Una Striscia di Terra Feconda Festival Franco-italiano di jazz e musiche improvvisate. XXIII edizione 2020. Direzione artistica
Paolo Damiani
e Armand Meignan
di Vincenzo Fugaldi
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Con encomiabile coraggio e determinazione
Paolo Damiani
e il suo sodale francese Armand Meignan non hanno voluto interrompere in
questo anno difficile il loro festival, giunto alla ventitreesima edizione. Le fortunate
scelte artistiche e dei luoghi dove si sono tenuti i concerti hanno premiato il
loro sforzo, e il pubblico ha dimostrato desiderare di voler godere – in sicurezza
– di eventi culturali di notevole spessore come questi.
La prima parte del festival, che chi scrive ha seguito, è iniziata presso la prestigiosa
sede del Museo Archeologico Nazionale di Palestrina, nelle serate del 24 e 25 luglio.
Il rinascimentale Palazzo Barberini, sede del museo, è stato edificato sui resti
del Tempio della Fortuna Primigenia, e presenta un'aura che lo rende ideale per
proporre degli spettacoli di qualità, specie nella cornice acustica prescelta per
l'occasione, che ha consentito di apprezzare nelle migliori condizioni il suono
degli strumenti.
I concerti sono stati introdotti dalla direttrice del
museo, Marina Cogotti, che ha opportunamente ricordato che il personale del museo
ha tenuto aperto la sede nelle serate del festival a titolo di puro volontariato,
particolare non trascurabile che dovrebbe far riflettere chi ha dei preconcetti
nei confronti dei pubblici dipendenti.
Renaud Garcia-Fons è uno dei più grandi contrabbassisti in attività. Parigino, classe
1962, si muove agilmente tra diverse musiche, non limitandosi dunque al jazz. A
Palestrina si è esibito in duo con la liutista Claire Antonini, sua compagna anche
nella vita. Il suono del suo caratteristico contrabbasso a cinque corde, nel quale
eccelle tecnicamente ma sempre in funzione espressiva, si integrava alla perfezione
con i delicati arpeggi del liuto, in un'atmosfera intima e sobria, nell'esecuzione
di diverse suite che riunivano brani di sua composizione che spaziavano da musiche
barocche a musiche orientali, evidenziando le sue vastissime conoscenze musicali.
I brani facevano parte del disco recentemente inciso con la medesima formazione
«Farangi (Du Baroque a l'Orient)».
La serata seguente si è svolta all'insegna di un jazz contemporaneo aperto e avanzato.
Una riuscitissima produzione originale del festival, che ha affiancato al trio della
contrabbassista Federica Michisanti, con Francesco Lento alla tromba e Francesco
Bigoni al clarinetto e al sax tenore il clarinetto e il clarinetto basso di uno
dei più affermati musicisti europei, Louis Sclavis. Dopo due fortunati dischi con
questo ensemble attivo sin dal 2018 (l'Horn Trio, «Silent Rides» e «Jeux
de couleurs») e la meritata vittoria al Top Jazz,
Una Striscia di Terra Feconda ha dato alla contrabbassista e compositrice
un'opportunità eccezionale, che lei ha saputo cogliere al meglio, grazie alla piena
disponibilità di Sclavis, che non è intervenuto in qualità di semplice ospite, ma
si è integrato totalmente nell'ensemble (grazie anche alla possibilità di effettuare
delle sedute di prova loro offerta dal festival), che è così diventato un vero quartetto.
Una formazione insolita, senza batteria né pianoforte, che ha eseguito alcune composizioni
presenti nei dischi del trio, altre appositamente vergate per l'occasione, e due
incantevoli brani del francese presenti sul suo lavoro più recente per l'Ecm,
«Characters On A Wall», La dame de Martigues e Extases. La musica
di Michisanti è sobria, meditata e meditativa, lontana da effettismi e virtuosismi,
non tende a saturare l'ambiente sonoro ma a dialogare con il silenzio e le opportunità
offerte da un concerto acustico che offriva il piacere di ascoltare il suono degli
strumenti in tutta la loro bellezza. In questa tendenza all'essenziale il magnifico
apporto di Sclavis ha giocato un ruolo fondamentale, conferendo all'ensemble dall'alto
del suo magistero musicale una luce nuova e intensa, sia integrandosi nel gruppo
sia in assolo. E tutti i componenti hanno contribuito alla sensazionale riuscita
dell'evento, da Lento e Bigoni ogni anno più maturi e assertivi, alla leader, che
si è riservata anche ampi momenti in solo. Grande equilibrio tra scrittura e parti
improvvisate, per una serata che, secondo chi scrive, meriterebbe di essere testimoniata
discograficamente o, quanto meno, radiofonicamente.
