Questo scritto è dedicato ad alcune attuali problematiche
che riguardano il Jazz, problematiche che rientrano in quel genere filosofico che
si chiama Estetica. Il termine deriva dal greco aisthesis, aistheton (sensazione
sensibile) esso designa la dottrina della conoscenza sensibile (G. Reale
op. cit), la scienza filosofica dell'arte (Abbagnano op. cit). Con
"estetica del jazz" qui si intende la conoscenza filosofica del jazz, ovvero
un'ampia riflessione e valutazione sulle caratteristiche di questo genere musicale.
Nell'accingersi a questo compito utilizzeremo il "metodo dialettico": non
ci fermeremo cioè al "dato-apparente", al comportamento fenomenico ("comportamentismo"),
ma attueremo quella "negazione" che svelando nascoste "contraddizioni"
approda a nuove "sintesi", Hegel definì la dialettica come: "...lo
spirito di contraddizione organizzato". Collegando, come qui avviene, il Jazz
a Politica, Economia, Psicoanalisi, Filosofia, e quant'altro, si procede di fatto
ad abbattere steccati e non ad erigerli, logicamente però, dato che ciò và fatto
attuando distinzioni e differenze, ci si espone all'accusa di erigere steccati.
Prendendo atto che questa accusa, sentenziata peraltro senza addurre motivazioni,
viene oggi riciclata con prevedibile puntualità, nel caso ci si chiedesse se chi
scrive abbia qui un bersaglio polemico, la risposta non potrebbe essere che affermativa.
La vittima sacrificale della contemporaneità-post-modernista è l'anelito
spirituale umano proteso verso la verità. Due luoghi comuni utilizzati in questa
manipolazione del consenso sono le accuse di "dietrologia" e di
"erigere degli steccati", un terzo è quello da noi definito, come vedremo, "l'ideologia
della contaminazione". Il primo errore da evitare, come sovente accade, è quello
di cominciare il discorso parlando di jazz in senso stretto, per ritrovarsi poi,
inconsapevolmente, a parlare di musica in senso lato, andando così fuori tema. Ovviamente
infatti, anche se il jazz è musica, non tutta la musica è jazz.
Il jazz non è musica intesa
nella sua astratta vaghezza universalistica, ma musica calata nella concretezza
della storia e della società, quindi è storicamente determinato, connotato da determinazioni
storiche, attributi e identità poiché "L'arte non può essere concepita al di
fuori della storia" (Rocco Musolino, op. cit. pag. 51;). Mentre la musica è
una materia tra le arti, il jazz è solo uno dei generi della musica e, in quanto
tale, ha una vita propria, con una genesi ed una conclusione del proprio ciclo evolutivo,
un processo. Mentre la musica può continuare ad evolversi anche attraverso la contaminazione
tra i generi, i singoli generi, invece, da avanguardia sono destinati a diventare
tradizione, a meno che, in una sorta di accanimento terapeutico, non si voglia continuare
a riproporli artificiosamente come avanguardia perenne e prodotto di consumo
(industria del jazz). Una cosa quindi è studiare la storia della musica focalizzando
le connessioni tra le varie culture e i diversi generi, altra cosa invece è inquadrare
monograficamente, come qui si vuole, la specificità storica ed estetica di un ben
determinato genere musicale: "Il fondamento di una critica materialistica dell'arte
non può essere che storico- filologica..." (Rocco Musolino, op. cit. pag. 86).
Nell'accingermi quindi ad esternare il mio libero pensiero,
critico e dissidente, sono perfettamente consapevole di poter suscitare diffidenza
e ostilità; ma dato che viviamo sottoposti alla dittatura culturale dell'ufficialmente
riconosciuto, spero che gli argomenti scelti possano almeno contribuire a smuovere
le acque stagnanti e allineate del jazz italiano. La tesi sul jazz qui sviluppata
è diametralmente opposta a quella oggi dominante e comunemente accettata. Non solo
riconoscendo, ma rivendicando l'assunto che in genere, e specialmente per il jazz,
non si debba essere conservatori, si ribalta qui l'ordine del discorso ponendo in
evidenza come, nel caso del jazz, la rivoluzione sia già avvenuta e pertanto essa
debba oggi non solo essere tramandata, ma preservata dagli attacchi della reazione!
