Torino Jazz Festival 30 aprile e 1 maggio
di Gianni Montano
foto di Francesco Truono
Il 30 aprile nel museo delle scienze naturali Stefano Battagliacon i 3 Quietmen incontrano i disabili gestiti dalla cooperativa CLG.
Il concerto conserva un valore dal punto di vista sociale, ma si ascoltano pure
bei suoni. Si transita per un jazz soft rock con frasi ripetute molte volte con
un aumento progressivo di intensità. Gli ospiti, grazie ad alcuni accorgimenti di
gestione della performance, si inseriscono nel discorso complessivo favorevolmente,
dimostrando un approccio entusiasta e sfacciato nei confronti dell'esperienza. Un
pubblico particolarmente complice con l'iniziativa non lesina un generoso e sentito
applauso finale per tutti i protagonisti.
Alle 18 in piazza Valdo Fusi scende
in campo Dorado Schmitt Familia Sextet. I musicisti si schierano quasi sempre
in trio: basso, chitarra ritmica (fissi) e chitarra solista (variabile). Solo sul
finale si riuniscono tutti e sei. Impressiona per tecnica il diciassettenne Amati
Schmitt, figlio di Dorado. Il leader, ad ogni buon conto, entra in scena a metà
concerto e impone il timbro del suo violino e il suo carisma. Il repertorio passa
da cavalli di battaglia di
Django Reinhardt
a brani famosissimi come " La tzarda" o "Ochichornia", a classici quali "Sweet Georgia
Brown". Si ha l'idea che il manouche faccia parte della cultura, della storia, della
vita stessa di questi artisti. Più che interpretare canzoni di un repertorio consolidato,
gli Schmitt celebrano un vero e proprio rito. Il clima è quello di una festa zingara
per una qualche importante ricorrenza. Gli spettatori decretano un buon successo
all'esibizione dove il jazz è uno degli elementi, accanto ad altri ingredienti di
maggiore richiamo popolare.
Alla sera in piazza Castello è il turno di uno degli ospiti più
attesi: McCoy Tyner. Il musicista afroamericano si appalesa con un'andatura
lenta e un po' incerta, ma quando siede al pianoforte tira fuori un solismo più
contenuto ed essenziale rispetto agli anni settanta, ma indubbiamente efficace.
Il momento più significativo del set si configura proprio quando il compagno di
viaggio di John
Coltrane rimane sul palco da solo. Per il resto la front line dei fiati,
come prassi consolidata, riprende il motivo introdotto dal leader collettivamente
in brevi sequenze. Si succedono lunghi interventi di sax, tromba e trombone. Bryan
Linch e Conrad Herwing dimostrano tecnica e competenza, ma sorprende Gary Bartz:
sia all'alto, che al soprano ricurvo è spigoloso, appuntito e leggermente sghembo,
mentre gli altri due appaiono un po' freddini. Corretto, non travolgente, risulta
il contributo di batteria e percussioni con i "latini" del gruppo Francisco Mela
e Giovanni Hidalgo. E' onesto
il contrabbasso di Gerald Cannon. La conclusione del concerto è salutata da ovazioni,
forse anche per la novità di una serata senza pioggia, almeno sino alle 23.
Il Po, già su un livello di attenzione, rischia di straripare
per l'onda anomala provocata da Gianluca Petrellae dal dj Jestronik sistemati sul lato destro dei Murazzi subito dopo
le 23 e 15. Il suono del trombone, filtrato e frullato dall'elettronica arriva sugli
spettatori come un urto dirompente, squassante. Nei venti minuti della performance
non ci sono concessioni melodiche o armoniche. Sono scosse telluriche che partono
da una riva del fiume e giungono dall'altra parte con l'effetto di un attacco diretto
alle certezze di quanti pensano di aver circoscritto i campi di azione del jazz.
Qui siamo oltre. Al di là anche di altri generi musicali.
Il primo maggio, giornata di sole, I Funk Off partono
da piazza Valdo Fusi per trascinare un corteo contagiato dal loro entusiasmo in
piazza Castello. Suonano intonati e coesi e contemporaneamente ballano, si dimenano,
danno vita a gag mimiche, tutto su un ritmo funky ben squadrato. Ironia e intelligenza
vanno a braccetto in questa marchin'band sicuramente fra le migliori in Italia.
Alle ore 16 è la volta di Odwalla. Il gruppo, nei qurantacinque
minuti di concerto, riassume le caratteristiche più peculiari della sua opzione
estetica. Si comincia e si continua con i cavalli di battaglia su tempi dispari,
come segno distintivo dell'ensemble. Subito dopo l'enunciazione del tema da parte
di marimba e vibrafono, prorompono le percussioni, coordinate, vigorose e vibranti.
In punti concordati escono fuori i quattro ballerini con una azione insistita a
snodare e riannodare i loro corpi con una gestualità antica e attualizzata. Odwalla
è danza, teatro, musica in un'unica rappresentazione Chi non li conosceva rimane
rapito dall'intermezzo tutto africano con i due senegalesi a condurre il gioco e
gli spettatori coinvolti nella performance a battere le mani su sollecitazione precisa.
