Open World Jazz Festival 11° Edizione - 2012 18, 19, 20 ottobre e 3,4 novembre 2012 - IVREA e comuni limitrofi.
di Gianni Montano foto di Paolo Dezutti, Davide Brus, Tanaus, G. Montano
18 ottobre 2012 Centro Congressi “La Serra” IVREA – Enten Eller Orkestra E(x)stinzione
Alberto Mandarini – tromba
Maurizio Brunod - chitarra
Giovanni Maier - contrabbasso
Massimo Barbiero – batteria
Special guest
Giancarlo Schiaffini: Trombone
Marcella Carboni: arpa
Carlo Actis Dato: sax tenore,baritono e clarinetto basso
Laura Conti: voce e recitativi
Gianni Virone; soprano sax
& Orchestra d’archi di “B. Bruni”di Cuneo
Foto e proiezioni di Luca d’Agostino
Testi: Franco Bergoglio
Ritorna, dopo 7 mesi, sul palco di
Ivrea “E(x)stinzione”, un progetto multimediale sostenuto da un'idea forte di riflessione
sul momento attuale di crisi delle industrie, ma non solo, di mancanza di punti
di riferimento valoriali, di difficoltà di autentica socializzazione all'interno
di un mondo sempre più uniformato. Rispetto alla rappresentazione della fine di
marzo si registra una ancor migliore coesione fra gruppo jazz e orchestra d'archi.
L'ensemble di Cuneo, infatti, procede con più decisione, in maniera più disinvolta
rispetto al concerto precedente. Il direttore Alberto Mandarini limita il numero
degli assoli e non li abbandona un attimo. E' sempre lì a spingere, a suggerire
un effetto, a comandare il gioco con una leggerezza apparente che maschera un'intenzione
precisa di ottenere un determinato suono complessivo e si sbatte per sentirlo scaturire
dai suoi musicisti. I quattro di Enten Eller rileggono la loro musica passando da
atmosfere di progressive rock a intermezzi free, da momenti melodici dolci e sospesi,
sottolineati dall'arpa o dalla chitarra a scorribande su tempi dispari aspri e selvaggi.
E' il loro target abituale che esprimono con convinzione e spirito sgombro da prevenzioni.
Giocano in casa, in tutti i sensi. Non vogliono autocelebrare il loro venticinquesimo
anno di attività. Semplicemente, anzi, vogliono aggiungere un capitolo importante
ad una storia coerente e sempre alla ricerca di un qualcosa di nuovo.
Actis Dato, Schiaffini e la “new entry”, Virone, funzionano egregiamente come sezione
anomala di fiati e si liberano, quando è il caso, in assoli significativi
e conseguenti. Laura Conti recita e canta lo scat all'unisono con i sassofoni e
il trombone, principalmente, da vera protagonista. E' padrona di tutte le sfumature
del copione e le fa venir fuori in un dialogo con l'orchestra che tende a mettere
in luce la poesia o la concettualità dei testi con il giusto pathos o con l'adeguato
distanziamento, ove occorra. Il pubblico, alla fine, applaude il coraggio di scelte
artistiche non facili, permeate da una speranza di fondo, piccola, ma presente.
Venerdì 19 ottobre 2012 ore 19,00 Concerto Aperitivo a Ivrea “Duology”: Claudio Fasoli - Luca Garlaschelli
Nel tardo pomeriggio al centro “Serra” Claudio Fasoli
e Luca Garlaschelli presentano il loro “Duology”, come dal titolo del cd
omonimo. Il sassofonista, prima di iniziare, afferma di aver avuto qualche
perplessità nell'entrare in un duo così congegnato per il rischio di non riuscire
a riempire gli spazi, lasciando dei vuoti, mancando uno strumento armonico come
il pianoforte o la chitarra. Alla prova dei fatti, invece, l'intesa fra i due si
rivela la carta vincente per questa scommessa. Il contrabbassista si posiziona
su una linea di scarna essenzialità servendo al partner un sostegno, un appoggio
sicuro e preciso. Su questo tappeto Fasoli può muoversi agevolmente dentro o fuori
la direzione tracciata, con una libertà volutamente vigilata e sotto controllo.
I dubbi sull'operazione vengono, così, subito risolti. E' un piacere, ad esempio,
ascoltare Jobim riletto senza cadere in una ripetizione di tante altre esecuzioni.
