Multiculturita Summer Jazz Festival 2008
VI Edizione
Capurso, 21 - 24 luglio 2008
di Marco Losavio
foto di Nicola Taranto
Kekko Fornarelli, A French Man in
New York
Capurso, 21 luglio 2008
La sesta edizione del Multiculturita Summer Jazz Festival, a cura
dall'Associazione Multiculturita, con la direzione artistica di Michele Laricchia
e con il contributo della Regione Puglia, della Provincia di Bari e dell'Amministrazione
del Comune di Capurso si è aperta, come è consuetudine, con la presentazione di
un lavoro di un artista pugliese.
Questo anno l'overture è spettata a
Kekko Fornarelli,
talentuoso pianista barese che ha presentato il suo ultimo prodotto discografico
A French Man in New York, accompagnato da
Yuri Goloubev
al contrabbasso, Benjamin Henocq alla batteria e
Rosario Giuliani
all'alto sax ed al soprano.
Quasi due ore di concerto di particolare intensità che ha messo in luce
le essenziali dinamiche pianiste del leader, sempre misurate ed opportunamente energiche.
Il batterista Benjamin Henocq si è mostrato dotato di un linguaggio forbito
ed abile nel seguire le incursioni veementi di
Rosario Giuliani
che hanno letteralmente spellato le mani del pubblico presente. Il tumultuoso periodare
del sassofonista romano ben si è sposato con gli assoli pianistici vigorosi ed al
contempo levigati di Fornarelli e costruiti intorno al suono robusto di
Goloubev. Dopo l'esecuzione dell'intero album, bis con l'ellingtoniana
Caravan in un particolare e gradevole arrangiamento
su tempi dispari.
The Manhattan Transfer
Capurso, 22 luglio 2008
Seconda serata per il Multucultirita Jazz Festival che, come ogni
anno, riserva dei concerti sempre di gran pregio e sempre in esclusiva per la Puglia
(e non solo). Questa sera è il turno di un gruppo vocale che ha costruito la storia
moderna del genere. Sulla scia di un trio come Hendricks-Lambert-Ross,
nascono i
Manhattan Transfer che dominano da subito la scena del jazz vocale
offrendo arrangiamenti i quali esaltano le caratteristiche canore dei singoli ma
che pongono anche in rilievo una coralità di tipo orchestrale unica. La piazza è
molto piena, c'è vento, molto, e questo disturberà un po' la performance, ma l'energia
è anche tanta dato che i
Manhattan
Transfer non venivano in Puglia
dal 2003.
Fanno il loro ingresso sul palco i 4 vocalist
e dopo un intro sulle note blueseggianti di "Choo Choo"
il viaggio di questa crociera ha inizio con "A tisket,
a tasket" e qui si nota come i 4 "guys" sfoderano tutto il mestiere
che è in loro ottemperando alla "lentezza" scenica con una capacità di esecuzione
che si basa su un automatismo acquisito in tante "ore di volo"…una sorta
di "pilota automatico". Esaltante il solo eseguito da Janis Siegel
la quale imita in modo efficace il suono di una tromba con sordina. Lo spettacolo
non prevede pause pertanto è praticamente immediato il passaggio a "Route
66". Tema arcinoto su cui i Manhattan si muovono con eleganza supportati
da una band che suona quanto basta per far adagiare morbidamente il vero e proprio
tappeto sonoro delle 4 voci. "Java Jive" mostra
ancora agilità vocale ma una coreografia da "siparietto" che trasmette il
senso del tempo passato. E se avessero evitato di "ballare"? Se avessero solo cantato,
magari comodamente seduti su 4 sgabelli?
Cheryl Bentyne è lasciata sola nel cantare "Doodlin"
di Jon Hendricks. Su una batteria un po' eccessiva, la Bentyne accenna,
purtroppo per poco, a momenti di ottimo vocalese. I soli che la band esegue
sembrano tirati fuori da una soffitta…è una sensazione che si vive a livello globale
durante il concerto. Un recupero di tanti elementi che sembrano siano stati stipati
per tanto tempo. E' questo comunque un preludio ad una versione di "Air
Mail Special" dove il "marchio di fabbrica" emerge "tutto d'un fiato".
Le 4 voci mostrano scioltezza, eleganza e perfezione nell'arrangiamento di questo
fast, vero e proprio cavallo di battaglia.
