Vicenza Jazz New Conversations XXIV Edizione
Vicenza, 9-19 maggio 2019 di Vincenzo Fugaldi foto di Vincenzo Fugaldi, Francesco Dalla Pozza, Cesare
Greselin
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Il festival vicentino, diretto da Riccardo Brazzale, porta
il jazz, oltre che nei luoghi consueti, in una quantità di locali cittadini, colmando
la città di suoni e colori. Chi scrive ha seguito tre serate, dal 16 al 18 maggio,
in particolare i concerti tenutisi al Teatro Olimpico, alla Sala del Ridotto del
Teatro Comunale, alla Chiesa di Santa Corona, al Cimitero Maggiore.
La cornice palladiana dell'Olimpico ha ospitato la prima assoluta di un duo di rara
intensità, quello tra il pianista David Virelles e il trombettista Ambrose
Akinmusire. Quasi coetanei (rispettivamente del 1983 e del 1982), questi due
musicisti, ciascuno per proprio conto, stanno da alcuni anni innovando significativamente
il jazz (basti ascoltare i lavori più recenti di Virelles per le etichette Pi ed
Ecm, e il premiatissimo Blue Note«Origami Harvest» di Akinmusire)
con opere di riconosciuto valore. L'idea di farli incontrare in duo si è rivelata
vincente sin dalle prime note, con il trombettista che distillava note di cristallina
purezza e il pianista che faceva tesoro dei suoi studi classici con un accompagnamento
sobrio, delicato, estremamente pertinente, e si faceva carico di scaldare progressivamente
l'atmosfera introducendo elementi ritmici che venivano recepiti da Akinmusire realizzando
un costante interplay in brani in cui ciascuno alternandosi conduceva la
musica, in pieno equilibrio tra scrittura e improvvisazione, mantenendo tensione
melodica e fruibilità, sino ad arrivare a un inatteso, swingante All the things
you are che ha concluso il set.
A seguire, il trio del pianista israeliano di stanza a
New York Shai Maestro, con Jorge Roeder al contrabbasso e Ofri
Nehemya alla batteria. Da poco approdato in casa Ecm, Maestro ha presentato
i brani del suo più recente cd, «The Dream Thief». Ben assecondato dai partner,
in particolare dal supporto del contrabbassista peruviano che si ritagliava anche
pregevoli parti solistiche, ha impresso al concerto le precise coordinate melodiche
che caratterizzano da tempo la sua poetica, e progressioni armoniche intense e appropriate,
riscuotendo un buon consenso nell'uditorio, nonostante alcune eccessive insistenze
tematiche nella parte finale in chiave vagamente new age.
Penalizzato da un'acustica inadatta, spostato nella Chiesa di Santa Corona, il concerto
notturno del Trio Ammentos (Peo Alfonsi-chitarra; Fausto Beccalossi-fisarmonica;
Salvatore Maiore-contrabbasso) ha incontrato la voce di Diana Torto
per un progetto intitolato "Viaggio a Spoon River", ispirato alla nota opera di
Edgar Lee Master. Ben affiatato, il trio rigorosamente acustico ha accolto il canto
e i recitativi della Torto, sempre pertinenti e intensi, in brani suggestivi e ottimamente
eseguiti, all'insegna di un jazz dai connotati mediterranei, aperto e popolare.
