Afrologic Jazz
Studio
di
Giovanni Monteforte
I
l
fatto che il Jazz sia contaminazione non comporta automaticamente che qualsiasi contaminazione sia
riuscita e significativa. Quella contaminazione è stata un evento spontaneo e felicemente
scaturito da un periodo storico per molti versi diametralmente opposto al nostro.
Ciò che avviene oggi potrebbe essere in buona misura mero eclettismo
nel senso peggiore del termine. Con ciò non si vuole certamente perorare una
'preservazione forzata' del jazz, bensì sottoporre al 'vaglio della
critica' le attuali novità, in molti casi ancora in corso
d'opera.
Ora le novità si proiettano su due linee di tendenza:
- Quelle che rientrano nei 'paradigmi' del jazz;
- Quelle che, avendo operato una 'rivoluzione paradigmatica', non
possono più essere iscritte nel jazz [ che è un 'genere musicale' coi suoi
canoni, i suoi contenuti semantico-culturali e non 'musica tout court'];
Se
parliamo francese non ci si può venire a dire che parliamo inglese, così come
non si può confondere, ad esempio, lo stile barocco col romanticismo
musicale!
Vi sembra forse che questo approccio analitico sia
'conservatore' ed 'eriga degli steccati' o che buttare tutto
all'interno di un calderone chiamato impropriamente 'Jazz' non sia
piuttosto tendenzioso e revisionistico?
Si potrebbe quindi prospettare che attualmente il jazz si delinei:
- Da un lato proiettato verso un 'jazz d'autore' con "opere organizzate e
strutturate nelle quali l'improvvisazione sarà circoscritta agli interventi
solistici" (Franco Fayenz),
e a ciò si potrebbe aggiungere che, avendo il jazz rappresentato una
'straordinaria rivoluzione paradigmatica' (T. Khun) nella musica
del ‘900, oggi si stia riallineando, in chiave post-moderna, ai precedenti
paradigmi della musica europea dai quali si era affrancato.
- Dall'altro lato, invece, esso risulti: "…dominato essenzialmente da
rigidi schemi consumistici." (Walter Mauro "Storia del Jazz" Newton, pag.
87);
"Oggi la situazione è grave……Questa è la ragione per cui c'è quella stupida
combinazione di jazz e rock, chiamata fusion, che secondo me è una cosa orrenda":
Lennie Tristano; (F. Fayenz "Lennie Tristano" p. 51- 52 ed. Stampa Alternativa).
Ciò accade in un momento in cui la richiesta di questa musica da parte
delle nuove generazioni è molto consistente e che, parallelamente, vede una disinformazione
dilagante:
I giovani d'oggi hanno il pregio di non essere tra loro conflittuali ma hanno
il difetto di essere profondamente ignoranti di tutto…" gli studenti mi hanno riempito
la testa di musica stupida!" (Prof. Carlo Sini, 15 marzo 2006 'Incontri filosofici'
Società Umanitaria, Milano).
L'attuale situazione esigerebbe quindi risposte in grado di tramandare
adeguatamente la memoria storica di questo genere musicale che dal
'45 ad oggi è esposto agli
influssi, diretti e indiretti, della tradizione neurologica.
