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Afrologic Jazz Studio
di Giovanni Monteforte

I l fatto che il Jazz sia contaminazione non comporta automaticamente che qualsiasi contaminazione sia riuscita e significativa. Quella contaminazione è stata un evento spontaneo e felicemente scaturito da un periodo storico per molti versi diametralmente opposto al nostro.

Ciò che avviene oggi potrebbe essere in buona misura mero eclettismo nel senso peggiore del termine. Con ciò non si vuole certamente perorare una 'preservazione forzata' del jazz, bensì sottoporre al 'vaglio della critica' le attuali novità, in molti casi ancora in corso d'opera.

Ora le novità si proiettano su due linee di tendenza:

  1. Quelle che rientrano nei 'paradigmi' del jazz;
  2. Quelle che, avendo operato una 'rivoluzione paradigmatica', non possono più essere iscritte nel jazz [ che è un 'genere musicale' coi suoi canoni, i suoi contenuti semantico-culturali e non 'musica tout court'];

Se parliamo francese non ci si può venire a dire che parliamo inglese, così come non si può confondere, ad esempio, lo stile barocco col romanticismo musicale!

Vi sembra forse che questo approccio analitico sia 'conservatore' ed 'eriga degli steccati' o che buttare tutto all'interno di un calderone chiamato impropriamente 'Jazz' non sia piuttosto tendenzioso e revisionistico?

Si potrebbe quindi prospettare che attualmente il jazz si delinei:

- Da un lato proiettato verso un 'jazz d'autore' con "opere organizzate e strutturate nelle quali l'improvvisazione sarà circoscritta agli interventi solistici" (Franco Fayenz),

e a ciò si potrebbe aggiungere che, avendo il jazz rappresentato una 'straordinaria rivoluzione paradigmatica' (T. Khun) nella musica del ‘900, oggi si stia riallineando, in chiave post-moderna, ai precedenti paradigmi della musica europea dai quali si era affrancato.

- Dall'altro lato, invece, esso risulti: "…dominato essenzialmente da rigidi schemi consumistici." (Walter Mauro "Storia del Jazz" Newton, pag. 87);

"Oggi la situazione è grave……Questa è la ragione per cui c'è quella stupida combinazione di jazz e rock, chiamata fusion, che secondo me è una cosa orrenda": Lennie Tristano; (F. Fayenz "Lennie Tristano" p. 51- 52 ed. Stampa Alternativa).

Ciò accade in un momento in cui la richiesta di questa musica da parte delle nuove generazioni è molto consistente e che, parallelamente, vede una disinformazione dilagante:

I giovani d'oggi hanno il pregio di non essere tra loro conflittuali ma hanno il difetto di essere profondamente ignoranti di tutto…" gli studenti mi hanno riempito la testa di musica stupida!" (Prof. Carlo Sini, 15 marzo 2006 'Incontri filosofici' Società Umanitaria, Milano).

L'attuale situazione esigerebbe quindi risposte in grado di tramandare adeguatamente la memoria storica di questo genere musicale che dal '45 ad oggi è esposto agli influssi, diretti e indiretti, della tradizione neurologica.