La serata dedicata al Top Jazz, presentata brillantemente dal critico del
mensile Musica JazzEnzo Boddi, ha schierato sul palco tre dei vincitori
dell'edizione 2018: Federica Michisanti con il suo Horn Trio,
Franco D'Andrea
con il suo New Things e la Lydian Sound Orchestra. Michisanti, prima classificata
come nuovo talento nel referendum, affiancata dal sassofono di Francesco Bigoni
e dalla tromba di Francesco Lento, in un set breve per ragioni organizzative
ha evidenziato le coordinate tipiche della sua ultima formazione, con il contrabbasso
a fare da perno per i dialoghi tra i due fiati, rigorosi e austeri, perfettamente
aderenti alle suggestioni compositive della leader, con un grande equilibrio tra
forma e improvvisazione. D'Andrea, che ha vinto il Top Jazz innumerevoli volte,
ha presentato in anteprima il suo nuovissimo trio, con Mirko Cisilino alla
tromba ed Enrico Terragnoli alla chitarra e all'elettronica. Non nuovo a
esperienze con trii insoliti (basti ricordare la fantastica formazione con D'Agaro
e Ottolini), il Maestro ha ancora una volta centrato pienamente l'obiettivo con
un combo di notevole qualità, fresco ed estremamente coinvolgente, che ha suonato
le sue caratteristiche composizioni - che reinterpretano come meglio non si potrebbe
in chiave contemporanea la tradizione del jazz pre-bebop - con fantasia e personalità,
sia da parte di Cisilino, nuovo grande talento da tener d'occhio, che del più navigato
Terragnoli, che si alternava tra corde ed elettronica imprimendo all'insieme sonorità
diverse, ritmi, colori.
La Lydian Sound Orchestra, diretta da Riccardo Brazzale, premiata
quale miglior formazione italiana, ha ospitato la tromba di Ambrose Akinmusire,
e ha eseguito alcune composizioni del nuovo progetto intitolato Mare 1519,
alcuni temi monkiani ed ellingtoniani, e altri di Max Roach tratti dall'ottimo cd
del 2018 «We Resist!», come Lonesome Lover. Orchestra come sempre
sfavillante, repertorio avvincente, l'ospite statunitense progressivamente sempre
più integrato nell'organico.
Ma la serata non era conclusa: l'insolito (non per questo festival, che da alcuni
anni l'utilizza) spazio del colonnato del Cimitero Maggiore, allo scoccare della
mezzanotte, ha offerto al numeroso pubblico accorso un concerto di rara suggestione,
anzi due diversi momenti musicali. Il primo era affidato al trio di Gabriele
Mirabassi (oltre al clarinettista, Nando Di Modugno alla chitarra classica
e Pierluigi
Balducci alla chitarra basso acustica), denominato "Amori sospesi",
dal titolo del cd pubblicato dall'etichetta Dodicilune nel 2015. I tre hanno suonato
brani provenienti in parte dal loro disco, ricreandone le atmosfere sognanti che
attraversano i generi coniugando Mediterraneo e Brasile, con suoni gentili e avvincenti.
Il sinuoso clarinetto di Mirabassi trovava un ambiente ideale tra le corde dei due
partner, e si librava nel silenzio della notte con esiti di grande suggestione,
tra cui citerei, una per tutte, l'esecuzione di Choro bandido di Edu Lobo.
Nella seconda parte della serata il trio ha ospitato il violoncello di Ernst
Reijseger, eseguendo sue composizioni, e l'atmosfera è totalmente mutata: il
violoncellista, uno dei più creativi musicisti europei di sempre, ha condotto il
trio all'interno del proprio mondo musicale, ricco di suggestioni che non conoscono
confini e barriere musicali, di una tecnica mai fine a sé stessa che non finisce
di sorprendere, di composizioni di assoluta qualità, tra le quali non si può non
menzionare la profonda, intensa, commovente preghiera Salt and Fire, dalla
colonna sonora del film omonimo di Werner Herzog.
A chiusura della parte del festival che chi scrive ha seguito, presso il Teatro
Olimpico, Free Connection: un incontro senza rete fra tre senatori del jazz
(Enrico Rava,
Michel Portal e Andrew Cyrille) e il violoncello di Reijseger,
per un set totalmente improvvisato. L'inizio è toccato a Rava, che, con la grinta
e lo spirito che lo caratterizzano frequentemente, ha dato la sua felice impronta
alla serata, tra spunti melodici e sortite free. La batteria di Cyrille,
sempre attivissimo e recentemente approdato in casa Ecm, ha costantemente sostenuto
il suo ruolo, consentendo ai fiati di muoversi liberamente in collettivi e momenti
solistici, mentre il violoncello, pizzicato e suonato con l'archetto, sfregato e
percosso in mille modi, aggiungeva colori e nuovi spunti all'improvvisazione.