Venezia Jazz Festival
30 luglio – 2 Agosto
30LUGLIO ore 20 Campo de l'erbaria
Steve Grossman Two Tenors sax Quintet
Steve Grossman e Valerio Pontrandolfo, sax tenore;
Nico Menci, piano; Aldo Zunino, contrabbasso; Alessandro Minetto, batteria
Teatro la Fenice, Sale Apollinee, ore 16 e 30
Juracamora
Andrea Bressan, fagotto; Roberto Gema, chitarre;
Saverio Tasca, vibrafono ed elettronica; Carlo Canevali, batteria
Collezione Peggy Guggenheim, ore 22
Yamandu' Costa
31 Luglio, Teatro Fondamenta Nuove, ore 22
Canto di Ebano
Gabriele Mirabassi, clarinetto, Peo Alfonsi, chitarra;
Salvatore Majore, contrabbasso
1 Agosto, Teatro la Fenice, ore 21
Bobby Mcferrin, Stefano Bollani
Stefano Bollani, piano; Bobby McFerrin, voce
2 Agosto, campo de l'Erbaria, ore 19
Nicola Fazzini Quartet
Nicola Fazzini,sax contralto; Riccardo Chiarot,
chitarra, Andrea Lombardin, basso elettrico;Tommaso Cappellato, batteria
Isola di San Servolo, ore 22
Gege' Telesforo & Groovinators
Gege' Telesforo, voce, percussioni; Mia Cooper,
voce; Max Bottini, basso elettrico; Fabio Zeppetella, chitarra; Marcello
Surace, batteria; Alfonso Deidda, sax e tastiere.
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Veneto Jazz Summer
12 Giugno/17 settembre 2008
8 Luglio Padova, Arena Romana
Pat Martino quartet
Pat Martino,chitarra; Dave Ostrem, contrabbasso;
Rick Germanson, piano acustico ed elettrico; Scott Robinson, batteria
15 Luglio, Codroipo (Ud), Villa Manin
Gary Burton Quartet Revisited
Gary Burton, vibrafono; Pat Metheny, chitarre;
Steve Swallow, basso elettrico; Antonio Sanchez, batteria
17 Luglio Bassano del Grappa (Vi), Teatro Astra
Ivan Lins All Star Band
Ivan Lins, piano, voce, tamburi; Leonardo
Amuedo, chitarre; Nema Antunes, basso elettrico; Marco Brito, tastiere;
Marcelo Martins, sax; Teo Lima, batteria. Guest: Nnenna Freelon,voce
18 Luglio, Padova, Arena Romana
Herbie Hancock, The River of Possibilities Tour
Herbie Hancock, piano e melodica; Lionel Loweke,
chitarra; Dave Holland, basso elettrico e contrabbasso, Chris Potter, sax
tenore; Vinnie Colaiuta, batteria; Amy Keys e Sonya Kitchell, vocals
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di Giovanni Greto
Riferiamo quanto abbiamo visto, una piccola ma significativa parte dell'esteso
cartellone organizzato dall'Associazione Culturale Veneto jazz, che ha sede in provincia
di Treviso. Abbiamo notato come, in genere, i grandi nomi spesso deludano le aspettative
e come certi progetti probabilmente siano forme studiate a tavolino da manager e
produttori scaltri e navigati che cercano di spremere il nome consolidato, sicuri
che egli sia capace ancora di radunare un folto pubblico.