E' con questo intento che il 23 settembre 1987 il Congresso USA sancì che il jazz: "raro e prezioso tesoro nazionale americano"… …"ha diritto a essere preservato" (Risoluzione 57 approvata dal Senato il 4 -12 - 87) . Ed è per preservare l'integrità del jazz che è sorto in America il movimento "Neoclassicista" che rivendica per il jazz lo statuto di musica d'arte ("Musica classica americana") debitrice non dell'Europa bensì dell'Africa ("tradizione afrologica"). "Afrologic jazz Studio" è un approccio culturale che si prefigge non solo di contribuire a proseguire la rivoluzione musicale del jazz, ma anche di preservarla dalle manipolazioni e le falsificazioni dell'attuale revisionismo storico. Se nel jazz, al dolore della vita vissuta (poetica blues), si sostituiscono rampantismo, narcisismo e intellettualismo, il declino risulterà prima o poi inevitabile, ed è proprio ciò che sta oggi accadendo: tantissimi appassionati, musicisti ed esperti da tempo esprimono stupore e perplessità nei confronti di certe attuali tendenze musicali che oggi impropriamente vengono inscritte nel genere jazz. Queste tendenze, sempre più spesso velleitarie od istrioniche esibizioni, improbabili contaminazioni o banali commercializzazioni, risultano offensive nei riguardi non solo del popolo afro-americano, ma anche di tutti quegli artisti che dedicano la loro vita a questo genere con impegno e creatività. Questa tendenza non è il prodotto occasionale e grossolano di qualche operatore inesperto! Si tratta bensì di una furtiva campagna, capillare e coordinata, della quale tutti i sinceri e competenti cultori del jazz sono all'oscuro, o ne sottovalutano la portata! Promossa da 'gruppi di decisione' forti e incontrollati è stata sino ad oggi 'clamorosamente priva di contraddittorio'.

In festivals e manifestazioni, ormai divenuti un campionario di 'pensiero debole' in musica, si propongono prodotti in continuità con la linea 'editoriale' del 'pensiero unico'. I musicisti vengono sempre più spesso giocati come 'comparse' su una scena in cui la musica è ridotta a colonna sonora di un gioco performativo tutto appiattito sull'immagine. Questa concezione performativa è diametralmente opposta all'improvvisazione, la quale:

"… implica in genere una concezione dell'evento musicale agli antipodi dello spettacolo e più vicina invece al rito religioso in senso lato, dove la partecipazione compatta della collettività ad un medesimo ideale etico-musicale garantisce la felice fusione delle singole personalità componenti il gruppo" (Enrico Fubini: "Musica e linguaggio nell'estetica contemporanea" Einaudi p.94).



La storia procede per fasi alterne, e oggi siamo entrati in una fase reazionaria che vede l'ennesimo tentativo di erosione ed imborghesimento del jazz?:

"L'unica musica autenticamente popolare, il jazz, è stata implacabilmente combattuta dalla strategia erosiva dei media americani, che si sono adoperati per imborghesirla all'interno delle società postindustriali che pretendono di aver abolito la divisione in classi. Il jazz ha rappresentato una forza espressiva rivoluzionaria, che non aveva nulla in comune con la fabbricazione standardizzata di prodotti di consumo destinati dalla cultura commerciale popolare alla piccola borghesia ignorante. La storia del jazz è caratterizzata dalla lotta per la sopravvivenza combattuta senza tregua contro l'appiattimento e lo sfruttamento commerciale. La musica autentica nera che canta il sesso, la miseria, la derisione, la protesta, l'impegno politico, è stata impietosamente braccata e respinta dalla società americana, che ne ha lasciato sopravvivere solo le forme atrofizzate: accettazione passiva, redenzione mistica, rassegnazione. Il jazz è stato in gran parte ridotto a un prodotto inoffensivo, sdolcinato, estetizzante. Il free jazz, che si è rifiutato di piegarsi alla logica liberista e predeterminata, è stato allora inesorabilmente rifiutato e condannato al silenzio" (Hugues Dufourt "MUSICA, POTERE, SCRITTURA" Le Sfere ed. LIM-Ricordi - pag. 81).

Nell'intento quindi di sensibilizzare e collegare tutti coloro che rifiutano l'attuale 'controriforma del jazz' l'AJ-Studio si prefigge di divulgare tutta una serie di informazioni, argomentazioni documentate e analisi, per controbattere e contrastare il revisionismo e di fornire, con la sola arma della contro-informazione, un punto di riferimento alternativo ad una tendenza oggi sempre più totalizzante (tradizione eurologica), manifestando apertamente la sua adesione ad un ideale "Neo-bop movement" che vede ancora una volta, oggi come allora, nel Bop, la musica di rivolta: rivolta contro ogni accademismo e la musica commerciale, ribadendo così l'individualità del musicista jazz:

"L'atto creativo musicale vero e proprio consiste nel fatto di rivivere in modo individuale con l'improvvisazione, a ogni esecuzione, gli schemi tradizionali, salvaguardandone i caratteri che vengono percepiti come essenziali. Pur nella permanenza del vincolo a ciò che è socialmente comune, è importante la interpretazione individuale che si dà a tale vincolo." [Knepler:"La storia che spiega la musica", Le Sfere - Unicopli-Ricordi p. 20].

