Südtirol Jazz Festival, Alto Adige, 30 Anni
29 giugno - 8 luglio 2012 di Vincenzo Fugaldi
Un traguardo importante, quello del trentennale. Tra i festival
italiani che l'hanno raggiunto, un posto particolare va alla rassegna altoatesina,
che prosegue nel suo ruolo di finestra aperta alle novità europee, senza preclusioni
nei confronti di quanto di interessante si muove in Italia in campo jazzistico,
ma anche con una doverosa attenzione al panorama statunitense.
Dunque ancora un programma ricchissimo, che ha coinvolto buona parte del territorio
della provincia di Bolzano, in spazi spesso inediti e suggestivi.
Chi scrive ha seguito la parte finale del festival, iniziata
la sera del 6 luglio negli spazi bianchi e armoniosi del Museion, uno dei luoghi
più interessanti per l'arte contemporanea in Italia, che ha ospitato una informale
performance del Duo Arctica, i finlandesi Tatu Rönkkö, percussioni,
e Pauli Lyytinen, sax tenore e percussioni. Rönkkö ha allestito l'angolo
della sala destinato al duo, in prossimità del pubblico, come uno spazio scenico,
riempiendolo di semplici oggetti quotidiani da cucina e isolati pezzi di batteria.
Dopo una lunga introduzione in solo, condotta dal percussionista con un senso della
costruzione personale e convincente, l'intervento del sassofono, condotto in totale
empatia con il compagno, e trasformatosi presto in un duo di percussioni. Una improvvisazione
essenziale, dalle dinamiche composite, che spaziava dal pianissimo al forte, da
suoni rarefatti a pieni di energica drammaticità, senza perdere però il senso del
gioco e dell'ironia.
A seguire, nel suggestivo spazio concertistico
allestito all'aperto innanzi al Museion, il concerto del gruppo denominato Ninety
Miles. Novanta miglia è la distanza tra la costa statunitense e quella cubana,
e tale breve distanza è stata colmata musicalmente l'anno passato dal vibrafonista
Stefon Harris,
dal sax tenore di David Sanchez e dal giovane trombettista Christian Scott,
unitisi a musicisti cubani per la registrazione del cd omonimo, pubblicato dall'etichetta
Concorde Picante. La formazione ascoltata a Bolzano vedeva al posto di Scott
il trombettista Nicholas Payton, Ed Simon al pianoforte, Ricky
Rodriguez al contrabbasso, Terreon Gully e le percussioni di Mauricio
Herrera.
Repertorio incentrato sulle composizioni presenti nel cd, il settetto ha risentito
di in incidente al contrabbasso, che ha impedito al bassista di suonare per una
parte del concerto, ma anche di qualche problema di amalgama con Simon e Payton,
di nuovo inserimento nella formazione, il primo piuttosto defilato al punto di non
eseguire praticamente alcun assolo. Latin jazz mescolato a hardbop, fortemente determinato
dall'intreccio tra batterista e percussionista ben coordinati e in primo piano,
buon entusiasmo da parte di Harris, uno dei migliori vibrafonisti oggi attivi, suono
caldo e fraseggio lirico da parte di Sanchez, composizioni valide, gli aspetti positivi
di un concerto che comprendeva tra i brani eseguiti Brown Belle Blues,
And This Too Shall Pass e Black Action Figure di Harris, e il delicato
The Forgotten Ones di Sanchez dedicato alle vittime dell'uragano Katrina.
Bis sulle note della rollinsiana St. Thomas.
In un luogo che emana suggestiva energia, un ampio granaio appartenente
alla Vineria Paradeis nel piccolo antico borgo di Magrè, si è tenuto l'incontro
voluto e commissionato dal proprietario Alois Lageder e dal festival alla
sassofonista Angelika Niescer, che ha composto una suite dal titolo The
Imprint, pensandola per un organico essenziale, per due musicisti italiani in
particolare: Simone Zanchini alla fisarmonica e
Stefano Senni
al contrabbasso. Uno dei nomi di punta del jazz tedesco degli ultimi anni, la Niescer,
polacca di nascita, ha scritto una partitura ardua e pregnante, che ha trovato in
Zanchini e Senni due interpreti d'eccezione, pronti ad integrarsi con il sax alto
della leader integrandosi pienamente nello spirito mitteleuropeo dell'opera. La
potenza ritmico-armonica del contrabbassista, la rifulgente tecnica del fisarmonicista
e l'uso sobrio e controllato dell'elettronica da parte di questi, la dialettica
tra scrittura e improvvisazione, tra soffi appena accennati e pieni musicali, insieme
al vivido e ribollente fraseggio del sassofono, hanno contribuito a delineare un
mondo musicale a un tempo razionale ed emotivamente rigoglioso, placido e riflessivo,
cangiante ma tuttavia compatto.
