Pescara Jazz: la storia continua…
Pescara, 10-15 luglio 2007
di Dino Plasmati
Giunto alla 35^ edizione, e in ottima salute, il Festival pescarese ha
proposto cinque eccellenti formazioni, con i loro accattivanti progetti, e due gustosi
fuori programma: il concerto della splendida Nathalie Cole (quasi un antipasto
al luculliano pranzo che Pescara Jazz ha offerto al suo pubblico), e la bella iniziativa
del Jazz in Città (una passerella dei migliori gruppi dell'area metropolitana
pescarese).
Le jam-sessions, immancabili nei festivals di tutto rispetto, hanno fatto
da appendice a tutte le serate della rassegna, in modo da allungare il piacere della
buona musica oltre i confini ufficiali del teatro. A tenere banco vi era il trio
del pianista Tony Pancella…e le sorprese non sono mancate!
La voce e la classe della bella e brava Nathalie Cole hanno deliziato
ed entusiasmato il numeroso pubblico presente al concerto d'apertura al Teatro D'Annunzio.
Un concerto divertente in cui non sono mancati momenti di grande emozione. Cresciuta
secondo gli insegnamenti del padre, oggi Nathalie sembra essersi svincolata
dagli stilemi di Nat King Cole (17 mar 1919 - 15 feb
1965) senza per questo dimenticare quella classe e quell'eleganza di fraseggio
che appartennero al modo di cantare di suo padre. La cantante, oggi, si impone con
una proposta musicale doppia: l'una la definirei nostalgica e della memoria, in
cui affronta un repertorio di brani standards che ricordano il suo passato (Fever,
Route 66, Unforgettable,
Smile, Non dimenticar…)
e l'altra soul, più "vera", più sua, più sanguigna, in cui viene fuori la vera anima
del gruppo. Un concerto delizioso che ha divertito il caloroso pubblico che ha visto
la propria beniamina, generosa e molto professionale, concedere tre bis del tutto
inaspettati.
Le due serate seguenti sono state dedicate al jazz di stampo abruzzese.
Ottime le proposte dei gruppi Spekin' Four, A24,
Giuseppe Continenza
Quartet che si sono avvicendati sul palco di P.zza della Rinascita.
Dall'altra parte della città, lo splendido scenario del Romantik Hotel
Sporting Villa Maria ha ospitato i concerti del duo
Marco Di Battista/Marcello
Sebastiani e del giovane Trio Mowgli.
Di Battista,
pianista interessante e poliedrico, di grande esperienza, ha duettato col contrabbassista
M. Sebastiani,
virtuoso del suo strumento, in un programma fatto di standards e brani originali
tratti dai loro lavori discografici. Così come il Trio Mowgli, composto da
giovanissimi talenti pescaresi. Una menzione speciale va al batterista Alessandro
Blasi, che ha dato prova di grandi capacità esecutive.
Il 13 luglio, finalmente, ha inizio il Festival. Un infuocato doppio set
ha visto avvicendarsi due formazioni tra le più interessanti del panorama jazzistico
mondiale contemporaneo: SFJazz Collective di Joe Lovano e
Ornette
Coleman Quintet.
Joe Lovano, tenor sassofonista tra i più apprezzati della scena mondiale,
è il fondatore e il mentore di questo collettivo, una sorta di semi orchestra che
arruola musicisti e solisti eccelsi come Dave Douglas,
Stefon Harris,
Renee Rosnes, Erie Harland, in un progetto dedicato alla rivisitazione
della musica di Monk. La loro si è rivelata subito musica energica, brillante, di
spirito, spesso in contrapposizione alla vera natura delle melodie monkiane fatta
di ritmi frammentati, dissonanze pungenti, armonie circolari. Trai più bei brani
proposti in serata Corner,
Crepuscule with Nelly di Renee Rosner,
S. Francisco Suite in tre movimenti dello sbalorditivo
Dave Douglas e The Union di E. Harland
che ha anche chiuso lo splendido concerto. Un vero piacere ascoltare Joe Lovano,
attento alle più interessanti sfaccettature stilistiche, mai invadente. Un progetto
del tutto originale come pochi nel panorama jazzistico internazionale. E dopo il
bel primo set, una voce fuori campo annuncia: "Ladies and Gentlemen: the
Ornette
Coleman Quintet!" e scusate se è poco! Entra in scena la 'Storia', un
ometto tutto timido che, fermo nel suo sgabello ha tenuto incollati tutti i suoi
fans e… non solo! Considerato un innovatore e uno dei musicisti più geniali del
secondo novecento,
Coleman
ha fatto della libertà melodica il vessillo della propria musica; una musica che
si carica di svariati segni e significati, fatta di rimembranze bebop, spiritualità
bluesy, melodie di una semplicità disarmante che non tengono conto di quella canonicità
musicale a cui tutti siamo abituati. La sua spiccata creatività si evidenzia in
tutti i campi del suo essere artista, lui vive la musica e la sua totalità.