Appellarsi quindi alla centralità del Bop significa porlo anche come catalizzatore per riscattare l'identità di tutto il jazz, dal Dixieland al Free, che và oggi progressivamente atomizzandosi, venendo così a dissiparsi una tradizione preziosa e ancor oggi attuale e rivoluzionaria!

"Nelle epoche di grande fioritura artistica…le grandi opere sorgono e maturano l'una accanto all'altra quasi nello stesso tempo, e quasi come ad opera di un afflato comune…allorché una siffatta epoca felicemente e puramente produttiva è trascorsa, subentra la riflessione e con essa l'universale scissione: ciò che là era spirito vivente, diventa qui tradizione" (Friedrich Wilhelm Joseph Schelling "Filosofia dell'Arte" [1802] p. 67 Fabbri Editori).

Il recupero dell'originario spirito militante e rivendicativo del bop-movement presupporrebbe però, da parte dei jazzisti, quella consapevolezza che è oggi assolutamente disattesa: i jazzisti tradiscono il jazz?

" …un'epoca nella quale gli idoli più venerati sono tutto ciò che è frivolo, che titilla i sensi o che alla nobiltà mescola la bassezza"..." dagli artisti di indole propriamente pratica di un'epoca siffatta non è perciò possibile, fatte poche eccezioni, saper nulla dell'essenza dell'arte perchè generalmente fa loro difetto l'idea dell'arte e della bellezza" (Schelling op. cit p. 67, 68).

'L'avanguardista-regredito-postmoderno' (che nulla ha a che vedere con la 'vera' avanguardia!) attacca i 'puristi' e, non volendo sentire ragioni, cerca di screditarli facendo leva sui luoghi comuni più in voga, che noi tutti ben conosciamo, artefatti elucubrati sulle manipolazioni revisioniste. Si potrà anche dibattere di gradualità e prevalenza tra scrittura e oralità nella genesi del jazz (…alcuni studiosi sostengono che: "il jazz è nato come musica scritta"), ma per il momento ci accontentiamo di constatare, rivisitando la nostra discoteca, che comunque lo si voglia far nascere:

"Il Jazz è in primo luogo l'arte dell'esecuzione e dell'improvvisazione" (Gunther Schuller) e che

"La melodia è il fulcro dell'improvvisazione" (John Sloboda).

Il problema attuale dell'improvvisazione deriva dall'uso che se ne fa, dovuto all'approccio manieristico-scolastico oggi dominante, fraintesa rilettura reazionaria della concezione originaria. Approccio nel quale "l'indole propriamente pratica" cerca ossessivamente una rivincita negli aspetti artigianali della musica e nella prestazione fine a se stessa e che, non riuscendo ad approdare a nulla al di là della mera clonazione degli stili, rifluisce nella composizione, nell'arrangiamento e nella 'performance' come 'cinico criterio dell'efficienza della prestazione' (Lyotard), proponendo prodotti accuratamente collaudati, immancabilmente seduttivi, intellettuali o consumistici, e rigorosamente all' 'ultima tendenza'. Mentre i puristi del 'Jazz - musica della nostra epoca' vengono liquidati come conservatori che guardano al passato, nei luoghi istituzionali della 'Classica - musica di un altra epoca', si sancisce l'attualità delle opere del passato riproponendole e celebrandole, focalizzandone con scrupolo minimalista ogni passaggio del repertorio ed enfatizzandone i momenti di libertà compositiva! Se una simile meticolosità filologica dovesse essere applicata al Jazz, verrebbero appropriatamente garantiti non solo la sua memoria storica, ma specialmente il suo futuro come musica d'arte. Futuro che in parte dipende da quello che i musicisti decideranno di dire e di fare nella situazione attuale contro le direzioni impresse dall'establishment della musica!