All'improvviso, la corrente del contrabbasso salta ed allora, inizialmente
un po' spaesati, poi prontamente chiamati a raccolta da Tim, i 4 improvvisano un
brano a-cappella. Ed è quasi meglio ascoltarli senza band.
E' ora la volta di Alan Paul che canta da solo il brano "Dream".
Un po' stucchevole e, purtroppo, forse a causa del forte vento di questa sera,
Alan Paul ad un certo punto ha avuto una inaspettata flessione della voce
sicuramente non usuale per un artista del suo calibro. Altro brano in solo e questa
volta per la Bentyne che canta con energia un hit di Jamie Cullum.
Dopo questa breve escursione nel "moderno" è la volta di "Corner
Pocket" di Count Basie, grande cavallo di battaglia proprio del
trio Hendricks-Lambert-Ross. Su questi livelli i
Manhattan
Transfer non temono confronti però la band, onestamente, non si è mostrata
al loro livello nel supportarli con uno swing che di basiano aveva ben poco.
Peccato.
Ora si passa al divertimento puro, al godimento della musica. "Mahogany
Hall" di
Louis Armstrong li pone al pubblico energici, fluidi, precisi,
si divertono e trasmettono gioia per la musica. Su tutti, un po' di più, svetta
Janis Siegel, ancora con un effetto tromba ma soprattutto con una energia
che punta a coinvolgere.
Una
sorpresa, mai sentita dai
Manhattan
Transfer è Tutu di
Marcus Miller.
Forse ignari che il grande bassista sarebbe salito sullo stesso palco dopo due giorni,
questo tributo al Miles moderno affascina e risulta ben articolato. Janis
impersona la tromba con sordina di Miles (un po' allungata dalla tastiera)
ripetendone il solo, mentre Tim fa la parte del basso di
Marcus Miller.
Sono passati 21 anni da quell'incisione ma questa è musica che può essere colta
regalando un'emozione perché è e rimarrà sempre nell'aria.
Dal CD "Love Stories", Tim Hauser esegue in solitario il
brano "Misty Roses" di Milt Jackson.
Una voce calda, piacevole, una chitarra un po' "rumorosa".
Di nuovo Janis Siegel da sola con il brano "Make
it better" dall'album "A thousands of beautiful things". Un pezzo
eseguito accompagnata dal trio base, con un'armonia complessa. La band è sembrata
lievemente "costretta" nella partitura fornendo rigidità all'intera esecuzione così
come Janis Siegel è parsa troppo concentrata forse perché non riusciva ad
ascoltarsi adeguatamente.
Dall'album "Brazil", immancabile "Bahia"
con un bel finale di percussioni a cappella per introdurre l'hit mondiale "Soul
Food to go" sul quale si sono ascoltati anche vari cori da parte del
pubblico presente.
Siamo in chiusura e finalmente arriva quanto atteso per tutta la serata.
Lo spirito di Joe Zawinul che ci ha lasciato l'anno scorso dirompe nel Sagrato
della Reale Basilica di Capurso attraverso il suo "Birdland"
in quella che è può essere considerata l'esecuzione più storica (dopo l'originale
dei Weather Report, ovviamente). Questa musica si staglia nel ricordo di
uno Zawinul che ci guarda dal cielo e forse è presente nel vento di stasera
che durante questo brano aumenta impetuoso. La maestria di Jon Hendricks
nello scrivere un testo incredibile unita a questa magica musica, ne fanno sempre
un brano meraviglioso. E poco importa se la versione cantata stasera l'abbiamo sentita
cantare meglio in altre occasioni dagli stessi
Manhattan
Transfer ma questa è vera storia della musica e loro sono nella storia
avendo imposto al mondo un modo di cantare diventato prototipo per numerose altre
iniziative.
Un grazie quindi ai
Manhattan
Transfer per le emozioni regalate anche se bisogna dire che ad osservarli
viene fuori un po' di malinconia perché avendoli amati in momenti di estremo fulgore
artistico scappa il paragone con un oggi più misurato dove magari gli sforzi emergono
evidenti nonostante i buoni propositi di ognuno. Ed ecco quindi che spunta qualche
"sbavatura" vocale, qualche "rallentamento nei riflessi"…ma va bene, va sempre bene
se ti chiami
Manhattan
Transfer, giù il cappello e tutti in piedi ad applaudire.