Uno tra i concerti più belli e, purtroppo - o per fortuna per chi preferisce
assistere ad un'esecuzione dal vivo in santa pace - poco premiato quanto ad affluenza
è stato quello del sempre impeccabile Pat Martino. Il chitarrista americano
continua a catturare l'attenzione grazie ad una tecnica invidiabile, tanto swing,
tanto buon gusto, assolo costruiti con intelligenza, senza voler strafare e lasciando
spazio ai propri partner, dimostrando inoltre di saperli scegliere bene. Il concerto
di Padova, in una cornice ambientale ideale, è stato goduto con rilassatezza, riuscendo
a cogliere se non tutte, molte sfumature. Ottimi dunque i giovani musicisti sia
nell'accompagnamento che negli assolo. Sempre generoso, il leader ha eseguito composizioni
originali e rivisitato con gusto e conferendo freschezza a brani che fanno parte
del vocabolario del jazz come, ad esempio, "Milestones",
e che a volte musicisti anche illustri eseguono in maniera troppo scolastica e priva
di groove.
Forse un ambiente meno dispersivo, anche se naturalmente di grande impatto
come l'immenso prato verde in cui è immersa la dimora estiva dell'ultimo doge veneziano,
sarebbe potuto essere più congeniale per ascoltare il morbido jazz del rivisitato
quartetto di Gary Burton che, rispetto all'originale della seconda metà degli
anni '70, ha visto sedere alla batteria il messicano
Antonio Sanchez al posto di Bob Moses. E' stato un concerto "nostalgico"
di musicisti che si stimano e a cui fa piacere, forse, pensare agli anni giovanili.
Nei molti brani swinganti, oltre ai lunghi assolo di Burton e Metheny, ci ha fatto
piacere ascoltare anche l'essenzialità del percorso e il timbro ricercato del basso
elettrico di
Steve Swallow, capace di sostenere e di stimolare l'improvvisazione
altrui. Entrambi in gran forma, Burton e Metheny si sono sfidati in
swing e virtuosismo, risultando entrambi vincitori. Metheny, purtroppo, ancora
una volta, oltre all'elettrica e all'acustica ha utilizzato anche la chitarra synth
e quella specie di ibrido medieval-celtico ricostruito, di cui, francamente non
riusciamo a capire il significato e l'utilità nel contesto dell'esecuzione. Oltre
a composizioni dei due solisti principali, il quartetto ha reso omaggio anche al
repertorio di
Carla Bley,
Chick Corea,
Keith
Jarrett e Antonio Carlos Jobim con la poetica "O grande amor'.
Il pubblico attento e generoso, è stato premiato dal gruppo con tre bis, forse già
previsti nella scaletta, e dunque ben preparati, che hanno concluso con gioia reciproca
un incontro iniziato 30 anni orsono.
In un'estate, almeno in Veneto, poco piovosa, il brutto tempo pomeridiano
ha fatto trasferire il concerto di Ivan Lins dal castello degli Ezzelini
al teatro Astra. Meglio così, forse, perché il samba a basso volume del compositore
e tastierista brasiliano, si sposa meglio con un ambiente interno non troppo spazioso
e privo di dispersività rispetto ad un luogo aperto, in cui è anche più laborioso
trovare il giusto equilibrio sonoro tra le voci e gli strumenti. Ivan Lins
è un compositore prolifico e molti suoi hit sono stati interpretati anche da altri
cantanti brasiliani, i quali a volte li hanno saputo rendere in maniera più convincente
rispetto all'autore. Un titolo per tutti, "Começar de novo",
presente anche nella fortunata avventura "The Brasil project" di
Toots
Thielemans (1992), e nell'accorata
versione della cantante bahiana Simone. La serata bassanese è filata via piacevole.
Lins, da navigato entertainer, anche se è apparso emozionato, ha interloquito
spesso con il pubblico, accattivandosene il plauso. Molto buono il gruppo, tra cui
è svettato alla batteria Teo Lima, veterano dello strumento, per anni nei gruppi
di Djavan, e che mantiene l'entusiasmo e l'energia dell'artista giovane.
Ispirati i solo di Marcelo Martins, presente spesso nei dischi e nei tour
di parecchi nomi di spicco brasiliani e nella formazione di uno stupendo doppio
dal vivo di Djavan del 2000. In qualche brano
– come "Dindi" di Jobim o la stessa "Começar
de novo" – ha fatto capolino la calda voce afro di
Nnenna
Freelon, in un felice duetto con quella esile del leader. Applausi,
richieste di bis e, come spesso magicamente succede, un settore brasiliano con bandiera
nazionale ha reso ancor più calda la serata.