La stessa Niescer è stata poi protagonista di una serie di improvvisazioni per solo
sax alto che si intervallavano alla presentazione al Museion della mostra "Polyethylene"
dello scultore polacco Pawel Althamer condotta dalla direttrice del Museion Letizia
Ragaglia, un modo suggestivo per introdurre all'opera di uno dei più grandi artisti
contemporanei.
Per la seconda estate in Italia con quattro quinti della formazione
che ha inciso per la Blue Note il cd «When The Heart Emerges Glistening»,
il trentenne trombettista Ambrose Akinmusire, insieme ai coetanei Walter
Smith III, sax tenore, Sam Harris, pianoforte, Harish Raghavan,
contrabbasso e Justin Brown, batteria, pur risentendo di pressioni contingenti
- un ritardo in arrivo e una successiva immediata partenza - che hanno limitato
la durata del concerto e in qualche misura anche la serenità e la qualità della
prestazione dei musicisti, a tratti piuttosto distaccata, ha tuttavia dato alcuni
segni della sua verve innovativa, proponendo una sorta di hardbop del nuovo millennio,
fine, rigoroso, asciutto, ben sostenuto da tutti i compagni, in particolare dal
vulcanico Brown, con empatici intrecci fra tromba e sax, duetti tromba-pianoforte,
eseguendo il repertorio dell'ultimo cd ma anche brani di nuova composizione. Tra
quelli eseguiti, With Love, Henya, The Fire Next Time.
Nel piccolo palco sulla terrazza che sovrasta il Rifugio Comici,
in Val Gardena, alle pendici del Sassolungo, con uno sfondo di incomparabile bellezza,
sono atterrati, per la prima volta in Italia, i tre candidi astronauti della
Piccola Orchestra Gagarin: Paolo Angeli, con la sua chitarra sarda preparata
in costante evoluzione tecnologica ed espressiva, il violoncello del russo Sasha
Agranov e la batteria del catalano Oriol Roca. Rispetto al disco registrato
due anni fa, «Platos combinados», il trio mostra un affiatamento crescente,
grazie al fatto che i componenti vivono nella medesima città, Barcellona, e suonano
spesso insieme. La ben nota creatività di Angeli, insieme alle rilevanti doti tecniche
ed espressive dei partner, che si sono conosciuti in Olanda dove entrambi studiavano
musica elettronica, una buona dose di umorismo - i tre arrivano in scena con tute
e caschi da astronauti, introdotti dalla voce registrata dell'astronauta russo -,
l'utilizzo di materiali musicali di matrice popolare (un canto russo, la Corsicana
in dialetto gallurese ribattezzata per l'occasione Corsicanskaja) intonati
rispettivamente dalle voci di Agramov e di Angeli, inseriti in suite che alternavano
parti composte e parti improvvisate con leggera naturalezza, tra free improvisation
e riff di matrice rock, hanno convinto e deliziato il folto pubblico che ha raggiunto
il noto rifugio.
La conclusione del festival, innanzi al Museion, non poteva essere
più azzeccata: il ritorno a Bolzano di
Pino Minafra,
stavolta con la sua Minafric Orchestra, dodici elementi di indiscusso valore:
oltre al leader, il figlio Livio
al pianoforte e alle tastiere, Marco Sannini e Vito Francesco Mitoli
alle trombe, Beppe Caruso e Giampiero Malfatto ai tromboni, Roberto
Ottaviano ai sax alto e soprano,
Gaetano Partipilo
all'alto, Carlo Actis Dato al tenore, Nicola Pisani al baritono,
Giorgio Vendola al contrabbasso e
Cristiano Calcagnile
che sostituiva Vincenzo Mazzone alla batteria, timpani e gong. Da sempre una delle
migliori compagini orchestrali del jazz italiano, con una lunga storia e un repertorio
consolidato che coniuga sapientemente il linguaggio musicale di derivazione afroamericana
con le migliori tradizioni italiane e mediterranee, la Minafric ha mostrato a Bolzano
di conservare integro tutto il proprio spessore musicale. Un collettivo che dà spazio
alle elevatissime doti solistiche di ciascuno (cito per tutti una memorabile introduzione
di Ottaviano al soprano) senza mai perdere di vista il disegno collettivo e complessivo,
guidato dalla figura istrionica e carismatica di Minafra, diviso tra strumenti,
direzione e un canto denso di autoironia, spalleggiato con convinzione dal figlio
Livio. Dall'iniziale Maccaroni alla complessa suite Terronia, che
ha lo spessore di un'apologia di tutti i sud del mondo, passando per Minafric,
Mediterraneo, La girandola, La danza del grillo, in
un concerto che ha lasciato il segno in questa trentesima edizione del festival
altoatesino.