E “Dear old Stocholm” viene riverniciata con un calore inedito. I brani originali,
poi, sono freschi e ricchi di spunti, come “Una nuova primavera” o “Air”,
serviti con grazia ed energia allo stesso tempo. La complicità, la stima reciproca,
la voglia di suonare insieme sono il background palpabile di un duo che ha tanto
da raccontare.
BANCHETTE - ore 21.30 - "Sala E.Pinchia” Ralph Towner
La sera a Banchette, al teatro “Pinchia”
alle 21 e 30 entra in scena Ralph Towner. Malgrado le condizioni di salute
non perfette per una fastidiosa bronchite, il chitarrista americano offre
un saggio della sua sapienza di strumentista e delle sue preferenze stilistiche.
E' uno che è partito da “I sing the body electric” dei Weather report, con
quella intro prodotta dalla dodici corde rimasta impressa nella memoria di tutti.
Ha avuto grande successo, in seguito, con gli “Oregon” e ha collaborato con le stelle
dell'ecm, ma ha conservato l'umiltà dei grandi.
Il concerto si dipana fra brani
in cui si avverte un'aria country-pop di chiara origine controllata a cui si succedono
omaggi al repertorio di Mingus, per mezzo di una pensosa “Goodbye porkpie hat”,
o di Davis con una appena appena nervosa “Nardis”. Con “My foolish heart” Towner
si abbandona al romanticismo della ballad. Sa toccare climi ed espressioni diversi
con gusto, cultura e passione.
Il numeroso pubblico gli tributa
un'accoglienza degna e assolutamente meritata.
20 ottobre 2012 Samone- Ore18.30
Achille Succi - Stefania Guerra duo
A Samone si assiste all'esibizione di una coppia inedita su disco. La musica
di Achille Succi è severa senza essere austera o ostica. Procede per blocchi di
parti preordinate a cui si alternano improvvisazioni circoscritte, che è difficile
distinguere in un contesto così strutturato. Tutto è programmato a priori. Niente
è lasciato al caso. Il sassofonista usa i suoni doppi, i battimenti, le note irregolari
con una maestria tecnica riconosciuta in un ambito affatto musicale. Non si avverte,
cioè, l'idea di colmare degli intervalli, delle pause, di uscire, in un certo
modo, “dal seminato” ma tutto è, invece, riconducibile all'idea compositiva portante.
Dietro le ance, Stefania Guerra assume il ruolo di supporto ritmico mobile dialogando
con il partner, mantenendo alto il discorso o anticipandone le intuizioni attraverso
un lavoro con la tastiera di costruzione e di cesello di rara intensità. E' una
musica che richiede concentrazione sia a chi è sul palco che a chi la sente. Gli
spettatori si dimostrano ricettivi e partecipano al concerto lasciandosi coinvolgere
dal flusso magnetico che arriva a folate dai musicisti e dimostrano apprezzamento
per questa proposta avanzata e intelligente.
Alla sera, alla sala “Pinchia” di
Banchette, il presentatore Daniele Lucca annuncia :“la signora del jazz italiano”,
allorchè entra in scena Tiziana Ghiglioni. Non ci sono esitazioni, la cantante è
in un momento artistico estremamente favorevole. Crede molto in questo trio e lo
si percepisce chiaramente. Usa la voce come uno strumento fra gli altri in modo
paritario. E' un modo di dire abusato, ma rende l'idea di quanto succede sulla scena.
I “songs” di Alberto Tacchini non sono, infatti, vere e proprie canzoni. Si affacciano
dopo introduzioni ricche ritmicamente e armonicamente e si richiudono senza che
ci sia stato un vero cambiamento di atmosfera. E' una sequenza continua di una musica
aliena dalle concessioni. La melodia antiromantica traspare da un impianto piuttosto
definito aggiungendo qualcosa di determinante, certo, ma potrebbe avere senso
il tutto pure senza le parole.
La cantante, durante l'esibizione,
si avvicina al microfono, si allontana, si volta, ritorna in primo piano. Accenna
a qualche gesto contenuto e osserva i suoi musicisti con stima e partecipazione.
Alberto Tacchini è il centro motore del trio. Con il suo pianoforte costruisce un'impalcatura
granitica, dove gli altri due compagni di avventura possono entrare e uscire a piacimento,
ma in realtà rimangono all'interno di questa gabbia come prigionieri in una trappola
necessaria.