Nonostante il richiamo di una formazione che aveva all'interno un quartetto,
sulla carta, strepitoso – il leader, Holland, Colaiuta e Potter
– il tour "River of possibilities" ci ha lasciato perplessi. Nel senso che
non sempre l'accostamento di nomi di grido è garanzia di risultati convincenti,
se mancano le idee di fondo. E spiace parlare così di Hancock, di cui consideriamo
dei capolavori i dischi a suo nome incisi per la Blue Note negli anni
'60. Il 68enne artista americano è parso, quanto
meno a Padova, prediligere un lavoro di entertainer, di imbonitore, piuttosto che
dimostrare il suo valore e cercare di sfruttare al meglio i musicisti messi assieme.
Comunque, a parte gli infelici siparietti con le due cantanti – la bianca Kitchell
e la nera Keys – il concerto ci ha permesso di vedere, dopo tanto tempo,
Dave Holland
esibirsi, sorridente, anche al basso elettrico, oltre a ritagliarsi un intenso,
lirico brano di solo contrabbasso.Vinnie Colaiuta è una forza della natura,
nonostante un appesantimento fisico, ed attira il plauso del pubblico giovane con
il suo funky jazz instancabile. Ottimo come sempre Chris Potter che, però,
ha dovuto faticare più del solito ad imporsi a causa del volume sonoro più alto
rispetto alla media delle situazioni jazz dal vivo. Interessante il chitarrista
del Benin Lionel Loueke, soprattutto nel lungo brano da solo, in cui si è
vista una ricerca di nuovi linguaggi e sonorità. Tra i pezzi ascoltati, segnaliamo
una chilometrica versione di "Cantaloupe Island",
sempre gradevole, anche se inavvicinabile, quanto a pathos, dolcezza e dinamica,
alla versione originale contenuta in "Empyrean isles" del
1964.
Nella speranza che la prima edizione del "Venezia jazz festival"
possa avere un seguito, magari con un miglior conforto per il pubblico nelle situazioni
all'aperto – quantomeno le solite scomode sedie pieghevoli sarebbero state doverose
in Campo de l'erbaria (non si può seguire un concerto sedendosi per terra se non
si vuol stare in piedi o esser costretto a consumare nei costosi bar che ampliavano,
ben felici, il loro plateatico) – il risultato si può considerare positivo. Sarebbe
infatti ormai tempo che una città così considerata culturalmente e artisticamente
come Venezia, possa ospitare un festival internazionale sulla falsariga di altre
piazze italiane conosciute ed apprezzate anche all'estero. Dei quattro concerti
denominati "concerti prima serata', senz'altro il più emozionante è stato quello
del chitarrista brasiliano Yamandù Costa, che personalmente abbiamo scoperto
vedendo il film "Brasileirinho" (2005) del regista
finlandese Mika Kaurismaki. Dotato di una tecnica strabiliante - mai però esibita
con finalità narcisistiche - ed uno spiccato senso del ritmo ed una fantasia improvvisativi
inesauribile, Yamandù ha suonato per 80 minuti, sudando per il caldo umido che contraddistingue
l'estate lagunare, ciò nonostante sempre rapido e sensibile nel correggere l'accordatura.