La difesa delle fondamentali conquiste rivoluzionare è infatti il presupposto per
continuare sulla strada del progresso, una strada che non si svolge certo in linea
retta, ma in un intrecciarsi di errori, sconfitte e infiniti conflitti. Si è convinti
infatti che, in questa fase storica, sia l'industria della musica nord-americana
che i poteri forti della musica classica europea, non essendo riusciti ad arrestare
il jazz quando era un avanguardia-rivoluzionaria, ora che il jazz è una
tradizione-rivoluzionaria stiano rilanciando su scala mondiale una grande
operazione revisionistica e di restaurazione mimetizzata, peraltro, sotto le spoglie
di una sterile e insulsa innovazione: "[...] E' successo che oggi la produzione
estetica si è integrata nella produzione di merci in generale: la frenetica necessità
economica di produrre nuove linee di beni dall'aspetto sempre più inconsueto con
un giro d'affari sempre più grande assegna all'innovazione e alla sperimentazione
estetiche una funzione e una posizione strutturali sempre più essenziali... tutta
questa cultura postmoderna ... è l'espressione interna e sovrastrutturale di tutto
il nuovo corso del dominio economico e militare dell'America nel mondo...." (Fredric
Jameson, Duke University North Carolina-Usa - Gaetano Chiurazzi: "Il postmoderno"
p. 116 Mondadori [grassetto nostro]). Gli assertori del nuovo a tutti i costi
vorrebbero si firmasse un assegno in bianco per poterci scrivere sopra qualsiasi
cifra. Si falsifica la realtà quando si pretende di ridurre l'identità del jazz
al solo dato delle sue radici sincretiche, oppure a luoghi comuni astratti e qualunquistici
che lo stigmatizzano come "libero da schemi", "affamato di novità"
ed altre facezie oggi in gran voga. Di ben altro spessore è l'identità del
jazz e il suo peso specifico nella storia della musica e nella cultura occidentale!
E' questo l'oggetto del seguente studio nel quale si assegna
al ciclo musicale del jazz un duplice ruolo:
-
Quello di oggetto d'analisi:
Si ritiene infatti che questo genere si trasformando secondo il tipico modello
tripartito antropologico-culturale nel quale si individuano:
- La fase della separazione: (distacco dalla vecchia identità);
- La fase liminare (margine): il soggetto "...non è più quello che
era prima e non è ancora quello che dovrà essere...si trova in uno stato di
sospensione molto pericoloso perché attaccabile da forze distruttive...)
forze distruttive come il revisionismo storico.
- La fase della ri-aggregazione: (ri-aggregazione in una nuova identità musicale).
(Prof. Ugo Fabietti -
www.uninettunouniversity.net,
Testi: "Cultura e società"; "Elementi di antropologia culturale").
-
Quello di modello empirico per il metodo dialettico:
"...ogni forma artistica può essere vista...come ‘metafora epistemologica
' " (Umberto Eco, op. cit. pag. 50).
Nell'affrontare questa ricerca l'approccio metodologico
vuole essere aperto e spregiudicato, ma non nel solco di un pensiero debole che
respingendo qualsiasi sostenibile e proficua impostazione organicistica si rivela
rinunciatario, normativo e paratattico, quanto invece nell'intento di recuperare
tradizioni di pensiero che oggi sono travisate ed oscurate. Rifiuto quindi del pensiero
debole quando, dietro una malintesa apertura mentale, assolutizza il relativismo
e diviene in realtà totalitario (il relativismo asserendo che tutto è relativo
finisce con l'affermare, come nella proposizione "mai dire mai!", un concetto assoluto),
ma anche accettazione del pensiero-debole nel fare propria quell'agilità metodologica
che, travolgendo i residuati pre-modernisti ancora retaggio della modernità, perfeziona
il modernismo e lo sospinge sulla strada del neo-modernismo. Apertura che, rievocando
"l'anarchismo metodologico" di Feyerabend, rivisita importanti e variegati
aspetti del pensiero filosofico, da Eraclito, Platone ed Aristotele, attraverso
San Tommaso, Hegel, Marx e Benedetto Croce sino a Marcuse e Abermans, Khun e Apostel.
Un contributo teorico-filosofico, quello dialettico, attualmente vittima di un oltranzismo
ideologico che nasce dallo stallo della modernità nel mondo contemporaneo. Crediamo
quindi, e cercheremo di dimostrare, che il processo-jazz possa fornire un modello
empirico per il metodo interpretativo dialettico. Il nostro discorso vedrà quindi
l'intrecciarsi di quattro piani distinti ma interdipendenti:
- Il primo centrato sulla rivisitazione del paradigma di genere del jazz;
- Il secondo su una sommaria ricognizione del panorama più eterogeneo e frammentato
delle musiche contemporanee, del quale il jazz è parte integrante e nel quale gioca
un ruolo di rilievo;
- Il terzo sulla individuazione del revisionismo storico che dal versante del post-modernismo,
dell'industria musicale e del pensiero-unico, investe sia la narrazione del jazz
che il jazz-contemporaneo.
