Bari in Jazz VII Edizione Bari, 28 giugno – 2 luglio 2011
di Alceste Ayroldi
foto di Carmine Picardi
Sembra incredibile a pensarci, ma sono già passati sette anni da quando Bari ha
cercato, mercè il pioniere Roberto Ottaviano, di istituzionalizzare
una consistente parentesi jazzistica all'interno delle proprie attività culturali,
a dire il vero non sempre attente al jazz ed alle sue derivazioni. Gutta cavat lapidem,
Roberto Ottaviano da eccellente esploratore e musicista di vaglia quale è,
ha condotto per mano l'Abusuan, associazione culturale organizzatrice del festival
(che riveste già da tempo per Bari, il ruolo di spartiacque tra le arti di bell'aspetto
e quelle finto culturali – nazional popolari) e tirato le redini delle amministrazioni
regionali, provinciali e comunali, per traghettare Bari verso l'universo jazzistico
meno esplorato. Tutto ciò tra mille difficoltà ed ostacoli che, a dire dello stesso
Ottaviano, si sono in buona misura materializzate proprio nella settima edizione
(la numerologia ci assiste, in questo caso). Non senza amarezza, il direttore artistico
ha sottolineato – anche nella presentazione del catalogo della rassegna – le "incongruenze
eventuali a tutto ciò che personalmente avrei voluto che fosse e ciò che invece
è nel destino del Jazz e della musica creativa dalle nostre parti…". Non solo, ma
rincalza la dose e, tra le righe, spiega meglio: "Anche quest'anno sognavo per Bari
e per la Puglia un omaggio ben diverso a Miles Davis. Un omaggio che potesse
far parlare della nostra capacità di realizzare idee di grande caratura che non
debbono necessariamente trovare solo spazio a Perugia o a Pori, a New York o Parigi".
Insomma, a dirla tutta per filo e per segno, Roberto Ottaviano sperava
in un maggiore impegno, anche economico, di tutte le istituzioni (anche sponsor?)
coinvolti nel festival. E dire che il 2011 è
anche l'anno che segna l'ingresso in campo della nuova realtà Puglia Sounds, costola
della Regione Puglia – Assessorato al Mediterraneo, nella persona di Silvia Godelli.
La prima realtà culturale – istituzionale dedicata interamente alla musica, nella
sua accezione più misconosciuta di verità imprenditoriale. Ad ogni buon conto, le
cinque giornate di Bari in Jazz hanno tratto la loro essenza nel tema "Miles Lives".
E' parso giusto tributare il "Dark Magus" a vent'anni dalla scomparsa (28 settembre 1991), per tutto quanto Miles ha significato
per la Musica contemporanea, fors'anche perché non v'è persona al mondo che, quantomeno,
non abbia sentito pronunciare il suo nome.
Una ridda di appuntamenti, in buona parte nel rispetto del tema, che – in verità
– hanno avuto inizio il 4 giugno con l'anteprima che ha visto il gruppo olandese
Boi Akih (Monica Akihary, voce; Niels Brouwer, chitarre e
Sandip Bhattachraya, tabla e percussioni) con Roberto Ottaviano
e Giorgio Vendola, nel progetto "Greencard" in collaborazione con
l'Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi.
L'overture del 28 giugno è toccata al quartetto di Gianni Lenoci
"Hocus Pocus". Impegno sempre non facile quello di dare l'avvio alle "danze",
soprattutto perché la location (Auditorium Vallisa) non è certo una piazza d'armi,
peraltro al chiuso, ed il caldo torrido e umido barese di quei giorni, non ha certo
agevolato l'attenzione ed il flusso di pubblico. Molti intervenuti, vista la mala
parata, hanno fatto retromarcia ed hanno preferito restare en plein air ad
ascoltare le note in sottofondo al brusio della strada. Il quartetto del pianista
monopolitano, invece, ha sfidato tutto: caldo, spazio ristretto e riflettori, gratificando
il pubblico con un concerto travolgente, dalle diverse dimensioni (caratteristica
del pianista monopolitano, e dei suoi sodali). Cinque i brani eseguiti, quattro
firmati da Gianni
Lenoci (Kretek, Contrabbasso Profundo, Reverse
e Olives) ed uno
(Spell) da Giacomo Mongelli, batterista del quartetto dalle ottime
capacità di scrittura, in perfetta sintonia con il dettato compositivo del leader.