Nella decina di brani in scaletta abbiamo ascoltato non solo "chorinho", un genere
per il quale è principalmente conosciuto e ammirato, ma anche una versione originale
di "Sampa", un successo di
Caetano Veloso,
un omaggio personale a Bach in "Bachbaridade"
e "Adios Nonino", uno dei pezzi immancabili
per chi apprezza Astor Piazzola. Prima di Yamandù nel pomeriggio alle sale
Apollinee della Fenice – che per tre giorni hanno ospitato gruppi legati all'etichetta
Egea – aveva suscitato consensi la proposta del quartetto Juracamara, coguidato
dal vibrafonista di Bassano Saverio Tasca e dal chitarrista Roberto Gemo,
autori, ora l'uno ora l'altro, dei sei titoli ascoltati, composizioni ad ampio respiro
ed affascinanti come "Irelica" di Tasca, che
inserisce un ritmo africano su una base irlandese. Un progetto interessante, anche
perché il quartetto, al posto di un prevedibile contrabbasso, opta per un inusuale
fagotto, che arricchisce la musica di colori nuovi. Ci aspettavamo di più dal quintetto
dei due sax tenore. Pensavamo a brani originali composti per far risaltare le capacità
di ognuno dei solisti. Invece
Valerio
Pontrandolfo si è limitato ad assecondare il veterano hard-bopper
Steve
Grossman, nell'esecuzione di standard molto frequentati.
Estremamente lirico, il "concerto prima serata" del 31 al teatro Fondamenta
Nuove, sede della consolidata rassegna invernale e primaverile "Risonanze", impegnata
a portare alla luce quel tipo di improvvisazione che spesso non riesce a trovare
una giusta e meritata vetrina. Il clarinettista perugino ha eseguito parecchi brani
tratti dall'ultimo lavoro "canto di Ebano", affiancato come nel disco da due musicisti
sardi, Salvatore Majore al contrabbasso e Teo Alfonsi alla chitarra.
Mirabassi non ha voluto chiamare per questa serata il batterista svizzero
Alfred Kramer, perchè gli piace a volte sperimentare una situazione
più intima. L'artista, appassionato conoscitore ed amante della musica brasiliana,
ha interpretato sia pezzi propri, come "Chisciotte"
o "Struzzi cadenti", che di compositori poco
conosciuti come K-Ximbinho, Waldyr Azevedo, Octaviano Pianga, e il poetico chitarrista
Guinga. Applausi sudati per l'afa opprimente hanno ottenuto due bis, in un ambiente
elogiato dal leader perché ben si sposa con il genere musicale eseguito.
Ed eccoci allo "special event", come era scritto nella guida al festival,
ossia il doppio concerto al teatro la Fenice, tempio della lirica e della musica
classica. Più che un concerto, quello cui abbiamo assistito ci è parso una sorta
di teatro musicale, con parecchi episodi cabarettistici ad opera di due solisti
di indubbio valore, uno italiano, l'altro americano, unitisi in un'applauditissima
jam session finale. Per primo è salito sul palco
Stefano
Bollani. Ha iniziato con una lunga ed appassionata medley nella quale
ha inserito frammenti classici – ci è parso di riconoscere anche una citazione da
Eric Satie -, improvvisazioni jazzistiche di stampo jarrettiano, una languida ballad,
arricchita da stilemi blues. Il pubblico ha subito mostrato di gradire il materiale
ascoltato. Bollani ha proseguito con "Apanhete cavaquinho"
del brasiliano Ernesto Nazarè, brano spesso eseguito con la formazione tutta brasiliana,
con la quale il pianista sta promuovendo il disco "Carioca".