- Il quarto sulla situazione del jazz contemporaneo il quale, pur avendo perso il
carattere di genere d'avanguardia rimane pur sempre una musica della nostra epoca,
una "tradizione non tradizionalista".
Il fenomeno che spesso risulta fuorviante e induce in
errore è quello che vede, accanto al protagonismo del jazz nelle musiche contemporanee,
gli influssi ibridanti e snaturanti che musiche-estranee al jazz esercitano sul
jazz contemporaneo. Tra le due tendenze non è facile distinguere. E' l'identità
del jazz ad essere sottoposta all'azione corrosiva di musiche estranee? O sono la
nuove musiche ad essere sottoposte all'azione costruttiva e informatrice del jazz?
Sono vere entrambe le cose! Ciò può prestare il fianco ad equivoci ed abbagli che
ostacolano e ritardano una doverosa e necessaria presa di posizione da parte della
comunità del jazz a tutela della identità di questo genere musicale. La difesa e
la conservazione di conquiste progressiste, e la resistenza contro restaurazione
e reazione, sono unanimemente riconosciute e legittimate in tutti i campi dell'agire
umano, che ciò non avvenga anche nel jazz è sintomatico di una situazione generale
che mette sotto accusa i musicisti, il pubblico e la critica stessa! Dicendo questo
certamente non si pretende che i jazzisti smettano di contribuire ai nuovi generi
e alle nuove sperimentazioni musicali, ma semplicemente denunciare come questi esperimenti,
se impropriamente inscritti nel jazz, si possano sovrapporre ad esso oscurandone
così la memoria storica. Si intende inoltre sottolineare come non sempre le contaminazioni
abbiano un esito felice ed oggi, troppo spesso, esse finiscano con lo sfociare in
uno sterile e vano eclettismo. Uno dei presupposti della nostra riflessione si fonda
sulla considerazione che col nuovo millennio, radicato nella insolubile crisi intrinseca
all'economia "mercatista" e "finanziarizzata" che non riesce più ad
adempiere una funzione sociale, si stia delineando l'inizio di un processo di superamento
storico del post-modernismo, processo che vede un rilancio delle istanze della modernità.
Fase storica neo-modernista quindi, originata dall'andamento a spirale dei corsi
e ricorsi storici. Crisi determinata dall'incrementarsi dei processi monopolistico-privati
in tutti campi, musica compresa, che penalizzando l'economia reale minano lo sviluppo
e il progresso culturale. Anche nel jazz si assiste al sorgere e al predominare
di posizioni monopolistiche e protezionistiche che, come tipicamente avviene nei
fenomeni capitalistici, sono destinate ad una sempre maggiore concentrazione e centralizzazione.
Si è recentemente costituita in Italia una nuova associazione che concentra le più
importanti organizzazioni di manifestazioni del jazz nazionale, la nuova struttura
attuerà il coordinamento centralizzato dei nuovi progetti. Progetti che, come si
evince dai cartelloni, sovradimensionano gli aspetti più spettacolari e performativi
del jazz a discapito dei contenuti escludendo ed emarginando le potenzialità più
creative di questa musica. Emarginazione che si concretizza non tanto in una divisione
dei musicisti tra "buoni e cattivi", quanto attraverso le scelte estetiche
verso le quali i musicisti vengono surrettiziamente indirizzati. Da questa analisi
ne consegue che il jazz contemporaneo, se non vorrà mettere a rischio il suo status
di musica d'arte e vorrà continuare a chiamarsi jazz, non potrà che giovarsi della
neutralizzazione di quei fattori controproducenti del post-modernismo artistico,
culturale e politico, che lo stanno sospingendo su strade senza uscita. Oggi è il
jazz nel suo complesso ad essere sotto attacco:
"quello che una volta era il corpo fiorente di una musica
fluida ed innovativa è ora vittima di forze artistiche e professionali distruttive
e...l'intera "industria" del jazz è controllata da una gestione selettiva che soffoca
le più vitali componenti della musica." (Eric Nisenson: "The murder of Jazz"
[www.dacapopress.com]); (Anche in:
Giovanni Monteforte,
op. cit. pag. 2).
