e servire, possibilmente, abbinando carne d'anatra o altra carne bianca". Un piatto che, proprio come la musica di questa poetessa di estrazione maudit (così l'avevamo definita anni fa), supera i confini per avvicinare il pubblico a quel gusto della riscoperta, e dell'assaggio, che nulla richiede se non il recupero di una lentezza vitale. Ma sull'abbinamento musicale alla salsa, Patrizia non nasconde una scelta difficile: "Ci suonerei un blues che possa far risaltare l'agrodolce, ma sarebbe più adatto per le carni rosse. I fegatini, diciamocelo, sono più jazz. Allora meglio Chet Baker, con quella sua tromba che agrodolce lo é davvero". Meglio il "cool", che tutti pensavano fosse musica fredda e, invece, ci pensò Lennie Tristano a rimettere ordine nelle teste parlando di jazz "rilassato, serio e impegnato". Caldo come lo era il be-bop.

Questo é ciò che piace a Patrizia. E se tra gli ingredienti ci mettiamo anche un pizzico di improvvisazione – come il pepe nei piatti – tutto potrebbe muoversi in quella dimensione fatata che sta tra la spiritualità e la carnalità. Patrizia lo sa bene, perché é questo che fa nei suoi dischi di cucina etnica, nei quali l'Europa latina (ha vissuto alcuni anni anche a Lisbona) si affianca alla canzone d'autore più spigolosa e croccante. Una figlia di un tempo lontano, la Laquidara, ancora legata alla poetica dei sentimenti e a quella parte di gioco innocente, ma a volte drammatico, che é la vita. E' forse per questo che, per lei, la verdura più musicale é la zucca: "Se la svuoti diventa una percussione". Perché il ritmo é un'altra componente, e deve essere del tutto naturale: acquisirlo é difficile, inventarlo e controllarlo – se non sai come fare – quasi impossibile. Eppure Patrizia canta con questa idea in testa: aleggia sul palco, pestando i brutti ricordi a piedi nudi. Un rito tribale che conduce ad una musica che é amalgama: "Piccante come il peperoncino, amara come il radicchio, aspra come il limone e melliflua come il miele". Ma uno solo, infine, é il piatto fatto appositamente per le note: "Quello del giradischi".







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Data pubblicazione: 19/10/2014

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