E' con questo intento che il 23 settembre
1987 il Congresso USA sancì che il jazz: "raro e prezioso tesoro nazionale
americano"… …"ha diritto a essere preservato" (Risoluzione 57 approvata dal Senato
il 4 -12 - 87) . Ed è per preservare l'integrità del jazz che è sorto
in America il movimento "Neoclassicista" che rivendica per il jazz lo statuto
di musica d'arte ("Musica classica americana") debitrice non dell'Europa
bensì dell'Africa ("tradizione afrologica"). "Afrologic
jazz Studio" è un approccio culturale che si prefigge non solo di
contribuire a proseguire la rivoluzione musicale del jazz, ma anche di preservarla
dalle manipolazioni e le falsificazioni dell'attuale revisionismo storico. Se nel
jazz, al dolore della vita vissuta (poetica blues), si sostituiscono rampantismo,
narcisismo e intellettualismo, il declino risulterà prima o poi inevitabile, ed
è proprio ciò che sta oggi accadendo: tantissimi appassionati, musicisti ed esperti
da tempo esprimono stupore e perplessità nei confronti di certe attuali tendenze
musicali che oggi impropriamente vengono inscritte nel genere jazz. Queste tendenze,
sempre più spesso velleitarie od istrioniche esibizioni, improbabili contaminazioni
o banali commercializzazioni, risultano offensive nei riguardi non solo del popolo
afro-americano, ma anche di tutti quegli artisti che dedicano la loro vita a questo
genere con impegno e creatività. Questa tendenza non è il prodotto occasionale e
grossolano di qualche operatore inesperto! Si tratta bensì di una furtiva campagna,
capillare e coordinata, della quale tutti i sinceri e competenti cultori del jazz
sono all'oscuro, o ne sottovalutano la portata! Promossa da 'gruppi di decisione'
forti e incontrollati è stata sino ad oggi 'clamorosamente priva di contraddittorio'.
In festivals e manifestazioni, ormai divenuti un campionario di 'pensiero
debole' in musica, si propongono prodotti in continuità con la linea 'editoriale'
del 'pensiero unico'. I musicisti vengono sempre più spesso
giocati come 'comparse' su una scena in cui la musica è ridotta a colonna
sonora di un gioco performativo tutto appiattito sull'immagine. Questa concezione
performativa è diametralmente opposta all'improvvisazione, la quale:
"… implica in genere una concezione dell'evento musicale agli antipodi dello
spettacolo e più vicina invece al rito religioso in senso lato, dove la partecipazione
compatta della collettività ad un medesimo ideale etico-musicale garantisce la felice
fusione delle singole personalità componenti il gruppo" (Enrico Fubini: "Musica
e linguaggio nell'estetica contemporanea" Einaudi p.94).
La storia procede per fasi alterne, e oggi siamo entrati in una fase reazionaria
che vede l'ennesimo tentativo di erosione ed imborghesimento del jazz?:
"L'unica musica autenticamente popolare, il jazz, è stata implacabilmente
combattuta dalla strategia erosiva dei media americani, che si sono adoperati per
imborghesirla all'interno delle società postindustriali che pretendono di aver abolito
la divisione in classi. Il jazz ha rappresentato una forza espressiva rivoluzionaria,
che non aveva nulla in comune con la fabbricazione standardizzata di prodotti di
consumo destinati dalla cultura commerciale popolare alla piccola borghesia ignorante.
La storia del jazz è caratterizzata dalla lotta per la sopravvivenza combattuta
senza tregua contro l'appiattimento e lo sfruttamento commerciale. La musica autentica
nera che canta il sesso, la miseria, la derisione, la protesta, l'impegno politico,
è stata impietosamente braccata e respinta dalla società americana, che ne ha lasciato
sopravvivere solo le forme atrofizzate: accettazione passiva, redenzione mistica,
rassegnazione. Il jazz è stato in gran parte ridotto a un prodotto inoffensivo,
sdolcinato, estetizzante. Il free jazz, che si è rifiutato di piegarsi alla logica
liberista e predeterminata, è stato allora inesorabilmente rifiutato e condannato
al silenzio" (Hugues Dufourt "MUSICA, POTERE, SCRITTURA" Le Sfere ed. LIM-Ricordi
- pag. 81).
Nell'intento quindi di sensibilizzare e collegare tutti coloro che rifiutano
l'attuale 'controriforma del jazz' l'AJ-Studio si prefigge di divulgare tutta
una serie di informazioni, argomentazioni documentate e analisi, per controbattere
e contrastare il revisionismo e di fornire, con la sola arma della contro-informazione,
un punto di riferimento alternativo ad una tendenza oggi sempre più totalizzante
(tradizione eurologica), manifestando apertamente la sua adesione ad un ideale
"Neo-bop movement" che vede ancora una volta, oggi come allora, nel
Bop, la musica di rivolta: rivolta contro ogni accademismo e la musica commerciale,
ribadendo così l'individualità del musicista jazz:
"L'atto creativo musicale vero e proprio consiste nel fatto di rivivere in
modo individuale con l'improvvisazione, a ogni esecuzione, gli schemi tradizionali,
salvaguardandone i caratteri che vengono percepiti come essenziali. Pur nella permanenza
del vincolo a ciò che è socialmente comune, è importante la interpretazione individuale
che si dà a tale vincolo." [Knepler:"La storia che spiega la musica", Le Sfere -
Unicopli-Ricordi p. 20].