Da questa prospettiva una "verifica di idoneità" (Idoneismo:
Leo Apostel, op. cit. pag. 56), procedendo in senso diametralmente opposto
a quello oggi dominante, dovrebbe ripulire il jazz da tutte quelle incrostazioni
consumistiche e da quelle contaminazioni, passate e presenti, estranee alla sua
più profonda intenzionalità. E ciò potrebbe riconciliare il jazz con Theodor Adorno
e Aldous Huxley (op. cit. p. 157), il cui giudizio è stato fuorviato dagli
aspetti peggiori e non essenziali di questo genere. Per una necessaria e costante
verifica di idoneità il jazz non potrà che avvalersi del paradigma della
modernità, non potendo così fare a meno di divenire neo-modernista, e
ciò non può certamente riuscirgli difficile perché, anche se il processo-jazz
dal Dixieland al Free, nei rapporti intrinseci, ha visto il succedersi delle
differenti fasi tradizionale, moderna e contemporanea, nei rapporti estrinsechi
con la musica della sua epoca, ha complessivamente dato un contributo di modernità.
Non focalizzare questa distinzione, tra il ruolo giocato dal jazz nella storia della
musica ed il suo autonomo sviluppo interno, può generare confusione e fraintendimenti!
Questa distinzione, che valuta nel contempo lo sviluppo estrinseco ed intrinseco
dell'arte, è ricca di implicazioni che, come vedremo, sono state oggetto di trattazione.
L'arte non è meccanico e mero rispecchiamento dell'estrinseco, ma ha sue intrinseche
dinamiche. Chi crede quindi, o vorrebbe lasciar credere, che qui ci si schieri faziosamente
a favore di questo o quel differente stile della storia del jazz, come in passato
è altrove avvenuto, dovrà ricredersi leggendo questo lavoro. "Il vecchio"
infatti, per quanto riguarda il jazz, non è da ricercarsi all'interno del processo-jazz,
ma nel paradigma eurologico precedente all'avvento del jazz, paradigma neo-conservatore
che oggi si tenta di restaurare a discapito del jazz contemporaneo!
Come avviene per tutte le cose anche per il jazz si può dare un giudizio attendibile
solo a posteriori. Il fatto che nel corso del suo sviluppo, spurio e contraddittorio,
siano stati formulati giudizi ed espresse opinioni successivamente risultati errati,
non implica necessariamente che anche oggi, che del ciclo evolutivo di questo genere
si ha una visione globale e sedimentata, si continui a perseverare nello stesso
errore adottando quello stesso metro di giudizio vago e superficiale.
Che negli anni venti tanti jazzisti (e lo stesso Armstrong)
non percepissero chiaramente di suonare jazz, credendo se mai di suonare blues e
ragtime, o che negli anni quaranta la pubblicistica ufficiale non includesse nel
jazz il be-bop, o che negli anni sessanta Coleman, Coltrane e Dolphy siano stati
considerati anti-jazz, non comporta necessariamente che anche oggi si debba commettere
lo stesso errore di valutazione riguardo le tendenze contemporanee. Oggi che, a
giochi fatti, il jazz ci appare come un "campo specializzato maturo" con
una "solida struttura di assunti" che "fornisce le regole che dicono"
al jazzista "che cos'è...[il jazz]...e la sua scienza", sono a nostra
disposizione tutti gli elementi per formulare un giudizio attendibile e definitivo.
Il paradigma del jazz, con tutte le sue connessioni fattuali e
concettuali, storiche e stilistiche, è ormai ampiamente delineato e funge da
termine di paragone per operare le necessarie distinzioni critiche. Se per Karl
Popper risulta vero solo ciò che può essere falsificato, a confermare la verità
del jazz (il "vero-jazz") oggi abbiamo a disposizione un immensa mole di
falsificazioni-euristiche. Nell'attuale contesto ogni pretesa di rileggere o ri-narrare
il jazz nasconde in realtà il pericolo del revisionismo storico. Odierno revisionismo
che insidia per altro ogni tradizione storica rivoluzionaria e realmente democratica.