Il combo è completato da Vittorio Gallo al sax soprano e tenore e
Pasquale Gadaleta al contrabbasso. I "giochi di prestigio" di Lenoci
& Co. viaggiano nelle articolate direzioni della musica contemporanea, impregnata
di quel jazz ai confini con la libertà espositiva degli anni Settanta e con i piedi
ben saldi nella cultura europea. Geometrie ricche di tensioni, quadrature eurocolte
sollevate dai tamburi molto africani di Mongelli e dalle cuciture armoniche dell'impeccabile
Gadaleta. Lenoci e il piano sono un tutt'uno, le dita si snodano sulla tastiera
creando sempre nuovi colori, folate disarmoniche che si uniscono ad ampi segmenti
melodici, sempre opportunamente ruvidi, mai melensi e che utilizzano linguaggi talvolta
extrajazzistici. Un linguaggio di non facile fruibilità, che però ha avvinto il
pubblico, attento e partecipe, che ha sottolineato anche ogni assolo di Vittorio
Gallo, giovane sassofonista dalle indubbie ottime doti e dal suono corposo
e tenace.
Il concerto clou della prima giornata era affidato a Tomasz Stanko
ed al suo Nordic Quintet, maestro del jazz polacco che, oramai da anni, è
di casa all'ECM. Location il glorioso Teatro Piccinni (privo d'aria condizionata),
anche questo, però, d'ambiente troppo caldo per la coda di giugno da temperature
quasi tropicali. Motivo (è una speranza del cronista) per cui il parterre del teatro
crea quasi imbarazzo per essere semideserto e formato, per lo più, da accreditati
a vario titolo. Eppure Stanko non è un habituè della Puglia ed il trombettista
polacco ripaga il pubblico presente con un concerto d'alto valore, ricco di sfumature
che mettono in evidenza il suo buon stato di grazia. Un vento bello fresco arriva
dai quattro compagni di viaggio di Stanko: due norvegesi, il pianista Alex Tuomarila
ed il batterista Olavi Louhivuori, e due danesi: il chitarrista
Jakob Bro ed il bassista Anders Christensen (da ascoltare il suo
lavoro in trio con Aaron Parks e Paul Motian, Dear Someone, edito
da Stunt Record, 2009), nerboruto quadrumvirato
che conferisce una carica progressive-dark alle dinamiche costruite dalla tromba
di Stanko. Il terzo impegno musicale della giornata conduce verso il parterre a
cielo aperto di Piazza del Ferrarese, per il concerto da "riempire la pancia" del
James Taylor Quartet, band acid-jazz in auge (come, d'altro canto,
l'intero movimento) negli anni Novanta e celebri, anche, per la loro rivisitazione
hammondistica di The Theme from Starsky & Hutch. Ne fuoriesce un sound bello
che impastato di suoni funky, tendenti al pop, che la piazza ha gradito, con buona
pace di tutti ed anche del filo rosso del festival.
Bari in Jazz, grazie ai buoni uffizi di Puglia Sounds, è stata anche l'occasione
per ospitare il consiglio direttivo dell'Europe Jazz Network, organismo internazionale
che riunisce settantotto organizzazioni musicali di ventiquattro Paesi europei e
che ha scelto il capoluogo barese quale sede per l'assemblea generale del
2012, preferendolo a Barcellona e Trondheim.
Un buon spazio è stato ritagliato anche per l'editoria, sempre in ambito "Miles",
con la presentazione di due libri (avvenuta il 29 giugno, presso la Sala Murat),
non certo di primo pelo, ma tra i migliori in circolazione: Bitches Brew
di Enrico Merlin e Veniero Rizzardi (Il Saggiatore,
2009)e Lo sciamano elettrico
di Gianfranco Salvatore (Nuovi Equilibri, 2007).
Nella stessa giornata presso la Vallisa, la proiezione delle belle immagini catturate
dal fotografo Gianni Cataldi, racchiuse nel tema " Da
Paolo Fresu
a Malcom X", un viaggio attraverso i festival pugliesi (peccato che non siano
stati presi in considerazione tutti, anche alcuni più datati e significativi), il
cui abbrivio è nella Primavera dei diritti, nei pestaggi dei "cops" americani inflitti
ai neri, nelle sempre verdi immagini di Malcom X, che trovano il giusto epilogo
nel progetto omonimo del Tinissima Quartet.