Appellarsi quindi alla centralità del Bop significa porlo
anche come catalizzatore per riscattare l'identità di tutto il jazz, dal Dixieland
al Free, che và oggi progressivamente atomizzandosi, venendo così
a dissiparsi una tradizione preziosa e ancor oggi attuale e rivoluzionaria!
"Nelle epoche di grande fioritura artistica…le grandi opere sorgono e maturano
l'una accanto all'altra quasi nello stesso tempo, e quasi come ad opera di un afflato
comune…allorché una siffatta epoca felicemente e puramente produttiva è trascorsa,
subentra la riflessione e con essa l'universale scissione: ciò che là era spirito
vivente, diventa qui tradizione" (Friedrich Wilhelm Joseph Schelling "Filosofia
dell'Arte" [1802] p. 67 Fabbri Editori).
Il recupero dell'originario spirito militante e rivendicativo del bop-movement
presupporrebbe però, da parte dei jazzisti, quella consapevolezza che è oggi assolutamente
disattesa: i jazzisti tradiscono il jazz?
" …un'epoca nella quale gli idoli più venerati sono tutto ciò che è frivolo,
che titilla i sensi o che alla nobiltà mescola la bassezza"..." dagli artisti di
indole propriamente pratica di un'epoca siffatta non è perciò possibile, fatte poche
eccezioni, saper nulla dell'essenza dell'arte perchè generalmente fa loro difetto
l'idea dell'arte e della bellezza" (Schelling op. cit p. 67, 68).
'L'avanguardista-regredito-postmoderno' (che nulla ha a che
vedere con la 'vera' avanguardia!) attacca i 'puristi' e, non volendo
sentire ragioni, cerca di screditarli facendo leva sui luoghi comuni più in voga,
che noi tutti ben conosciamo, artefatti elucubrati sulle manipolazioni revisioniste.
Si potrà anche dibattere di gradualità e prevalenza tra scrittura e oralità nella
genesi del jazz (…alcuni studiosi sostengono che: "il jazz è nato come musica
scritta"), ma per il momento ci accontentiamo di constatare, rivisitando la
nostra discoteca, che comunque lo si voglia far nascere:
"Il Jazz è in primo luogo l'arte dell'esecuzione e dell'improvvisazione" (Gunther
Schuller) e che
"La melodia è il fulcro dell'improvvisazione" (John Sloboda).
Il problema attuale dell'improvvisazione deriva dall'uso che se ne fa,
dovuto all'approccio manieristico-scolastico oggi dominante, fraintesa rilettura
reazionaria della concezione originaria. Approccio nel quale "l'indole propriamente
pratica" cerca ossessivamente una rivincita negli aspetti artigianali della
musica e nella prestazione fine a se stessa e che, non riuscendo ad approdare a
nulla al di là della mera clonazione degli stili, rifluisce nella composizione,
nell'arrangiamento e nella 'performance' come 'cinico criterio dell'efficienza
della prestazione' (Lyotard), proponendo prodotti accuratamente collaudati,
immancabilmente seduttivi, intellettuali o consumistici, e rigorosamente all'
'ultima tendenza'. Mentre i puristi del 'Jazz - musica della nostra epoca'
vengono liquidati come conservatori che guardano al passato, nei luoghi istituzionali
della 'Classica - musica di un altra epoca', si sancisce l'attualità
delle opere del passato riproponendole e celebrandole, focalizzandone con scrupolo
minimalista ogni passaggio del repertorio ed enfatizzandone i momenti di libertà
compositiva! Se una simile meticolosità filologica dovesse essere applicata al Jazz,
verrebbero appropriatamente garantiti non solo la sua memoria storica, ma specialmente
il suo futuro come musica d'arte. Futuro che in parte dipende da quello che i musicisti
decideranno di dire e di fare nella situazione attuale contro le direzioni impresse
dall'establishment della musica!