" La concezione del jazz come entità organica [..] richiede la decisione cosciente di ignorare la ovvia discontinuità presente nel linguaggio musicale- per non parlare dei contesti culturali e sociali in cui è situata la musica- in favore del principio trascendente di continuità" (Scott DeVeaux: 'Creare la tradizione" da " Il Jazz tra passato e futuro" pag. 31 ed. Lim)

Il concetto di 'discontinuità' è qui applicato in senso troppo vago e 'trascendente' per poter risultare 'ovvio' e la sua adozione richiede la decisione cosciente di ignorare la 'dialettica unitaria dei contrari'. Inoltre il fatto che il jazz sia musica afroamericana non comporta che tutte la musiche afroamericane, espressione dei diversi 'contesti sociali e culturali' a cui si allude, possano essere inscritte nel jazz. L'applicazione meccanica del criterio 'sociologico' rischia poi di fare debordare l'analisi in una sorta di 'primitivismo' in versione classista: Armstrong e Davis appartenevano a classi sociali opposte e ciò non ha impedito loro di condividere trasversalmente una comune estetica musicale.

"A chi l'arte non sia apparsa come un tutto conchiuso, organico e necessario in tutte le sue parti qual è la natura, resta ancora un lungo cammino da percorrere" (Friedrich Wilhelm Joseph Schelling "Filosofia dell'Arte" [1802] p. 65, Fabbri Editori).

La narrazione ortodossa ed evoluzionista del jazz, da noi condivisa, è basata su riscontri chiari ed evidenti all'ascolto e dimostrabili dall'estetica e dalla filologia. Ciò è tanto più valido per chi, avendo trascritto, analizzato e pubblicato decine di improvvisazioni a partire da Louis Armstrong e Sidney Bechet (Dixieland- New Orleans) [pre-bop], Charlie Christian e Lester Young (Swing-Bop); Charlie Parker (Be-Bop); Lee Konitz e Billy Bauer (Be-Bop-Cool); Wes Montgomery e Dexter Gordon (Hard-Bop), e tante altre, ha sempre riscontrato la continuità, relativamente stabile, evolutiva ed irreversibile, che attraversa coerentemente tutti gli stili del jazz, continuità nella quale le novità emergenti sono preparate e spiegate dagli sviluppi precedenti.

"E' pressoché assiomatico che ciascuno degli stili di jazz che si sono susseguiti si è basato sulle invenzioni della precedente generazione di esecutori, non di compositori [Naturalmente nella musica 'classica' avviene il contrario!]"(Gunther Schuller "Il jazz classico", cap. Il primo grande compositore - pag. 178 - Mondadori 1979)

e le esecuzioni avvengono allo strumento e sono di regola melodie improvvisate antifonali, quindi dialettiche. In termini filosofici la melodia jazz non propone un risultato, quanto un 'ragionamento' attraverso il quale si perviene ad un risultato. Ed ecco il movente castrante e denegante della 'ideologia anti-evoluzionistica del jazz ' che vede sia nella sua 'continuità storico-evolutiva ' , che nella sua 'strategia di produzione ', le metafore del principio modernista di 'Ragione' e che, negando l'identità unificante di tutto il jazz, apre la strada alla sua revisione reazionaria. Nel jazz gli stili sono con-sustanziali tra loro e con il genere al quale appartengono:

"Ogni figura è simile ad un'altra figura perché nel genere tutte le figure fanno tutt'uno, ma le parti del genere o sono contrarie tra loro o sono diversissime l'una dall'altra" (Platone),

questa frase sta a sottolineare come, nonostante i vari stili di un genere possano essere tra loro diversi o contrari, continuino tuttavia a 'fare tutt' uno' col genere. Ogni genere musicale costituisce un 'processo' nel quale coesistono varie opposizioni o contraddizioni che presentano sempre un elemento di coerenza e di unità ("unità degli opposti" ):