I musicisti del gruppo, formato da
Coleman
al sax, tromba e violino, da tre bassisti (di cui due contrabbassisti e un bassista
elettrico), e da suo figlio Denardo alla batteria, sembravano magneticamente
ipnotizzati dalla musica del sax di
Coleman,
del suo carismatico fascino di musicista settantasettenne in piena forma e sempre
pronto a lanciare interessanti stimoli creativi ai suoi musicisti. La sua è musica
di grande forza creativa intrisa di termini riconoscibili trattata alla maniera
free. Di grande fascino la conosciutissima Tournaround
e la Suite per Violoncello di Bach, eseguita
dal meraviglioso contrabbasso di Tony Falanga. Nello splendido e onirico
flusso melodico di questa suite,
Coleman
tentava di 'abbruttire' il tutto con 'strappate' di violino e tromba, vere colate
laviche sonore che si alternavano a momenti di grande liricità. Un bellissimo concerto
che ha catalizzato l'attenzione e l'interesse anche dei più scettici.
Impregnato della lezione di
Coleman,
Metheny,
che con lui registrò Song X nel 1985,
conferma la sua passione per il melodismo e lo sperimentalismo. Queste caratteristiche
peculiari dello stile metheniano, di sicuro alla ricerca di un suono originale sulla
chitarra che lo accompagna da sempre, insieme alle sue doti di improvvisatore eccelso,
hanno reso il chitarrista del Missouri la punta di diamante del chitarrismo contemporaneo
amato ed imitato da molti. Affiancato dal raffinato pianista
Brad Mehldau
e dagli strepitosi Larry Grenadier al contrabbasso e Jeff Ballard
alla batteria,
Metheny ha sfoderato tutte le armi della seduzione musicale, lanciandosi
in racconti melodici di grande emozione, tratti dagli ultimi dischi che ha inciso
in duo con
Mehldau e in quartetto con l'aggiunta di L. Grenadier e
J. Ballard. Instancabile come sempre,
Metheny
dopo aver suonato per più di due ore, accontentando le bocche fameliche dei molti
fans giunti da più parti a Pescara, ha stupito il pubblico presente al Marni Jazz
Club, suonando anche in jam session col suo gruppo divertendosi ad eseguire quei
brani che da tempo fanno parte del suo bagaglio culturale come la jobimiana
Corcovado, il blues di Parker
Au Privave, e la coltraniana
Giant Steps…
Un vero piacere vedere quattro grandi musicisti abituati a grandi palchi,
'umanizzarsi' ed essere a stretto contatto con il pubblico rapito dalla bravura
dei quattro musicisti.
A chiudere la kermesse pescarese un altro doppio set dedicato, questa
volta, alle figure di due grandi outsider del jazz: il sassofonista svedese Lars
Gullin e il trombettista C. Tolliver. La musica di L. Gullin,
sassofonista baritono di scuola cool, geniale compositore ed improvvisatore dalla
fresca vena melodica, è stata raccontata dall'ottetto del pianista Lars Sjosten.
Belle pagine di musica ricche di idee melodiche interessanti hanno eseguito in perfetto
stile cool, senza eccessi e sbavature, una musica ovattata e confezionata carica
di memoria storica, fatta di pochi interventi solistici e di tanta scrittura contrappuntistica.
L'ospite graditissimo dell'ottetto è stato il sassofonista Gianni Basso,
uno dei padri del jazz italiano, che con Gullin suonò ed incise "pagine
memorabili che ora vengono restituite al piacere degli ascoltatori".
A seguire e a chiudere la serata, la Big Band di C. Tolliver.
Ritornato in piena forma dopo alcuni momenti di pausa, Tolliver,
trombettista della vena hard-bop, ha diretto la sua Big Band con grande forza creativa.
Un'orchestra paragonabile ad una vulcano in eruzione; masse sonore rimarcavano
la forza dell'orchestra e dei grandi solisti (G. Cables, B. Harper, C. McBee, V.
Lewis, W. Saxton, etc…) che al suo interno accoglievano gli stimoli che giungevano
dal grande Tolliver sviluppandoli in assoli infuocati e di grande impatto.
Il pubblico entusiasta della splendida performance ha applaudito fortemente
il trombettista e la sua Big Band, dimostrando che oggi è possibile ancora portare
avanti progetti di grande spessore artistico-culturale di ampio respiro.
Un plauso particolare, oltre che agli artisti va alla organizzazione impeccabile
e sempre presente durante le serate dei concerti e disponibile a soddisfare dubbi
ed esigenze, a creare la giusta atmosfera per far vivere minuti di magia e di grande
jazz.
Arrivederci alla prossima edizione sotto i migliori auspici.
15/05/2011 | Giovanni Falzone in "Around Ornette": "Non vi è in tutta la serata, un momento di calo di attenzione o di quella tensione musicale che tiene sulla corda. Un crescendo di suoni ed emozioni, orchestrati da Falzone, direttore, musicista e compositore fenomenale, a tratti talmente rapito dalla musica da diventare lui stesso musica, danza, grido, suono, movimento. Inutile dire che l'interplay tra i musicisti è spettacolare, coinvolti come sono dalla follia e dal genio espressivo e musicale del loro direttore." (Eva Simontacchi) |
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Data pubblicazione: 14/10/2007
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