" La concezione del jazz come entità organica […..] richiede la decisione
cosciente di ignorare la ovvia discontinuità presente nel linguaggio musicale- per
non parlare dei contesti culturali e sociali in cui è situata la musica- in favore
del principio trascendente di continuità" (Scott DeVeaux: 'Creare la tradizione"
da " Il Jazz tra passato e futuro" pag. 31 ed. Lim)
Il concetto di 'discontinuità' è qui applicato in senso troppo
vago e 'trascendente' per poter risultare 'ovvio' e la sua adozione
richiede la decisione cosciente di ignorare la 'dialettica unitaria dei contrari'.
Inoltre il fatto che il jazz sia musica afroamericana non comporta che tutte la
musiche afroamericane, espressione dei diversi 'contesti sociali e culturali'
a cui si allude, possano essere inscritte nel jazz. L'applicazione meccanica del
criterio 'sociologico' rischia poi di fare debordare l'analisi in una sorta
di 'primitivismo' in versione classista:
Armstrong
e Davis appartenevano a classi sociali opposte e ciò non ha impedito loro
di condividere trasversalmente una comune estetica musicale.
"A chi l'arte non sia apparsa come un tutto conchiuso, organico e necessario
in tutte le sue parti qual è la natura, resta ancora un lungo cammino da percorrere"
(Friedrich Wilhelm Joseph Schelling "Filosofia dell'Arte" [1802] p. 65, Fabbri
Editori).
La narrazione ortodossa ed evoluzionista del jazz, da noi condivisa, è
basata su riscontri chiari ed evidenti all'ascolto e dimostrabili dall'estetica
e dalla filologia. Ciò è tanto più valido per chi, avendo trascritto, analizzato
e pubblicato decine di improvvisazioni a partire da
Louis Armstrong
e Sidney Bechet (Dixieland- New Orleans) [pre-bop], Charlie Christian
e Lester Young (Swing-Bop); Charlie Parker (Be-Bop);
Lee Konitz e Billy Bauer (Be-Bop-Cool); Wes Montgomery
e Dexter Gordon (Hard-Bop), e tante altre, ha sempre riscontrato la
continuità, relativamente stabile, evolutiva ed irreversibile, che attraversa coerentemente
tutti gli stili del jazz, continuità nella quale le novità emergenti sono preparate
e spiegate dagli sviluppi precedenti.
"E' pressoché assiomatico che ciascuno degli stili di jazz che si sono susseguiti
si è basato sulle invenzioni della precedente generazione di esecutori, non di compositori
[Naturalmente nella musica 'classica' avviene il contrario!]"(Gunther Schuller
"Il jazz classico", cap. Il primo grande compositore - pag. 178 - Mondadori
1979)
e le esecuzioni avvengono allo strumento e sono di regola melodie improvvisate
antifonali, quindi dialettiche. In termini filosofici la melodia jazz non propone
un risultato, quanto un 'ragionamento' attraverso il quale si perviene ad
un risultato. Ed ecco il movente castrante e denegante della 'ideologia anti-evoluzionistica
del jazz ' che vede sia nella sua 'continuità storico-evolutiva '
, che nella sua 'strategia di produzione ', le metafore del principio modernista
di 'Ragione' e che, negando l'identità unificante di tutto il jazz, apre
la strada alla sua revisione reazionaria. Nel jazz gli stili sono con-sustanziali
tra loro e con il genere al quale appartengono:
"Ogni figura è simile ad un'altra figura perché nel genere tutte le figure
fanno tutt'uno, ma le parti del genere o sono contrarie tra loro o sono diversissime
l'una dall'altra" (Platone),
questa frase sta a sottolineare come, nonostante i vari stili di un genere possano
essere tra loro diversi o contrari, continuino tuttavia a 'fare tutt'
uno' col genere. Ogni genere musicale costituisce un 'processo' nel quale
coesistono varie opposizioni o contraddizioni che presentano sempre un elemento
di coerenza e di unità ("unità degli opposti" ):
"Di primo acchito, in un sistema semantico […] le opposizioni sono innumerevoli,
giacchè ogni significante sembra opporsi a tutti gli altri; tuttavia, un principio
di classificazione è possibile se si assume come guida una tipologia dei rapporti
fra l'elemento somigliante e l'elemento differente dell'opposizione." (Roland Barthes:
"Elementi di semiologia" Einaudi - Nuovo Politecnico 7 - pag. 67 –
1966).