"Di primo acchito, in un sistema semantico […] le opposizioni sono innumerevoli, giacchè ogni significante sembra opporsi a tutti gli altri; tuttavia, un principio di classificazione è possibile se si assume come guida una tipologia dei rapporti fra l'elemento somigliante e l'elemento differente dell'opposizione." (Roland Barthes: "Elementi di semiologia" Einaudi - Nuovo Politecnico 7 - pag. 67 – 1966).

Ne consegue che se non si focalizza questo elemento, risulta impossibile percepire la diversità tra i generi artistici (genere = classe). La ricezione regredita dei revisionisti, confondendo 'differenza' con 'alterità', non riesce a vedere la continuità evolutiva tra gli stili del jazz. La daltonia intellettuale (…e spirito piccolo-borghese) tipica dell'ascoltatore che fruisce la musica solo nei suoi aspetti prevalentemente statici, geometrici e prefissati, antepone composizione, arrangiamento, abbellimenti, decorazioni e citazioni (…aspetti oggi austeramente recuperati dalle 'nuove' tendenze!) alla complessità della struttura melodica improvvisata, per lui inestricabile. Egli, non riuscendo a liberarsi dal tormentoso ed inconfessato sospetto di non capire il jazz, finisce col ridimensionarlo alla propria misura, accogliendone soltanto i parametri alla portata dei suoi limitati schemi interpretativi, cioè lo 'stile di superficie ' senza il 'processo', senza guardare "… al di là del campo delle realtà date" il campo delle "virtualità!" [Lortat-Jacob in Nattiez:"Musicologia generale e semiologia" EDT. p 70) La condivisione, tra il jazz ed altri generi, di attributi non-essenziali, serve poi da pretesto ai revisionisti per accreditare come jazz ciò che invece non lo è. Il sottolineare diversità e alterità tra i generi non significa tuttavia svalutare un genere a favore di un altro ma, al contrario, valorizzare ogni genere in base alla ricchezza delle sue preziose peculiarità presupposto del pluralismo e della loro compresenza: tutti i generi artistici hanno pari dignità. Il jazz ha visto il suo sviluppo articolarsi in un periodo relativamente breve ('20 – '70), brevissimo se paragonato alla 'Storia della Musica Classica Europea ', ma non poi così tanto in rapporto ad un arco di cinquant'anni. E' proprio il paragone con la musica classica ad essere sproporzionata e fuorviante. La musica classica si è sviluppata in una storia che è stata secolare, essa rispecchia l'altrettanto secolare sviluppo storico della società europea e delle classi dominanti, vecchie e nuove, dalle quali è stata storicamente condizionata ed istituzionalizzata; mentre il jazz, musica con caratteristiche popolari e sottoculturali, rispecchia un periodo relativamente recente e circoscritto della storia di una minoranza etnica, quella afro-americana, che è stata istituzionalmente emarginata e accolta solo se omologata, che è cosa diversa dall'emancipazione. La musica classica è stata prevalentemente la musica delle classi dominanti, il jazz la musica delle classi subalterne:

"La 'storia della musica' […] è la storia delle culture musicali dominanti" […] "Lo stesso sistema istituzionale della cultura musicale nasce e si mantiene in buona parte sul terreno della cultura dominante […] l'istituzionale significa anche l'ufficiale, l'accettato, il non-istituzionale spesso il solamente tollerato, o anzi l'escluso, il perseguitato…" "E' nella natura delle cose, inoltre, che la musica popolare sia di solito più rivoluzionaria di quella delle classi dominanti". Se non altro per interessi di classe: l'interesse peculiare dei potenti è la conservazione, quello dei subalterni il cambiamento." (Maroty: "Musica e Uomo" p. 222 - 223, ricordi/unicopli, Le Sfere).