Emanuele Parrini, a sua volta,
usa il violino in modo classico, con l'archetto o il pizzicato, ma si produce anche
in azioni improprie svitando le chiavi del suo strumento o percuotendo la cassa
armonica. La sua intesa con il pianista è evidente. Hanno tutti e due lo stesso
modo di vivere la musica ad ampio raggio. Nei soli il violinista è complementare
alla tastiera o inserisce qualche invenzione personale di pregevole fattura
La Ghiglioni, svincolandosi dai “songs”, si produce, inoltre, in tre recitativi,
due di Nanni Balestrini e uno suo, in cui conferma la capacità di rendere al meglio
testi surreali e sarcastici con un'interpretazione attenta al senso e al non senso
delle parole pronunciate.
Alla fine è festa grande per un
trio che percorre con convinzione strade irte di difficolta, riuscendo a far arrivare,
comunque, la bellezza di una proposta profonda e lieve allo stesso tempo.
Sabato 3 novembre 2012
concerto/aperitivo - ore 18.30 Sala Santa Marta Ivrea MU Quartet
Davide Merlino: vibrafono
Dario Trapani: chitarra
Simone Prando: basso elettrico
Riccardo Chiaberta: batteria
concerto - ore 21.30 Teatro Giacosa Piazza Teatro 1 Ivrea ODWALLA e
Hamid Drake
The world percussion & dance
Massimo Barbiero: marimba, vibes, steel drum e percussions
Matteo Cigna: vibes, marimba, steel drum, dum dum
Stefano Bertoli: drums
Gabriele Luttino: percussions, steel drum
Alex Quagliotti: drums, steel drum
Doudù Kwateh: percussion
Doussu Tourrè: Djembè
Thomas Guei: Djembè
Laura Conti: vocal
Sabrina Olivieri: vocal
Marta Raviglia: vocal
Sellou Sordet: dance
Gerard Diby: dance
Lucien Koffi: dance
Willy Romuald: dance
Astride Géridan: dance
Special guest: Hamid Drake
dopo festival - ore 23.50 Sala Santa Marta Ivrea MU Quartet Davide Merlino: vibrafono
Dario Trapani: chitarra
Simone Prando: basso elettrico
Riccardo Chiaberta: batteria
Ad aprire la seconda tranche dell'"Open...festival" è il "Mu quartet", in
un luogo suggestivo come quello della chiesa di Santa Marta. Il quartetto propone
un jazz piuttosto ricercato con melodie felicemente costruite ed assoli ben incastonati
all'interno delle composizioni. Fanno riferimento al "Nu jazz", ma possono vantare
una cura artigianale e un approccio garbato nel porgere una musica non "di serie".
Il suono complessivo è determinato dal vibrafono riverberato di Davide Merlino,
evocativo e sospeso. La chitarra di Dario Trapani, da parte sua, è sofficemente
energica. Il basso essenziale di Simone Prando accompagna scovando poche
note, ma quelle giuste. Riccardo Chiaberta ha un gran daffare a comporre
e scompaginare ritmi con la sua batteria.
Un pubblico piuttosto numeroso dimostra di gradire il concerto e le prelibatezze
del territorio che, come ogni sera, vengono servite nelle vicinanze del palcoscenico.
Più tardi il teatro "Giacosa" è pieno in ogni ordine di posti quando entra in scena
"Odwalla". A poco più di un anno di distanza dall'ultimo concerto, il gruppo
si ripresenta con Hamid Drake come special guest e con il giovane Gabriele Luttino
in vece di Andrea Stracuzzi, indisponibile per la serata. Tutti gli altri
sono al loro posto.
L'esibizione segue l'andamento di un vero e proprio rito. I maestri di cerimonia
sono Massimo
Barbiero e
Matteo Cigna,
intercambiabili a vibrafono e marimba, che dettano i tempi, i toni e la successione
dei vari quadri del flusso musicale ed extra-musicale. Si sa che qualcosa deve accadere,
ma non si sa in quale momento preciso avverrà. Durante l'esibizione l'ensemble si
suddivide in gruppi più piccoli con dialoghi fra voce(i) e metallofoni, parti per
sole percussioni e momenti riservati all'estro di un solista. In sequenze stabilite
a priori, ma non definite esattamente nella tempistica, entrano in scena i danzatori
franco-africani. I movimenti sinuosi e plastici dei loro corpi, più che rappresentare
visivamente la musica, sono un tutt'uno con la performance. Non c'è stacco o separazione
fra canto, ritmo, armonia e figure coreografiche. "Odwalla" è un progetto completo
che racchiude i vari aspetti in cui si dispiega e non può essere compreso e apprezzato
se non nella sua complessità. Una complessità insita nell'elaborazione dell'idea,
nel collegamento fra i vari elementi artistici, ma agevole nella fruizione. E' sorprendente,
ad esempio, già l'inizio con "Il morso" per una sempre più convincente Marta
Raviglia, voce di un jazz contemporaneo colto con un retrogusto nella tradizione
popolare ripensata, a colloquio con la marimba di
Massimo Barbiero.