Ne consegue che se non si focalizza questo elemento, risulta impossibile
percepire la diversità tra i generi artistici (genere = classe). La ricezione
regredita dei revisionisti, confondendo 'differenza' con 'alterità',
non riesce a vedere la continuità evolutiva tra gli stili del jazz. La daltonia
intellettuale (…e spirito piccolo-borghese) tipica dell'ascoltatore che fruisce
la musica solo nei suoi aspetti prevalentemente statici, geometrici e
prefissati, antepone composizione, arrangiamento, abbellimenti, decorazioni
e citazioni (…aspetti oggi austeramente recuperati dalle 'nuove' tendenze!)
alla complessità della struttura melodica improvvisata, per lui inestricabile. Egli,
non riuscendo a liberarsi dal tormentoso ed inconfessato sospetto di non capire
il jazz, finisce col ridimensionarlo alla propria misura, accogliendone soltanto
i parametri alla portata dei suoi limitati schemi interpretativi, cioè lo 'stile
di superficie ' senza il 'processo', senza guardare "… al di là del
campo delle realtà date" il campo delle "virtualità!" [Lortat-Jacob in Nattiez:"Musicologia
generale e semiologia" EDT. p 70) La condivisione, tra il jazz ed altri generi,
di attributi non-essenziali, serve poi da pretesto ai revisionisti per accreditare
come jazz ciò che invece non lo è. Il sottolineare diversità e alterità
tra i generi non significa tuttavia svalutare un genere a favore di un altro ma,
al contrario, valorizzare ogni genere in base alla ricchezza delle sue preziose
peculiarità presupposto del pluralismo e della loro compresenza: tutti i generi
artistici hanno pari dignità. Il jazz ha visto il suo sviluppo articolarsi
in un periodo relativamente breve ('20 – '70),
brevissimo se paragonato alla 'Storia della Musica Classica Europea ', ma
non poi così tanto in rapporto ad un arco di cinquant'anni. E' proprio il paragone
con la musica classica ad essere sproporzionata e fuorviante. La musica classica
si è sviluppata in una storia che è stata secolare, essa rispecchia l'altrettanto
secolare sviluppo storico della società europea e delle classi dominanti, vecchie
e nuove, dalle quali è stata storicamente condizionata ed istituzionalizzata; mentre
il jazz, musica con caratteristiche popolari e sottoculturali, rispecchia un periodo
relativamente recente e circoscritto della storia di una minoranza etnica, quella
afro-americana, che è stata istituzionalmente emarginata e accolta solo se omologata,
che è cosa diversa dall'emancipazione. La musica classica è stata prevalentemente
la musica delle classi dominanti, il jazz la musica delle classi subalterne:
"La 'storia della musica' […] è la storia delle culture musicali dominanti"
[…] "Lo stesso sistema istituzionale della cultura musicale nasce e si mantiene
in buona parte sul terreno della cultura dominante […] l'istituzionale significa
anche l'ufficiale, l'accettato, il non-istituzionale spesso il solamente tollerato,
o anzi l'escluso, il perseguitato…" "E' nella natura delle cose, inoltre, che la
musica popolare sia di solito più rivoluzionaria di quella delle classi dominanti".
Se non altro per interessi di classe: l'interesse peculiare dei potenti è la conservazione,
quello dei subalterni il cambiamento." (Maroty: "Musica e Uomo" p. 222 - 223, ricordi/unicopli,
Le Sfere).