Che il jazz sia contaminazione non comporta automaticamente che qualsiasi contaminazione
sia riuscita e abbia un senso. Quella contaminazione, che ha dato origine al jazz,
è stata un evento spontaneo e felicemente scaturito da un periodo storico per molti
versi diametralmente opposto al nostro, cioè il modernismo di inizio secolo. Oggi
invece viviamo in pieno post-modernismo e il post-modernismo sta insidiando il jazz
contemporaneo con i suoi aspetti meno felici: forme velleitarie di eclettismo, il
neo-accademismo di fine secolo, e valori tutti appiattiti sulla performance intesa
anche come "Cinico criterio dell'efficienza della prestazione" [accezione coniata
dal filosofo Lyotard ]. Tutte componenti assimilabili in musica al cosiddetto
pensiero debole (leggerezza dei contenuti, relativismo, qualunquismo,
senso comune, pensiero volgare) diffuso ormai in tutta la società. Pensiero
debole inteso anche come: "rinuncia alle ambizioni universali della
storia" (H. Dufourt, op. cit. pag. 339), cioè rinuncia ai valori e ai compiti
emancipativi assegnati dalla storia agli uomini (senza i quali, se ci si riflette
bene, che senso avrebbe l'umana evoluzione?) abdicazione quindi dalle nostre
responsabilità. Valori ("contenuti") che sgorgano dalla musica di
Bill Evans,
di John Coltrane,
di Miles Davis e tanti altri e che, coloro che hanno effettivamente compiuto
l'esperienza musicale del jazz, intuiscono immediatamente a livello, appunto estetico.
Nella odierna fase storica di riflusso si ripropongono invece prodotti nei quali
la tendenza dominante è dare messaggi frammentati, la cultura della frammentazione:
"oggi non è più pensabile proporre delle storie, si
offrono invece prodotti consumabili rapidamente, che non prevedono cioè un attenzione
continuativa da parte degli ascoltatori" (V. Andreoli, articolo. cit.), quella
stessa continuità dell'attenzione che è richiesta dall'ascolto di una linea
melodica jazz improvvisata, e oggi manifestazioni e jazz-festival sono divenuti
un campionario di comunicazione frammentata. Tendenza che, supportata da gruppi
di decisione forti e incontrollati, è stata sino ad oggi clamorosamente priva di
contraddittorio e sta, furtivamente e progressivamente, facendo presa sul senso
comune di una comunità del jazz non immune dalla conformistica attitudine alla conventicola,
ai personalismi e allo snobismo, e nella quale queste nostre argomentazioni certo
non mancheranno di essere accolte come lesa maestà da parte delle vigenti baronie
del jazz. L'evento-jazz, da sempre più o meno consapevolmente opposto sia alla vecchia
tradizione eurologica istituzionalizzata che all'industria musicale commerciale,
incontra quindi sulla sua strada maestra reazione e restaurazione. Il vecchio, per
accreditarsi, si traveste da nuovo e si insinua subdolamente nel senso comune. Certe
attuali tendenze, sempre più spesso improbabili contaminazioni o banali commercializzazioni,
risultano offensive nei riguardi non solo del vissuto popolo afroamericano, ma anche
di tutti quegli artisti che dedicano la loro vita al jazz con impegno e sacrificio.
Queste tendenze non sono il prodotto occasionale e grossolano di qualche operatore
inesperto, si tratta bensì di una furtiva campagna, capillare e coordinata, nell'intento
surrettizio di modellare e indirizzare lo spontaneo sviluppo del jazz. Campagna
della quale, sofisticato prodotto della scienza della comunicazione, tutti i sinceri
e competenti cultori del jazz sono all'oscuro, o ne sottovalutano la portata! Nel
secondo millennio viviamo in un mondo oggettivo nel quale la realtà supera la fantasia,
e in cui la tecnica rende possibile che ciò che viene indotto artificialmente possa
essere fatto passare per lo spontaneo sviluppo dei tempi. Nell'intento quindi di
sensibilizzare e collegare tutti coloro che rifiutano questa vera e propria controriforma
del jazz, e consci del rischio che si tenti di far passare per arrogante e prescrittivo
il nostro impegno militante, si vogliono sottoporre al pubblico giudizio argomentazioni
alternative, e anche punti di riferimento bibliografici che, contrastando con una
tendenza sempre più totalizzante e revisionista, possano contribuire a sollecitare
il rilancio del Jazz, ancora una volta oggi come allora, come musica di rivolta:
rivolta contro ogni accademismo e la musica commerciale, ribadendo così l'individualità
dell'improvvisatore jazz. "Individualità" non intesa come demiurgica separatezza
di un soggetto meta-storico, bensì come identità non-alienata, calata nel presente
storico.
