AtinaJazz Festival 24-28 luglio 2019
di Vincenzo Fugaldi
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Il territorio italico è tappezzato di una miriade di festival
jazz, o presunti tali. Alcuni si fregiano della qualifica restando limitati a budget
scarsissimi, scritturando solo pochi musicisti locali, insomma non lasciano traccia.
Non è questo il caso di AtinaJazz, un bel festival che da trentaquattro anni si
tiene in un paesino incantevole della Valcomino, a metà strada fra Roma e Napoli.
Entusiasmo da vendere da parte degli organizzatori (il Comune e la Proloco), e un
direttore artistico, Maurizio Ghini, che per il jazz mostra una passione
incontenibile. Così nei cinque giorni di fine luglio si sono potute ascoltare delle
interessanti realtà artistiche locali, e alcuni protagonisti della storia del jazz
di oggi.
Inizio dal concerto conclusivo del festival, quello del sestetto di
Enrico Rava.
A pochi giorni dal suo ottantesimo compleanno, il trombettista ha portato ad Atina
la sua ormai rodatissima Special Edition: Enrico Morello alla batteria,
Gabriele Evangelista al contrabbasso, Francesco Diodati alla chitarra,
Giovanni Guidi al pianoforte e
Francesco Bearzatti
(che prende il posto di Gianluca Petrella) al sax tenore e clarinetto. Trasferito per ragioni
di forza maggiore all'interno del Palazzo Cantelmi, in un affollatissimo salone
di rappresentanza, il concerto ha beneficiato della maggiore concentrazione offerta
dallo spazio al chiuso. Da molto tempo, assistendo ai concerti di Rava, mi sono
reso conto che il nostro ha raggiunto una sua personale classicità, quasi un suo
personalissimo marchio di fabbrica che i musicisti che suonano con lui percepiscono,
recepiscono, arricchiscono con il loro personale contributo, come in un rito speciale,
da giorni di festa. Ma, attenzione, la musica di Rava ha ben poco di rituale, se
si eccettua il repertorio: c'è sempre la sorpresa dietro l'angolo, il guizzo, la
graffiante fantasia. E la meraviglia di un suono di flicorno che cattura e avvince,
pieno di feeling, swing, senso melodico, che i partner raccolgono con mirabile
interplay, contribuendo copiosamente a celebrarne il senso, costruendo una
musica che rimane nel cuore e nella mente di chi ascolta. Da citare l'apporto di
Berzatti che ha conferito toni ellingtoniani, il dinamicissimo drive della
ritmica di Evangelista e Morello, i brucianti ricami e fraseggi di Diodati e il
pianoforte di Guidi, sempre imprevedibile e tuttavia appropriato, attento e propositivo.
Oltre ai brani del leader, una emozionata versione di My Funny Valentine,
la ballad più amata da Rava (e da Guidi), e la cubana Quizás, quizás, quizás.
Atina valorizza anche i musicisti locali: così ha fatto
per il trio del pianista Giorgio Ferrera, insieme al contrabbasso di Alessandro
Del Signore e alla batteria di Pierluigi Tomassetti, un gruppo equilibrato
che ha eseguito belle composizioni originali del pianista; per il Cosmic 6et
guidato dal pianista Tommaso Folchetti, con begli arrangiamenti in chiave
vicina al jazz di alcuni successi del primo David Bowie e di classici del jazz eseguiti
con gusto da una buona formazione; per il concerto di classica del giovane Virgilio
Volante, che ha eseguito con competenza, tra l'altro, dei lieder di Schubert
e Schumann. E inoltre il quartetto di Julien Colarossi, chitarrista della Valcomino
trasferitosi a Dublino, composto dal pianista Johnny Taylor, dal contrabbassista
Barry Donohue e dal batterista Dominic Mullan, insieme alla cantante
Gemma Sugrue. La Sugrue viene dal pop e dal soul, e ha interpretato con gusto
e dimestichezza alcune belle composizioni di Colarossi, degli standard e una canzone
di Joni Mitchell (The Dry Cleaner from Des Moines). Un quartetto fresco e
gradevole, che in una dimensione felicemente acustica ha suonato un jazz fruibile
e accattivante, nel quale hanno spiccato particolarmente il pianista e il leader,
dal fraseggio classico, calato nella tradizione mainstream della chitarra
jazz.
Il nuovo trio di
Franco D'Andrea,
New Things, vede il pianista affiancato dalla tromba di Mirko Cisilino
e dalla chitarra di Enrico Terragnoli. D'Andrea ha proposto – nella cornice
di Piazza Marconi, raccolta ma forse non ideale per il suo progetto – questo nuovo
trio nel quale Cisilino si rivelava come un nuovo talento da tener d'occhio, mentre
il più navigato Terragnoli si alternava tra corde ed elettronica imprimendo colori
e timbri contemporanei, ma anche richiamando a tratti le sonorità di un banjo. Le
composizioni di D'Andrea reinterpretano come è noto in chiave contemporanea la tradizione
del jazz, specie quello pre-bebop; il concerto ha raggiunto una compiuta comunicazione
con il pubblico verso la parte conclusiva.
Le attese dei giovani fans per l'esibizione del trio Bowland, gruppo che usa strumenti
e sonorità insolite e accattivanti, sono state deluse da un improvviso temporale
che ha interrotto il concerto dopo circa un quarto d'ora dall'inizio.
Non resta da citare dunque che il concerto della ventenne bassista polacca Kinga
Glyk, arrivata ad Atina in trio con le tastiere del connazionale Pawel Tomaszewski
e la batteria di Yoran Vroom, olandese di colore. La Glyk, che venne in Italia
la prima volta in un tour del 2017, in quell'anno aveva inciso il suo terzo album
per la prima volta in casa Warner. Dedita a una fusion calda e avvolgente, la bassista
non tende a riprodurre pedissequamente la lezione di Pastorius, ma si mostra attenta
a cercare una sua via, avvalendosi della grande perizia dei partner che hanno fornito
un apporto sostanziale alla riuscita del concerto, con i variegati colori forniti
dalle tastiere e la portentosa carica ritmica di Vroom, che ricorda a tratti il
Cobham dei tempi migliori. Tra brani originali e un riuscito omaggio ai Weather
Report, virtuosismi al basso e buona capacità comunicativa, il concerto ha riscosso
un meritato plauso ecumenico.