Lino Patruno & Jazz Moment
Capurso, 23 luglio 2008
La
terza serata è stata caratterizzata dalla pioggia. Ma Giove Pluvio non ha fermato
e scoraggiato né lo staff né il grande banjoista
Lino Patruno.
Era tutto pronto. Anzi, La band era già sul palco allorquando è iniziata una sorta
di tempesta d'acqua. Il pubblico e gli artisti si sono recati nel chiostro della
Reale Basilica e…la Grazia
Divina ha aperto le porte della stessa Basilica consentendo alla
band di esibirsi, seppur in acustico, in un concerto che ha assunto un sapore molto
americano. Oltre 400 persone hanno gremito le navate per più di un'ora e mezza di
swing e di jazz tradizionale.
Lino Patruno
ha confermato – se ve ne fosse bisogno - di essere un grande intrattenitore ed un
profondo conoscitore della storia del jazz. Forse tra i più grandi. Il suo banjo
ha reso ancor più "dixie" l'entusiasta parterre capursese. E ciò anche grazie all'infaticabile
Giuseppe Bassi,
dotato di un timing eccellente e sempre pronto a corroborare i vibranti interventi
dei vari solisti.
Guido Di Leone ha sostenuto il tutto con una particolare eleganza
tematica, con tocco morbido e grande agilità.
Ottima la prova di Patty Lomuscio che ha dovuto cantare con il
microfono utilizzato per celebrare le Sacre funzioni. Un plauso va Muzio Petrella,
storico trombonista barese e padre di Gianluca che ha ben contrappuntato
Mino Lacirignola
nei suoi esplosivi sussulti.
Doppio bis e doppia esecuzione di When The Saints
go marching in. Il pubblico ha, sinceramente, apprezzato l'intervento
meteorico che ha regalato uno spaccato ed una lettura diversa del Jazz.
Il ringraziamento va al Rettore della Basilica che ha consentito che il
concerto fosse celebrato, rispettando il gran numero di spettatori e l'operato svolto
dagli organizzatori dell'intera rassegna.
Marcus Miller Band
Capurso, 22 luglio 2008
La quarta e ultima sera del Multiculturita Jazz Festival si preannuncia
a dir poco esplosiva. Per la prima volta in Puglia è di scena
Marcus Miller
con la sua band pronto a inondare delle sue note il Sagrato della Reale Basilica
di Capurso, già stracolma di fan. Accompagnato dal giovanissimo Alex Han
al sax, Fédérico Gonzales Pena alle tastiere e Jason "JT" Thomas alla
batteria,
Miller fa il suo ingresso sul palco e il pubblico lo acclama con
un boato. Marcus, imbracciato il suo fedele Fender 4 corde, disegnato appositamente
per lui, inizia lo show con "Blast!", dal suo
ultimo album "Marcus", un funk che rende subito l'idea di quanta energia
verrà prodotta stasera. I colpi del suo basso spostano l'aria fino al solo in cui
il noto slapping del bassista sciorina raddoppi e figurazioni terzinate davvero
irresistibili.
E sempre dal suo ultimo album, un omaggio a
Stevie Wonder con il brano "Higher Ground"
che ancora di più esalta quel suono secco, asciutto, che crea il vuoto d'aria e
ti riprende di rimbalzo.
La
piazza offre il suo silenzio doveroso nel momento in cui
Miller
evoca il primo dei due momenti dedicati al suo indelebile periodo con Miles.
E' "Jean-Pierre" con un inizio esoterico sovrastato
dalle evoluzioni pirotecniche di
Miller
il quale sfoggia tecnica e classe regalando sprazzi di una storia che ha pervaso
il trascorso di molti, compreso quello di chi scrive. Ascoltare questa musica ed
immaginare la sordina di Miles con lo sguardo di entrambi che si incrociano, è inevitabile.
Il brano prosegue crescendo sempre più fino ai four eseguiti da sax e basso.
L'atmosfera aumenta fino a rientrare nell'eco del tema preludio ad un pieno di tipo
orchestrale che riespone il tema con un unisono davvero emozionante.