Per dirla con Galvano della Volpe, quella autonomia
capace di autoverifica e di inventare nuove tecniche di significazione e ciò oggi
non potrebbe risultare più vero come nel caso dell'improvvisatore jazz. Improvvisatore
il quale, come vedremo, è affrancato dal dover fornire esecuzioni musicali perfette
e di per sé conchiuse (paradigma eurologico del ‘sublime '), come è sovente
lasciato credere, ma è al contrario libero di esprimersi attraverso "l'estetica
dell'imperfezione" (arte nera "forma desublimata" Marcuse "Saggio sulla liberazione"
Einaudi pag. 60; Davide Sparti: op. cit. p. 151). Un estetica che è sì rivendicazione
dell'espressione e della emancipazione individuale ma che, nell'era della sopraffazione
tecnologica, è anche rilancio della dimensione naturale e umana in musica (organologico-umanistica).
Affermazione di una grandezza artistica non intesa come "genialità" mistico-romantica,
ma come quella grandezza tutta umana di chi come il jazzista, è capace di mettersi
in gioco "eroicamente", nel rischioso e libero gioco della vera improvvisazione.
La scena contemporanea è ricca di validissimi e innovativi jazzisti neo-modernisti
i quali, inconsapevoli e scollegati tra loro, sono tenuti in disparte dal monopolio
musicale per fare spazio a prodotti ad esso più congeniali! Si intende per questo
prendere posizione nel tentativo isolato di contribuire a stimolare quella presa
di coscienza che, mentre in altri campi artistici è attivamente presente, nel jazz
inspiegabilmente è tanto assente quanto necessaria! Estetica del jazz quindi come
Filosofia del jazz, riflessione e valutazione sulle peculiarità di questa musica.
Se una musica, oltre a risuonare dice anche qualche cosa, essa è un fatto semantico,
trasmissione di contenuti, a meno che non voler circoscrivere e limitare la semiosi
al puro linguaggio verbale! Le varie musiche possono essere, sia "rispecchiamento"
universale di un epoca, di una società, di una cultura, che espressione di
modi di essere individuali, riflessione della "...morfologia dei nostri sentimenti"
(Enrico Fubini). La musica si può concretizzare nella trasmissione di modelli
comportamentali etico-pedagogici con i quali le personalità si identificano e si
plasmano. Modelli che possono essere edificanti o degradanti, alienanti o emancipativi,
che possono approdare all'evasione o alla presa di coscienza, alla rinuncia e all'indifferenza
o all'impegno e alla partecipazione, al nichilismo o alla militanza: "La musica
alienata contenutisticamente esercita la ‘missione feticizzante dell'arte' genera
l'abbellimento dell'esistente, ne suggerisce l'immutabilità…Assopisce i nostri pensieri,
ma eccita i nostri sensi; più di ogni altra arte la si può considerare sia ‘bella'
che ‘magica'. Non è un caso che già i miti più antichi parlino del potere magico
della musica e che l'irrazionalismo più recente, la ‘distruzione della ragione',
nasca dallo ‘spirito della musica' ". (Maroty: op. cit. p. 252).
Si può affermare la concezione di un arte fecondata nella
consapevolezza dello splendido e drammatico mistero dell'esistenza umana, o di un
arte anestetizzata nell'edonismo, nell'egoismo e nella vana presunzione del rampantismo,
ultimo approdo di un esistenza irrisolta. Questi sentimenti umani, o atteggiamenti
spirituali, possono essere rivelati e/o ri-vissuti durante la fruizione della grande
musica d'arte, arte di cui il jazz è una delle espressioni più significative; inversamente
essi possono rimanere eclissati, rimossi o prevaricati da certe attuali musiche
alienanti, illusorie, effimere e transitorie, che veicolano modi di essere umani
funzionali a politiche non solo consumistiche, ma soprattutto di dominio politico.