Il jazz che nel prevalere dell'afrologia contro l'eurologia, ha visto una 'straordinaria rivoluzione paradigmatica' (T.Kuhn) nella musica occidentale, vede, oggi che i garanti del jazz sono tutti morti, il tentativo di ripristinare i più reazionari paradigmi eurologici. Processo revisionistico che investe con il jazz la cultura e l'arte e tutta la società complessivamente. Il jazz è il genere musicale che ha rispecchiato, direttamente, la contraddizione sociale tra il popolo nero schiavizzato e la società borghese nord-americana, la contraddizione del jazz, a cavallo fra vecchia musica e nuove musiche, vede il prevalere oggi del vecchio aspetto eurologico, e con esso, una forma perversa di afrologia omologata (manieristica e consumistica). Oggi la globalizzazione ha prodotto un riflusso generalizzato in campo sociale, culturale ed artistico, riflusso che si inscrive nel Postmoderno.

Secondo Jurgen Habermans: "…il postmoderno non rappresenta una veduta coerente ed autonoma, ma un semplice 'segno dei tempi ', cioè un sintomo della situazione di 'stallo' in cui è venuto a trovarsi il progetto culturale moderno e la filosofia che meglio lo ha espresso, cioè l'illuminismo" "anziché arrendersi di fronte ai suoi scacchi contingenti,… [Habermans.]… propone di rilanciare gli ideali emancipativi, pena la ricaduta in posizioni immobilistiche ed oscurantiste, suggellate dall'alleanza in atto fra post-modernisti e pre-modernisti e dalle spinte neoconservatrici degli anni Settanta e Ottanta." (Giovanni Fornero - Nicola Abbagnano "Storia della filosofia" IV tomo secondo pag. 420- 421).

E' in questa fase che il jazz ha iniziato a trasformarsi.

"La modernità, iniziata con l'Illuminismo... è sempre stata oggetto di un sordo risentimento collettivo se non di una dichiarata avversione....Il Postmodernismo è una variante attenuata di questo fenomeno di rigetto..." (H. Dufourt "Musica, Potere, Scrittura", pag. 10 -Le Sfere -1997).

Il be-bop, evento eminentemente moderno, fu oggetto di attacchi fanatici e furibondi e i boppers furono definiti:

…"pazzi" (E. Baraka, "Il popolo del Blues" ed. ShaKe 1999 pag. 167).

Assistiamo oggi, all'inizio del nuovo secolo, al fenomeno di ritorno di questa acredine mal sopita e alimentata da trentacinque anni (...dagli anni '70) di sofisticazione del gusto musicale e di sotterranea disinformazione revisionista facilitata dalla consolidata attitudine del senso comune ai canoni istituzionalizzati dell'eurocentrismo.

In Africa la musica è sempre stato un evento sociale allargato all' 'ascolto partecipante', essenziale anche della dimensione estetica della musica, il suono e il pulsare dei tamburi costituiscono un vero e proprio mezzo di conversazione. Nella comunità nera schiavizzata del nord-america la riappropriazione in chiave afrologica di musiche occidentali, (canti religiosi, ballate popolari, canzoni nord-americane eseguite con la peculiare inflessione e carica ritmico propulsiva dell'Africa nera), innescò una spinta compulsiva (quindi non sempre consapevole), alla rottura degli argini inibitori della ribellione contro la cultura dell'oppressore:

"Le marce dell'esercito della salvezza inglese e gli alleluia sentimental-religiosi si son trasformati nei canti rivoluzionari dei neri d'America" (Maròty op. cit. p.224).

Ribellione a sfruttamento e razzismo, ma anche alla instintualità sublimata della musica colta, rigida, gerarchica e repressiva:

"Nei ritmi sovversivi e dissonanti, piangenti e urlanti nati nel continente nero e nel profondo Sud della schiavitù e della miseria, gli oppressi rifiutano la Nona Sinfonia e danno all'arte una forma desublimata, sensuale, di spaventevole immediatezza, mobilitando, elettrizzando il corpo, e l'anima in esso materializzata" (H. Marcuse: "Saggio sulla liberazione" Einaudi-1969-pag. 59-60).