Il pezzo, un chorinho, è iniziato con una percussione sul legno della tastiera,
confermando come il pianoforte sia uno strumento melodico ma anche percussivo, ed
è proseguito con improvvisazioni libere, accentuate da colpi con i piedi sul pavimento
ligneo, quasi degli stacchi ritmici e allo stesso tempo epici. L'artista ha poi
eseguito "Frame by Frame", un pezzo dei King
Crimson e, prima di passare a "Retrato em branco e preto"
di Jobim, si è così rivolto alla platea: "Avete capito che questa serata ha un
tema, perché quando uno fa un concerto di piano solo di fatto potrebbe decidere
di suonare quello che gli pare. Invece mi sono dato un tema proprio per limitare
il campo. Il tema di questa sera è Canzoni di tutto il mondo'". Il pubblico,
divertito, è stato conquistato dall'artista, provando forse per lui quell'aspetto
che ne spiega il successo. Dopo un breve intervallo,
Bobby McFerrin ha dimostrato le sue originali doti vocali, mentre la
mano destra percuoteva il torace. Ha proposto pezzi scat con molte improvvisazioni,
alternati a blues cantati con parole e ad una delicata "Smile"
di Charlie Chaplin. Ha stimolato il pubblico a cimentarsi con lui e ha poi dato
vita ad un intermezzo di puro divertissement con tre spettatori invitati singolarmente
ad esibirsi con lui. Il dubbio che serpeggiava era se tutto fosse stato preparato
prima o no. Nell'atteso duetto finale i due hanno dato vita ad una versione di "Round
Midnight", sulla falsariga di quella concepita per i titoli di testa
dell'omonimo film. E ancora "I feel good" di
James Brown,
"Straight no Chaser", di Monk e la conclusiva,
scoppiettante "Spain" di
Chick Corea,
nella quale entrambi si sono presi in giro, immersi nell'allegria generale.
Il festival si è concluso sabato 2 agosto con due appuntamenti gratuiti.
Alle 19 in Erbaria per la serie denominata "Concerti aperitivo" si è distinto per
buon affiatamento e ispirazione dai maestri del passato come Coltrane e Rollins,
il quartetto dell'altosassofonista milanese, da tempo residente a Mogliano Veneto,
Nicola Fazzini.
Il musicista ha dato vita ad un lungo unico set nel quale ha eseguito composizioni
originali, in gran parte contenute nel primo CD a suo nome "Watch
your step" registrato dal vivo e pubblicato dalla etichetta mestrina
"Caligola Records". Un solo cambiamento rispetto alla formazione del disco: il bassista
elettrico Andrea Bombardini ha preso il posto del contrabbassista
Stefano Senni.
Un jazz moderno che si lascia ascoltare con piacere, con buone dinamiche e accenni
latini come in "Miss Understanding", una morbida
bossa nova.
Il concerto finale si tiene a San Servolo, un'isola della laguna tra il
Lido e Piazza San Marco, che è stata bonificata e recuperata puntando a diventare
un importante polo culturale. Non ci hanno convinto
Gegè Telesforo
e i suoi Groovinators. Il leader ha pressoché abbandonato le percussioni
– suonerà di tanto in tanto un tambourine e due shaker – per concentrarsi sullo
scat. Oltre allo scat, Gegè canta esclusivamente in inglese e, in un episodio, si
cimenta come "one man show", aiutandosi con dei delay per eseguire "Now's
the time", il noto standard di Charlie Parker. Ad affiancarlo
localmente la cantante soul Mia Cooper, nativa di New Orleans, approdata
nel sestetto da un anno abbondante. Tutti hanno suonato con professionalità, ma
una menzione speciale va al chitarrista Fabio Zeppetella, autore di pregevoli
assolo.
27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
18/08/2011 | Gent Jazz Festival - X edizione: Dieci candeline per il Gent Jazz Festival, la rassegna jazzistica che si tiene nel ridente borgo medievale a meno di 60Km da Bruxelles, in Belgio, nella sede rinnovata del Bijloke Music Centre. Michel Portal, Sonny Rollins, Al Foster, Dave Holland, Al Di Meola, B.B. King, Terence Blanchard, Chick Corea...Questa decima edizione conferma il Gent Jazz come festival che, pur muovendosi nel contesto del jazz americano ed internazionale, riesce a coglierne le molteplici sfaccettature, proponendo i migliori nomi presenti sulla scena. (Antonio Terzo) |
24/10/2006 | Stefano Bollani, Rita Marcotulli, Andy Sheppard, Bobo Stenson tra i protagonisti del Brugge Jazz 2006 (Thomas Van Der Aa e Nadia Guida) |
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Data pubblicazione: 26/10/2008
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