Il jazz che nel prevalere dell'afrologia contro l'eurologia, ha visto
una 'straordinaria rivoluzione paradigmatica' (T.Kuhn) nella musica occidentale,
vede, oggi che i garanti del jazz sono tutti morti, il tentativo di ripristinare
i più reazionari paradigmi eurologici. Processo revisionistico che investe con il
jazz la cultura e l'arte e tutta la società complessivamente. Il jazz è il
genere musicale che ha rispecchiato, direttamente, la contraddizione sociale tra
il popolo nero schiavizzato e la società borghese nord-americana, la contraddizione
del jazz, a cavallo fra vecchia musica e nuove musiche, vede il prevalere oggi del
vecchio aspetto eurologico, e con esso, una forma perversa di afrologia omologata
(manieristica e consumistica). Oggi la globalizzazione ha prodotto un riflusso
generalizzato in campo sociale, culturale ed artistico, riflusso che si inscrive
nel Postmoderno.
Secondo Jurgen Habermans: "…il postmoderno non rappresenta
una veduta coerente ed autonoma, ma un semplice 'segno dei tempi ', cioè un sintomo
della situazione di 'stallo' in cui è venuto a trovarsi il progetto culturale moderno
e la filosofia che meglio lo ha espresso, cioè l'illuminismo" "anziché arrendersi
di fronte ai suoi scacchi contingenti,… [Habermans.]… propone di rilanciare gli
ideali emancipativi, pena la ricaduta in posizioni immobilistiche ed oscurantiste,
suggellate dall'alleanza in atto fra post-modernisti e pre-modernisti e dalle spinte
neoconservatrici degli anni Settanta e Ottanta." (Giovanni Fornero - Nicola Abbagnano
"Storia della filosofia" IV tomo secondo pag. 420- 421).
E' in questa fase che il jazz ha iniziato a trasformarsi.
"La modernità, iniziata con l'Illuminismo... è sempre stata oggetto di un
sordo risentimento collettivo se non di una dichiarata avversione....Il Postmodernismo
è una variante attenuata di questo fenomeno di rigetto..." (H. Dufourt "Musica,
Potere, Scrittura", pag. 10 -Le Sfere -1997).
Il be-bop, evento eminentemente moderno, fu oggetto di attacchi fanatici
e furibondi e i boppers furono definiti:
…"pazzi" (E. Baraka, "Il popolo del Blues" ed. ShaKe
1999 pag. 167).
Assistiamo oggi, all'inizio del nuovo secolo, al fenomeno di ritorno di
questa acredine mal sopita e alimentata da trentacinque anni (...dagli anni
'70) di sofisticazione del gusto musicale e di sotterranea disinformazione
revisionista facilitata dalla consolidata attitudine del senso comune ai canoni
istituzionalizzati dell'eurocentrismo.
In Africa la musica è sempre stato un evento sociale allargato all'
'ascolto partecipante', essenziale anche della dimensione estetica della musica,
il suono e il pulsare dei tamburi costituiscono un vero e proprio mezzo di conversazione.
Nella comunità nera schiavizzata del nord-america la riappropriazione in chiave
afrologica di musiche occidentali, (canti religiosi, ballate popolari, canzoni
nord-americane eseguite con la peculiare inflessione e carica ritmico propulsiva
dell'Africa nera), innescò una spinta compulsiva (quindi non sempre consapevole),
alla rottura degli argini inibitori della ribellione contro la cultura dell'oppressore:
"Le marce dell'esercito della salvezza inglese e gli alleluia sentimental-religiosi
si son trasformati nei canti rivoluzionari dei neri d'America" (Maròty op. cit.
p.224).
Ribellione a sfruttamento e razzismo, ma anche alla instintualità sublimata
della musica colta, rigida, gerarchica e repressiva:
"Nei ritmi sovversivi e dissonanti, piangenti e urlanti nati nel continente
nero e nel profondo Sud della schiavitù e della miseria, gli oppressi rifiutano
la Nona Sinfonia e danno all'arte una forma desublimata, sensuale, di spaventevole
immediatezza, mobilitando, elettrizzando il corpo, e l'anima in esso materializzata"
(H. Marcuse: "Saggio sulla liberazione" Einaudi-1969-pag.