Ribellione che ha ritrovato nella improvvisazione non solo le libertà negate, ma il vessillo per rivendicare le radici di una cultura che concepisce la musica come

"flusso degli eventi nel tempo" ("Musica dell'Africa nera" D'Amico, ed. L'Epos p. 62).

La rottura dei freni inibitori indotta dall'improvvisazione, collettiva prima e individuale poi, ha fatto tracimare incontenibilmente il doloroso vissuto di un popolo riversandolo nei contenuti semantici della musica:

I modelli espressivi: "…sono sempre acquisiti all'interno, e per il tramite, delle relazioni sociali e delle emozioni ad esse associate, il principale fattore della formazione dello stile, quando si debbano esprimere dei sentimenti in musica, non può che essere il suo contenuto sociale." (John Blacking: " Come è musicale l'uomo? " pag. 89 Ricordi-Lim, Le Sfere.)

Quella peculiare 'nuova-disciplina-sincretica' dell'improvvisazione 'lì ' ed 'allora' storicamente determinata, quel peculiare stile-improvvisazionale, sono rimasti e rimangono il codice genetico di questa musica, la sostanza ontologica di un linguaggio e della sua estetica. Proprietà semantiche e culturali destinate a diffondersi nel mondo interpretando la modernità. Il jazz ha minacciato e minaccia pericolosamente la supremazia storica e l'egemonia della musica colta europea, l' improvvisazione jazz, anche se fondata su di una rigorosa e consapevole metodologia

[ "…non significa che questa pratica musicale […] si verifichi solo quando la musica è molto semplice o primitiva, chè l'esempio del jazz sta a dimostrare il contrario" (Enrico Fubini: "Musica e linguaggio nell'estetica contemporanea" Einaudi p.94) ]…

non può essere iscritta nella didattica della musica colta, ma al contrario costituisce una sua clamorosa smentita! Con ciò non ci sogniamo neanche di delegittimare, o tanto meno scalfire, la grande tradizione della musica classica, ma ci riferiamo esclusivamente al 'sadismo pedagogico ' di quella mentalità rigida e 'ministeriale' che ha censurato l'informazione e bloccato il pluralismo nella didattica musicale, specialmente nella storia recente del nostro paese. Negli Stati Uniti, la culla del jazz, esiste una corrente musicale minoritaria che, per quanto scollegata e composta da 'cani sciolti ', annovera musicisti tanto creativi quanto misconosciuti che, operando in ogni stile del jazz, producono una musica attuale, pregnante e significativa.

Questo approccio si fonda su di una metodologia radicata nella più autentica tradizione, meticolosa e minimalista, del jazz: la ricerca idiomatica di uno stile individuale (…come è da sempre avviene, per altro, in letteratura, arti figurative ecc.!); in ciò consiste la realizzazione più complessa da attuare e da fruire, essa è oggi sistematicamente incompresa ed elusa sia per il non-voler 'riconoscere' e 'distinguere' degli esperti, che per "l'indole propriamente pratica " degli artisti:

"…ci vogliono almeno vent'anni per definire un proprio stile personale sia come strumentista sia come improvvisatore…A me ne sono serviti sessanta di anni, per definire il mio stile. Bisognerebbe dirlo ai giovani musicisti di oggi." (Hank Jones: 'Musica Jazz 1-2006 p. 21).

eppure è proprio con questa risorsa che, 'Da Satchmo a Ornette ' , il jazz si evoluto, lo stile personale degli strumentisti innovatori che ha svolto un ruolo trainante nella storia di questa musica e che oggi può contribuire a 'conservare, trasmettere, aggiornare e diffondere' il jazz come tradizione viva e creativa, come dice Franco Ferrarotti: "La tradizione non è tradizionalista!" (Istituzioni di Sociologia, www.uninettuno.it).







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Data pubblicazione: 14/05/2006

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