Fra i grandi meriti del festival, quello di aver creato nel 2016 l'occasione per
la nascita del trio Dadada, composto dagli italiani Roberto Negro e Michele Rabbia,
residenti da tempo a Parigi, e dal sassofonista francese Emile Parisien. Un disco
Label Bleu («Saison 3») del 2017 ne testimonia gli esordi, e il trio dal
vivo risulta oltremodo coinvolgente e sorprende per affiatamento e interplay. Le
composizioni del pianista, belle e ardite (nel corso della serata ha infatti ricevuto
dalle mani di Paolo Fresu il premio Siae "per le sue originali ricerche compositive"),
hanno dato luogo a un set conciso ma esemplificativo delle qualità del trio, che
si avvaleva al meglio della mirabile fantasia percussiva di Michele Rabbia, efficace
anche nel live electronics, dell'inarrestabile fraseggio del soprano di Parisien
arricchito a tratti da effetti, e delle doti pianistiche di Greco, che ha utilizzato
anche un piano elettrico. I brani, tutti a firma del pianista tranne una composizione
di Ligeti, si sviluppavano in crescendo coinvolgenti, con esiti mai scontati, all'insegna
di una contemporaneità interpretata con convinzione, e di un jazz profondamente
europeo, decisamente al di là dei confini nazionali.
La serata, svoltasi nella cavea dell'Auditorium "Ennio Morricone", si è conclusa
con il quintetto di
Paolo Fresu,
il combo italiano più longevo (ben trentasei anni di attività), che ha ospitato
il trombone di Filippo Vignato. I sei (oltre a Fresu e Vignato Cipelli, Zanchi,
Fioravanti e Tracanna) hanno riproposto i brani del disco del 1997 «Wanderlust»,
recentemente rimasterizzato. Importante l'apporto del trombonista, che ha anche
recato una sua composizione e si è integrato da par suo nella formazione. Il tempo
forse inizia a pesare sul quintetto, che non sembra conservare la freschezza di
anni addietro, mentre probabilmente la scelta di eseguire i brani del disco singolarmente
senza unirli in suite con connessioni fatte da momenti improvvisativi come avveniva
talvolta in passato ha reso l'esecuzione un po' meccanica.
Altro luogo magico scelto per concludere la prima parte del festival il 31 luglio
e l'1 agosto è stato il Palazzo Farnese di Caprarola, nella Tuscia, un edificio
la cui bellezza è difficilmente descrivibile a parole. Nel cortile interno, due
diversi trii, uno guidato da Luca Aquino e uno da
Francesco Bearzatti.
Il trio di Aquino era al secondo concerto, il loro tour era stato interrotto dal
lockdown nello scorso febbraio in Iran. Con il conterraneo Dario Miranda
al contrabbasso e Fabio Giachino al pianoforte, l'artista beneventano ha offerto
un concerto intimo e raccolto, basato in parte su brani contenuti nel suo più recente
album «Italian Songbook». La ricerca di Aquino è ripresa alla grande, dopo
le forzate pause dovute a problemi di salute, e il suono delicato e meditativo della
sua tromba e del suo flicorno sono tornati da tempo a illuminare le scene. Qui era
spalleggiato molto bene dal pianoforte del torinese Giachino, musicista in netta
ascesa nel panorama jazzistico italiano, che ha armonizzato con competenza le limpide
melodie e il poetico solismo di Aquino, a volte speziato da pizzichi di elettronica
da parte del medesimo leader. Tra i brani eseguiti, Scalinatella, Un giorno
dopo l'altro, Mastroianni di Sade Mangiaracina.
Bearzatti, la sera successiva, innanzi a un uditorio vasto per quanto possibile
date le restrizioni, ha portato il suo "Dear John", progetto nato nel
2017 dietro commissione del Teatro Metastasio di Prato,
insieme a Benjamin Moussay al piano Fender e a
Roberto Gatto
alla batteria. Introdotto e concluso dal suono africano di una kalimba, "Dear John"
ha il grande merito di non riproporre – tranne in un paio di brani, Dear Lord
e il bis After The Rain - le composizioni di Coltrane, ma invece consiste
in brani concepiti da Bearzatti in stile coltraniano, che richiamano le composizioni
del grande sassofonista ricordandone atmosfere, ritmi, armonie, a volte tratti tematici.
Un omaggio dunque altamente suggestivo, eseguito da un trio che rasenta la perfezione
assoluta: Bearzatti, che lasciato da parte per una sera il clarinetto, ha ricordato
di essere una delle più belle voci di sax tenore oggi esistenti al mondo; Moussay,
pianista francese in grande ascesa che fa parte del quartetto di Louis Sclavise ha inciso in solo, per l'Ecm, l'intimista «Promontoire», che al piano
elettrico ha mostrato una potenza notevole, sostenendo anche la parte del basso
grazie a una piccola tastiera aggiunta; e Gatto, come sempre a suo agio in ogni
contesto, che ha garantito una base ritmica efficacissima.