59-60).
Ribellione che ha ritrovato nella improvvisazione non solo le libertà
negate, ma il vessillo per rivendicare le radici di una cultura che concepisce la
musica come
"flusso degli eventi nel tempo" ("Musica dell'Africa nera" D'Amico, ed. L'Epos
p. 62).
La rottura dei freni inibitori indotta dall'improvvisazione, collettiva
prima e individuale poi, ha fatto tracimare incontenibilmente il doloroso vissuto
di un popolo riversandolo nei contenuti semantici della musica:
I modelli espressivi: "…sono sempre acquisiti all'interno, e per il tramite,
delle relazioni sociali e delle emozioni ad esse associate, il principale fattore
della formazione dello stile, quando si debbano esprimere dei sentimenti in musica,
non può che essere il suo contenuto sociale." (John Blacking: " Come è musicale
l'uomo? " pag. 89 Ricordi-Lim, Le Sfere.)
Quella peculiare 'nuova-disciplina-sincretica' dell'improvvisazione
'lì ' ed 'allora' storicamente determinata, quel peculiare stile-improvvisazionale,
sono rimasti e rimangono il codice genetico di questa musica, la sostanza ontologica
di un linguaggio e della sua estetica. Proprietà semantiche e culturali destinate
a diffondersi nel mondo interpretando la modernità. Il jazz ha minacciato e minaccia
pericolosamente la supremazia storica e l'egemonia della musica colta europea, l'
improvvisazione jazz, anche se fondata su di una rigorosa e consapevole metodologia…
[ "…non significa che questa pratica musicale […] si verifichi solo quando
la musica è molto semplice o primitiva, chè l'esempio del jazz sta a dimostrare
il contrario" (Enrico Fubini: "Musica e linguaggio nell'estetica contemporanea"
Einaudi p.94) ]…
non può essere iscritta nella didattica della musica colta, ma al contrario costituisce
una sua clamorosa smentita! Con ciò non ci sogniamo neanche di delegittimare, o
tanto meno scalfire, la grande tradizione della musica classica, ma ci riferiamo
esclusivamente al 'sadismo pedagogico ' di quella mentalità rigida e 'ministeriale'
che ha censurato l'informazione e bloccato il pluralismo nella didattica musicale,
specialmente nella storia recente del nostro paese. Negli Stati Uniti, la culla
del jazz, esiste una corrente musicale minoritaria che, per quanto scollegata e
composta da 'cani sciolti ', annovera musicisti tanto creativi quanto misconosciuti
che, operando in ogni stile del jazz, producono una musica attuale, pregnante e
significativa.
Questo approccio si fonda su di una metodologia radicata nella più autentica
tradizione, meticolosa e minimalista, del jazz: la ricerca idiomatica di uno stile
individuale (…come è da sempre avviene, per altro, in letteratura, arti figurative
ecc.!); in ciò consiste la realizzazione più complessa da attuare e da fruire,
essa è oggi sistematicamente incompresa ed elusa sia per il non-voler 'riconoscere'
e 'distinguere' degli esperti, che per "l'indole propriamente pratica
" degli artisti:
"…ci vogliono almeno vent'anni per definire un proprio stile personale sia
come strumentista sia come improvvisatore…A me ne sono serviti sessanta di anni,
per definire il mio stile. Bisognerebbe dirlo ai giovani musicisti di oggi." (Hank
Jones: 'Musica Jazz 1-2006 p. 21).
eppure è proprio con questa risorsa che, 'Da Satchmo a Ornette ' , il
jazz si evoluto, lo stile personale degli strumentisti innovatori che ha svolto
un ruolo trainante nella storia di questa musica e che oggi può contribuire a 'conservare,
trasmettere, aggiornare e diffondere' il jazz come tradizione viva e
creativa, come dice Franco Ferrarotti: "La tradizione non è tradizionalista!"
(Istituzioni di Sociologia,
www.uninettuno.it).
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Data pubblicazione: 14/05/2006
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