Se si parla di jazz perché la necessità di un breve cappello politico
ed economico? Perché a monte dei processi culturali ed artistici si trovano sempre
condizionamenti, più o meno pesanti, economici e politici. Il grande monopolio del
"Supermercato della Musica" che gestisce i sedicenti 'Festivals del Jazz'
imponendo le politiche culturali globalizzate, è sostenuto e controllato prevalentemente
da gruppi di interesse, pubblici (assessorati, ecc.) e privati (associazioni
culturali, ecc.), riconducibili alla politica, spesso di sinistra "...la
complessa e delicata macchina internazionale dei concerti è controllata da gruppi
molto esigui che sono inseriti nei sistemi di dominazione" [Luciano Cavalli"La democrazia
manipolata" Ed. Comunità - Mi-65 - pag. 92].
Per dirla con Lenin nella attuale fase storica:
"...la base più profonda dell'imperialismo è il monopolio, originato dal capitalismo
e trovantesi, nell'ambiente generale del capitalismo, della produzione mercantile,
della concorrenza, in perpetuo ed insolubile antagonismo con l'ambiente medesimo."
E di questo "ambiente del capitalismo" la spontanea potenzialità economica
del jazz è parte integrante (...da non confondere quindi con l'industria monopolista
del jazz!).
Nel settore della cultura, la realtà sommersa del jazz italiano non ufficialmente
riconosciuto e non omologato diffusa tra i giovani e sul territorio, viene soffocata
tra l'industria della musica (monopolio privato) ed uno Stato (leggero)
che abbandona alla deriva realtà che sono molto interessanti ed essenziali per lo
sviluppo di arti e mestieri e per il pluralismo culturale del paese. Lo Stato può
somministrare le sue funzioni sia ingerendo pesantemente nel mercato che abbandonandolo
a sé stesso. Lo Stato "Moderno" oggi agisce solo pretestuosamente in nome
della società civile ma, essenzialmente, esso è lo strumento degli oligopoli e monopoli
privati. Mentre le scuole di musica alternative ai conservatori sono prive di riconoscimento
e adeguato sostegno, i docenti sono sottopagati e sostanzialmente precari (co.co.pro.)
e gli studenti futuri disoccupati, alla maggioranza di onesti musicisti, militanti
della cultura e dell'arte coerentemente non allineati con l'industria della musica
di largo consumo né con la musica classica sovvenzionata, non è garantita neanche
la dignità della sopravvivenza.
Sino ad oggi la legislazione vigente, invece di stimolare un basilare
e diffuso mercato del lavoro della musica dal vivo ad appuntamento fisso [N.B.
da non confondersi col mercato delle attività concertistiche di rilievo nazionale
alle quali solo un èlite lottizzata di musicisti accede sistematicamente, cioè festival
e rassegne che altro non sono che i sopra-citati grandi supermercati monopolistici
della musica!], si rivela burocratica o vessatoria nei confronti delle varie
componenti dell'economia reale della musica spontaneamente espresse dalla società.
Realtà come quei locali pubblici (Pubs, Birrerie, Ristoranti ecc.) che pur
ritagliando una parte delle loro risorse per attività culturali si vedono negare
ogni agevolazione, e nei cui confronti le vigenti normative sindacali risultano
astratte e controproducenti. Locali la cui attività principale è la ristorazione
e non la musica, e che, pertanto, dovrebbero sottostare ad un differente trattamento
fiscale finalizzato ad incentivare le loro attività collaterali a favore della cultura
e dell'arte.
05/04/2017 | LEZIONI (chitarra): (B. Patterson, T. De Caprio, M. Ariodante, G. Continenza, G. Continenza, G. Fewell, N. Di Battista, A. Ongarello, D. Comerio, A. Tarantino, S. Khan, A. Bonardi, M. Falcone, A. D'Auria) |
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Data pubblicazione: 15/11/2009
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