Ad Hamid Drake
è riservato, quando entra in scena, un intermezzo per la sua sola batteria, ma è
nel lavoro di costruzione collettiva di uno spesso tessuto ritmico che il musicista
afro-americano trova modo di esaltarsi. I percussionisti africani, da parte loro,
si impossessano della scena ad un certo punto. E' il pulsare del cuore tribale,
il ritorno alle origini della musica che trova una complicità straordinaria nel
pubblico, letteralmente rapito da questi elementi spettacolari.
Alla fine del concerto il successo viene decretato da lunghi e ripetuti applausi
più che meritati.
All'interno della biblioteca di Montalto Dora, in uno spazio invero piuttosto angusto,
è il turno del trio di Norbert Dalsass. Il bassista altoatesino soppesa,
distilla ogni nota del suo strumento, come una buona grappa fatta come si deve e
crea un clima particolare con i suoi pezzi, alla larga di discendenza " ECM", ma
proiettati in un contesto più domestico. Accanto a lui Enrico Terragnoli
con la chitarra elettrica e il podafono si mostra soavemente lirico, discorsivo
o, all'occorrenza, distorsivo e pungente con accenti rockeggianti. Sbibu,
seduto accanto ad una batteria "povera", sguarnita, crea una tensione, nascosta
o avvertibile, con tocchi misurati e sapienti. I suoi disegni ritmici nascono dall'ascolto
dei partners e si sviluppano per incastri successivi. Si assiste, in sintesi, ad
un set di una musica introspettiva, ma ruspante, senza intellettualismi, cioè, prodotta
con cultura e passione da un trio ben amalgamato.
Alla sera Roberto
Spadonicon una solida big band presenta un programma quasi interamente
su musiche di Monk riarrangiate con rispetto e cura per l'originale. La musica scorre
fluida con sezioni swinganti e intonate. Non ci sono, però, particolari innovazioni
in questa ripresa. Si percorrono, spesso, strade già battute da altri. Quando si
alza in piedi, però,
Fabrizio Bosso
e comincia i suoi assoli, tutto acquista una luce diversa. Il trombettista torinese
è, in questo periodo, particolarmente ispirato. La sua tromba si segnala per un
timbro aperto e ricco di groove. Nei suoi interventi il musicista piemontese dispiega
una tecnica di prim'ordine e incanta l'uditorio con un eloquio tanto incisivo quanto
spettacolare. Va a cercare note anche irregolari o effetti inconsueti con il suo
ottone e li inserisce in un fraseggio antico e moderno allo stesso tempo. Ogni solo
contiene qualcosa di sorprendente e di (ir)riconoscibile.
Gli altri solisti, anche per il confronto con il prestigioso ospite, appaiono solo
precisi e corretti. Meritano una menzione speciale, però, "il motore", come li chiama
il bandleader, di "Sphere": Stefano Colpi e Stefano Bertoli a basso e batteria,
attenti e capaci di trainare l'orchestra nelle esplorazioni del mondo monkiano.
In conclusione l'open festival ha regalato cinque giornate di jazz, danza, fotografia
e riflessioni sul sociale, con il convegno sul post industriale penalizzato, forse,
dallo scarso tempo a disposizione dei relatori, di sicuro interesse. Si sono potute
conoscere e apprezzare, inoltre, le eccellenze del territorio pure nell'ambito della
gastronomia.
In questa rassegna si sono incontrate, in sintesi, la riscoperta della tradizione
da un lato, la continuità nella ricerca in ambito musicale, la vetrina per gruppi
della zona e di altra provenienza geografica dall'altro, per offrire una panoramica
giocoforza parziale ma significativa di ambiti artistici confinanti e certamente
convergenti.