A questo proposito riteniamo utile rimandare a Nattiez quando pone il quesito:
"La musica è un arte a-semantica o semantica?". Alla prima concezione estetica,
quella a-semantica, appartengono le teorie che sostengono che la musica non esprima
dei sentimenti, riducendola quindi a rapporti tra suoni senza alcuna relazione alla
sfera delle idee; alla seconda concezione, appartengono le teorie estetiche che
sostengono che l'arte musicale riproduca dei sentimenti, e quindi esprima, simbolizzi
dei significati riconducibili ad una realtà esterna all'opera stessa (Jean-Jacques
Nattiez op. cit. p. 84). Questa disputa, che sino a ieri si è svolta esclusivamente
nell'ambito ambito teorico dell'estetica musicale, oggi è oggetto di ricerche sperimentali
nell'ambito della psicologia cognitiva, ricerche che sembra possano avvalorare la
concezione semantica della musica: "La musica comunica qualcosa che il discorso
non può comunicare" "dobbiamo riconoscere i limiti del linguaggio e accettarli",
"Si può sospettare che le lacune riconoscibili nel nostro pensiero discorsivo
siano zone di pensiero musicale" (Seeger). Un pool di ricercatori della Università
di Baltimora Johns-Hopkins fa notare come in musica, nei processi improvvisati,
si siano riscontrati "...un aumento della attività neuronale nella corteccia
prefrontale dedicata all'espressione di sé, che ad esempio si accende quando si
racconta una storia. Storia fatta invece che di parole di frequenze, di distanze,
di durate, di intonazioni" ("Algoritmo del jazz" di Marco Magrini - Il Sole 24 Ore
- 6 marzo 2008.)."Cos'è che fa sì che la musica
abbia per noi significato?"; e ancora: "...il riferimento musicale ha un
valore particolare, perché la musica ha ‘senso' anche se l'ascoltatore non lo coglie"
; "E' naturale ritenere, che più la persona è musicalmente esperta, più diventi
sensibile alle più fini sfumature...". (John Sloboda: op. cit. p. 108-109-113).
L'arte ha quindi una sua oggettività che il fruitore deve
cogliere, e quando non la coglie la deve scoprire, e a ciò non credo proprio si
possa contrapporre una malintesa interpretazione relativistica del concetto di
"opera aperta" così come descritto da Umberto Eco: "...l'autore produce
una forma in sé conchiusa nel desiderio che tale forma venga compresa e fruita così
come egli l'ha prodotta; tuttavia...ogni fruitore porta una sua concreta situazione
esistenziale...in modo che la comprensione della forma originaria avviene secondo
una determinata prospettiva individuale...In tale senso, dunque, un opera d'arte,
forma compiuta e chiusa nella sua perfezione di organismo perfettamente calibrato,
è altresì ‘aperta', possibilità di essere interpretata in mille modi diversi
senza che la sua irriproducibile singolarità ne risulti alterata" "...senza
mai cessare di essere se stessa." (Umberto Eco, op. cit. p. 34 [grassetto nostro]).
Giudichiamo quindi insostenibile la concezione "a-semantica". Se la musica
non esprimesse sentimenti e modi di essere e non fosse capace di comunicare, anche
in termini rivelatori, contenuti riconducibili ad umani vissuti, alla sfera extra-musicale,
sarebbe ridotta ad un'inutile esercitazione fine a se stessa. Rudolf Steiner riteneva
che attraverso "...gli influssi dell'arte vera"..."...l'uomo penetra con la rappresentazione
e col sentimento nei substrati spirituali di essa..." ("La scienza occulta nelle
sue linee generali" pag. 58; Oscar Mondatori), e i substrati spirituali dell'arte
vera (nel nostro caso il vero jazz) costituiscono oggi uno dei bersagli di
chi amministra il mondo contemporaneo, in ultima analisi è della sostanza spirituale
dell'uomo che il potere ha paura. Inoltre "La musica, per esempio, può servire
per insegnare moltissime cose di grande valore: anche persone di capacità limitate,
se ascoltano un brano di buona musica, hanno la possibilità di sperimentare in maniera
tangibile il processo di pensiero e di sentimento di un uomo in possesso di un notevole
potere intellettuale e di un eccezionale intuito." (Aldous Huxley, op. cit. pag.
146-147).
Si può quindi sapere tutto del jazz, ma se ci si è resi
impermeabili a questi evidenti fatti essenziali, non si può addurre la pretesa di
aver capito il jazz! Ci si distanzia anche dalle "teorie riduzioniste dello stile"
(Nattiez, op. cit. pag.112) conseguenti anche a certe interpretazioni mistiche
e universalistiche del marxismo che vedono nei destini della storia la conciliazione
di ogni contraddizione; così come da coloro i quali, per non essere "normativi",
rifiutano i generi ritrovandosi poi fatidicamente a manipolare l' "aria
fritta" e i suoi derivati cioè le: "parodie del mondo della finzione contemporaneo,
che, simile al matto convinto di essere Napoleone perché ne indossa lo stesso tipo
di cappello, si crede un opera d'arte solo perché se lo è messo in testa" (Bruno
Pederetti "La forma dell'incompiuto" pag. 90, Utet - 2007).