Dopo un duetto tra batteria e basso
Miller
impugna il clarinetto basso, accompagnato dal Rhodes, per sgomitolare il tema sempre
più nitido di "When I Fall In Love". Giunto
all'apice dell'esposizione del tema,
Miller
lascia la scena al sax soprano di Han che su un ostinato delle tastiere propone
un solo davvero notevole sul quale il batterista JT rulla e contrappunta
i fraseggi di questo giovane talento davvero impressionante. Ma non è finita perché
Miller
brandisce nuovamente il fretless e regala altre note dense e ricche di melodia.
Un altro tributo "border line" questa volta dal songbook dei Beatles
con la famosissima "Come Together". Il pubblico
canta e, a tratti, balla. Ancora Han si produce in una progressione impressionante
al sax alto, una coraggiosa scalata verso l'impossibile aumentando l'intensità in
un modo che si può definire semplicemente sapiente e comunque intriso anche di tanta
giovane e fresca spregiudicatezza.
Miller
raccoglie la sfida e su un funk corroborante emette note che tessono, graffiano,
colpiscono, provocano il movimento ritmico dei presenti.
Il concerto sembra volgere al termine ma
Miller
non finisce di stupire il pubblico. Dopo la performance al clarinetto basso è la
volta della sua…voce. Canta
Miller,
e che voce! Da dove l'abbia presa non si sa ma ha un caldo soul nell'anima che viene
emesso in modo così naturale da ricordare i migliori soul singers.
Il pubblico richiama il bis e
Miller
chiede cosa vuole che si suoni. Fioccano nomi di molti brani ma uno su tutti emerge.
E' "Tutu", ancora, in questa piazza. Dopo l'omaggio
dei
Manhattan Transfer arriva lui, l'autore, ad eseguire il secondo tributo
al suo Mentore e…niente…cosa si può dire su un brano suonato in questo modo, da
chi lo ha composto e reso al tempo stesso celebre? Un marchio, una pura emozione.
Al termine del concerto
Miller
è attorniato da un gran numero di fan, si mostra estremamente disponibile firmando
autografi su cd, magliette, cappellini, bassi. La serata è stata lunga e molto impegnativa
ma ecco che nel silenzio della notte, mentre si smonta il palco, dal chiostro della
Reale Basilica giunge il suono di un clarinetto amplificato in modo naturale dalle
mura sacre. E' ancora lui, è
Marcus,
appoggiato nel buio ad una delle colonne del chiostro, che suona da solo effettuando
a modo suo una fase di defaticamento che lascia attoniti e affascinati al tempo
stesso.
Miller si nutre di musica e vedere queste scene ti riconcilia proprio
con la musica, spesso oggetto di mercato, dimentichi tutto e non vuoi altro che
questa purezza di animo artistico.
Grazie
Miller
e grazie al Multiculturita, a tutto lo staff coordinato dal direttore artistico
Michele Laricchia infaticabile deus ex macchina di questa importante manifestazione
pugliese.
27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
15/08/2010 | Südtirol Jazz Festival Altoadige: "Il festival altoatesino prosegue nella sua tendenza all'ampliamento territoriale e quest'anno, oltre al capoluogo Bolzano, ha portato le note del jazz in rifugi e cantine, nelle banche, a Bressanone, Brunico, Merano e in Val Venosta. Uno dei maggiori pregi di questa mastodontica iniziativa, che coinvolge in dieci intense giornate centinaia di artisti, è quello, importantissimo, di far conoscere in Italia nuovi talenti europei. La posizione di frontiera e il bilinguismo rendono l'Altoadige il luogo ideale per svolgere questo fondamentale servizio..." (Vincenzo Fugaldi) |
27/06/2010 | Presentazione del libro di Adriano Mazzoletti "Il Jazz in Italia vol. 2: dallo swing agli anni sessanta": "...due tomi di circa 2500 pagine, 2000 nomi citati e circa 300 pagine di discografia, un'autentica Bibbia del jazz. Gli amanti del jazz come Adriano Mazzoletti sono più unici che rari nel nostro panorama musicale. Un artista, anche più che giornalista, dedito per tutta la sua vita a collezionare, archiviare, studiare, accumulare una quantità impressionante di produzioni musicali, documenti, testimonianze, aneddoti sul jazz italiano dal momento in cui le blue notes hanno cominciato a diffondersi nella penisola al tramonto della seconda guerra mondiale" (F. Ciccarelli e A. Valiante) |
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Data pubblicazione: 14/08/2008
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