Altri apprezzano maggiormente l'energia raffinata del sound complessivo.
Massimo Barbiero
si ritaglia ampi spazi solistici e tutti gli altri sono carichi il giusto per rappresentare
al meglio la storia e le caratteristiche di una formazione di percussionisti dalle
tante sfaccettature: minimaliste, etno-folk, progressive-afro….Alla fine è una festa
annunciata. La risposta della piazza non può che essere molto positiva.
Il sestetto Fringe Off è una sorta di All Stars dell'edizione
passata degli spazi attorno ai Murazzi. Il clima è quello di una jam session un
po' più strutturata. Sono stati scelti standards e originals da eseguire e, dopo
brevi momenti arrangiati, si concede ampia libertà ai solisti. Tutti suonano bene
con una menzione particolare per Eric Legnini, però non ci si può scaldare
il cuore con questo modern mainstream solido, ma risaputo.
E' invece sorprendente il set di Pilar. La cantante romana
divaga in un repertorio comprendente sue canzoni, omaggi a Brel, Dulce Pontes e
altri songwriters di vaglia. Ha una voce personale, limpida e sa modularla con un'interpretazione
attenta alle sfumature, alle dinamiche. Quando è il momento dispiega tutta la sua
potenza vocale o si rifugia in un sussurro. E' bene accompagnata dal trio del chitarrista
e arrangiatore Ferrandina, ma è la vocalist il punto di forza del gruppo, quella
che provoca il cosiddetto salto di qualità.
Alle 18 è il turno del quartetto di Roy Haynes "Fountain of
Youth". Il batterista è un autentico monumento vivente. Ha cominciato con Charlie
Parker e ha ottenuto gloria e onori negli anni settanta nel cosiddetto trio europeo
di Chick Corea.
A Torino è in compagnia di tre bravi strumentisti non particolarmente geniali, ma
il suo drummin è ancora griffato di classe. Il momento migliore dell'ora a disposizione
è il suo solo condotto sui piatti. Alla fine Haynes gigioneggia con la piazza. Accenna
"I feel good" e lascia che i suoi poulains si presentino al pubblico con
un discorsetto conclusivo. Si termina con un tema piuttosto sentimentale, la punta
di un'esibizione non del tutto memorabile.
Alle 20 l'aria e il cielo si fanno scuri. La scena è del combo
Is What?!, gruppo dell'Ohio insieme da quindici anni e si vede dall'intesa
fra i vari membri. Il quartetto è trainato da NapOleon Maddox, cantante e
beatboxer, noto in Italia per la collaborazione con Tinissima di
Francesco Bearzatti.
Si ascolta rap mescolato ad altre forme della black music contemporanea in un sound
complessivo di impronta chicagoana. Tutto fila liscio per circa un'ora, ma alla
lunga il gioco mostra una certa ripetitività di situazioni e diventa monocorde,
privo di sbocchi apprezzabili. Fa la sua figura, in ogni modo, alla batteria
Hamid Drake,
uno che sa farsi trovare pronto in tutti i contesti.
Dopo le 21 arriva il turno di uno dei gruppi più attesi e le
aspettative non rimangono deluse. E' fusion di gran classe quella proposta dal quartetto
di Mike Sterne Bill
Evans. Dave Weckl è semplicemente
portentoso nell'assicurare un sostegno ritmico ricco, fantasioso e preciso. Tom
Kennedy fa sentire il peso del suo basso elettrico con competenza e dedizione alla
causa comune. Stern ed Evans non si risparmiano con interventi individuali costruttivamente
ineccepibili. Nei botta e risposta fra sax e chitarra si raggiunge l'acme della
tensione. Sul finale si registra una caduta di tono con un numero cantato ad uso
e consumo di una folla di gusti facili. Una piccola pecca di un'esibizione di sicuro
spessore.
Non è ancora finita. La festa si conclude con Simone Cristicchi
ospite dei Funk Off. Dopo un'introduzione di due pezzi per l' orchestra,
entra in scena il vincitore del festival di Sanremo 2007,
ben disposto ad assecondare la cinestesia della band toscana. Sul palco tutti saltano,
ballano, si agitano e così nelle prime file. Si sentono "L'Italia di Piero", "Meno
male", "I matti de Roma" in versioni ancor più tirate che nell'originale. Per eseguire
"Ti regalerò una rosa" e "Studentessa di periferia" il cantante si avvale dei suoi
abituali partners, lasciando in panchina i Funk Off. Tripudio finale con "Volemo
le bambole". Il successo di pubblico è meritato, se non altro per l'energia profusa.
L'ultima immagine del festival di Torino è quella di Stefano
Zenni colto a muoversi in modo compito, ma a tempo, sulla musica di Cristicchi.
Il titolo dell'istantanea potrebbe essere: l'intellettuale si diverte. E proprio
questo è l'obiettivo della rassegna: coniugare il fatto artistico con il lato ricreativo.
Divertire con la cultura. In tanti appuntamenti questo scopo è stato raggiunto.
Questo è già confortante.