A ruota, sempre la Vallisa ospita il concerto del quartetto di Rino Arbore.
Il chitarrista barese, sempre più orientato verso sonorità nordeuropee ha presentato
il suo progetto Suggestions From Space, con il trombettista norvegese
Roy Nikolaisen, Giorgio Vendola al contrabbasso e Gianlivio
Liberti alla batteria. Una musica poligonale quella di Arbore, supportata
da una ritmica decisamente all'altezza con Liberti pronto a raccogliere ogni sfida
e proporre soluzioni sempre diverse, ben coadiuvato da Giorgio Vendola, che
sa dosare l'acceleratore a meraviglia. Il chitarrista barese ha il bordonale e dirige
con sicurezza anche gli assoli di Nikolaisen, dal linguaggio opportunamente forbito
ed evocativo, come nell'arrangiamento/tributo della milesdavisiana Solar.
Mauro Gargano Reunion feat. Bojan Z spostano il baricentro
verso il Teatro Piccinni per la prima della produzione speciale Do Do Boxe Suite,
mettendo l'accento sulla passionaccia di Miles per la boxe. Un vero e proprio incontro
di pugilato in musica, che si è dipanato in lunghi confronti solistici dell'eccellente
ensemble capitanato dal contrabbassista Mauro Gargano, affiancato da Ricardo
Itzquierdo al sax, Manu Codja alla chitarra, Remi Vignolò alla
batteria, oltre a Bojan Z. alle tastiere. Gargano si conferma un innovatore
ben capace di scrivere pagine musicali d'ampio valore.
D'altro tenore i due concerti " a cielo aperto" in Piazza del Ferrarese con il consistente
gruppo di Dario Skèpisi, con Daniele Scannapieco (sax),
Mirko
Signorile (pianoforte), Nando Di Modugno (chitarre),
Pierluigi
Balducci (basso elettrico), Fabio Accardi (batteria)
e Vito Giacovelli (percussioni) e, soprattutto, il post-serata con i Blues
Breakers Renewed, che hanno dato soddisfazione alla movida in transito sulla
piazza, particolarmente distratta da altri beni di prima necessità ed il cui intervento
musicale è apparso piuttosto fuori tema.
I giorni seguenti hanno visto in proscenio l'interessante progetto di Sylvester
Ostrowsky e Piotr Wojatasik Quintet, con la presenza del contrabbassista monopolitano
Francesco Angiulli (Teatro Piccinni), seguito dalla produzione speciale "Dark Magus Walkin'Out Of The Cool" dell'Apulian Orchestra con Ralph Alessi,
e poco prima, presso la Vallisa, Michele Giuliani & Reunion Platz. La piazza,
invece, ha assaporato l'esplosivo sound del poeta-musicista Anthony Joseph con la
Spasm Band.
Il primo luglio si muove tra libri (la fatica editoriale di Nicola Gaeta
dal lungo titolo "Una preghiera tra due bicchieri di gin. Il Jazz italiano si
racconta", pubblicata con Caratteri Mobili, casa editrice indipendente nata
nel 2010) ed il concerto più rappresentativo,
quello da teatro, che ha visto in scena il trio di Michael Blake con
Ben Allison al contrabbasso e Hamid Drake
alla batteria. In piazza, invece, ancora un concerto il cui trait d'union
con il tema ci sfugge, visto che si è esibito il gruppo Camillorè, che si
muove tra folk, rock e teatro canzone. Di seguito, invece, il bel progetto del sassofonista
salentino Raffaele
Casarano: Argento, che è anche su Cd e avrebbe meritato un'attenzione
maggiore. Ma in tal senso, ha giocato in disfavore un cielo plumbeo e minaccioso
e, al termine, piovoso.
La chiusura estiva di Bari in Jazz era affidata alla Cosmic Band di Gianluca Petrella,
ma la pioggia torrenziale ha costretto gli organizzatori ad annullare il concerto
conclusivo e, in precedenza, aveva determinato la sospensione del concerto di Raffaele Casarano.
Insomma, lassù qualcuno sembra non abbia amato Bari in Jazz.
Coda d'onore di Bari in Jazz sarà l'atteso concerto di
Wayne Shorter (quartet) il 13 ottobre prossimo, così per ancor più
degnamente ricordare il bel tema voluto dalla direzione artistica.