Il mito del comunismo (una fuga in avanti!) e il mito della musica-totale
vanno di pari passo, lo stesso Lenin affermava: "L'antagonismo e le contraddizioni
non sono affatto la stessa cosa, il primo sparirà le seconde sussisteranno nel socialismo..."
e la contraddizione è differenza: "...la differenza stessa è una contraddizione."
(Mao op. cit. p. 336). Siamo convinti e cercheremo di dimostrare che è proprio
nel pensiero dialettico, fondato (engelsianamente) sulle categorie della
quantità/qualità, che risiede il più sicuro presupposto che individua nel
pluralismo dei linguaggi una ricchezza e una risorsa contro il pensiero totalitario.
Concordiamo inoltre con coloro i quali ritengono sia "...necessario affrontare
l'organizzazione e l'evoluzione proprie di una forma simbolica, prima di tentare
di spiegare la sua struttura e la sua storia con criteri esterni [le classi, l'ideologia,
la cultura] " (Meyer: in Nattiez op. cit. pag. 112). Assunto al quale si ricollega
il concetto di "aseità semantica" di Galvano della Volpe: "...un'avvertenza
metodica imprescindibile, tale da mettere in guardia da ogni preconcetto o meccanico
riscontro fra struttura economico sociale e la sovrastruttura culturale, artistica."
Concetto dellavolpiano che "nega la validità di una verifica che pretenda
di esercitarsi in una continua serie di rapporti tra i ‘singoli ' elementi dell'opera
e il contesto storico culturale, cioè d'un esperienza critica che non si costruisca
su un analisi interna dell'oggetto artistico..." (Musolino, op. cit. pag.
61). E' inoltre nostro intento, prendendo spunto da quanto osservato dall'epistemologo
e sociologo Davide Sparti nel suo innovativo libro "Suoni Inauditi" (pag. 39-40
Il Mulino), ma anche, diversificandoci a tratti da quella stimolante impostazione,
far notare come oggi più che da una "ideologia modernista" la cultura
e il senso comune siano dominati da una "ideologia post-modernista", e che
la lettura oggi prevalente del jazz non sia tanto quella organica, quanto quella
discontinua e disorganica. Lettura paratattica, quella odierna, che vorrebbe la
disintegrazione del jazz per farne assorbire i frammenti da altri generi a loro
volta destinati a confluire in un unico genere "inter-classista", e che sia
proprio questa lettura a fondarsi su un approccio ermeneutico "cumulativo"
il quale, concependo l'unità-organica come universo tolemaico immobile
e privo di conflitti, legge erroneamente le opposizioni intrinseche al jazz come
separatezza invece che come interazione sì contraddittoria ma organica (continuità
dialettica). Ed è solo a partire da un approccio dialettico che, liberando gli
stili intrinseci al jazz da reciproca alterità, si potrà riconfermare una corretta
narrazione del jazz come entità organica e coerente. Non-alterità tra gli stili
del jazz conseguente sia dai caratteri comuni prodotti dal reciproco condizionamento,
che dall'appartenenza allo stesso genere.
La lettura dis-organica del jazz è riconducibile all'evoluzionismo-volgare,
infatti solo una pregressa visione evoluzionista può portare a scambiare le opposizioni
non-antagonistiche insite nella quantità, con mutamenti qualitativi. Evoluzionismo
volgare che, mai affrancatosi completamente dal pre-modernismo, oggi ritorna nel
post-modernismo, col quale finisce col convergere. E' quindi a partire dall'approccio
neo-modernista e dialettico, che si può fornire una confutazione della narrazione
del jazz come entità disorganica e frammentata.
05/04/2017 | LEZIONI (chitarra): (B. Patterson, T. De Caprio, M. Ariodante, G. Continenza, G. Continenza, G. Fewell, N. Di Battista, A. Ongarello, D. Comerio, A. Tarantino, S. Khan, A. Bonardi, M. Falcone, A. D'Auria) |
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COMMENTI | Inserito il 15/6/2010 alle 14.24.56 da "renato.maccacaro" Commento: "Sfortunatamente, per molte delle persone che si dedicano all'arte, le idee diventano un oppio". (Morton Feldman) | |
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Data pubblicazione: 22/09/2009
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