Intervista a
Carlo Atti
2 marzo 2006 -
Ueffilo Jazz Club, Gioia del Colle (BA)
di Alceste Ayroldi e Marco Losavio
All'interno del
Ueffilo,
quattrocentesco Jazz Club pugliese, pochi minuti prima dell'inizio del concerto
insieme a
Ettore Carucci,
Giuseppe Bassi
e Marcello
Nisi, incontriamo Carlo Atti,
classe 1968, di Molinella, in provincia di Bologna...
Gianni Basso è stato
uno dei primi ad incoraggiarmi a suonare. Il primo musicista jazz che ho ascoltato
è stato
Massimo Urbani. Avevo 11 anni e lo ascoltai su Rai3,
1987.
Quindi
Massimo Urbani
ti ha ispirato?
Sicuramente, e con lui Larry Nocella, Sal Nistico,
Steve
Grossman. Sono stato molto a contatto con loro. Era un periodo che sembrava
che il jazz fosse nell'aria, si sentiva. Andavo ad ascoltarli a Roma, Milano, anche
perché all'epoca la benzina non costava così tanto come ora. All'epoca la mecca
del jazz era Milano, adesso è Roma.
Come mai hai iniziato a suonare il sassofono?
In verità ho iniziato a
suonare il flauto. Poi mi sono appassionato al sassofono. Suonavo nella banda del
mio paese ed un musicista me lo fece provare.
Chi ti ha ispirato particolarmente?
Sonny Rollins,
senza dubbio. Mi piace Coltrane, anche Coleman Hawkins, ma chi mi
da le emozioni più forti è
Sonny Rollins.
Certo che anche Sal Nistico, Larry Nocella e
Steve
Grossman hanno influito particolarmente sulla mia formazione. Loro hanno
lo swing ed hanno personalità. Hanno talento, vero. Sono musicisti sei ma la contempo
simpatici.
Ti sai riconoscere?
Si. Mi è capitato l'altro giorno durante una registrazione. Riesco a riconoscermi,
purtroppo…
Il sax che utilizzi è il tuo
primo sax?
E' l'ultimo. Ne ho cambiati diversi.
Cosa
cerchi nello strumento che utilizzi?
La semplicità, la naturalezza. Cerco la "mia" voce. Non voglio elaborazioni. L'importante
è che non ci sia del piombo nello strumento… Ultimamente, anche con marche pregiate,
succede che ci siano materiali diciamo "pesanti".
Se tu dovessi prendere il sax
adesso, cosa suoneresti?
Slow boat to china. Perchè è una melodia senza tempo.
Potresti iniziare con questa
stasera…
Si potrebbe anche fare. Magari tra una mezz'oretta (dopo la digestione) perché va
fatta molto veloce.
Molti musicisti hanno espresso
lodi sperticate nei tuoi confronti: sei consapevole di questo?
No. A me piace suonare, mi piace il ritmo, lo swing. Mi piace molto lo stile americano.
Questo da al sound maggiore energia, forse. C'è molta gente più brava di me.
Un nome?
Tecnicamente ce ne sono tanti. New York è foriera di talenti, per esempio. Bisogna,
ogni tanto respirare l'aria di New York. Lì conta quello che sei: o suoni dixieland
o bop è lo stesso. L'importante è ciò che sei.
Ma sono pochi quelli che emergono…
In America ti può capitare di incontrare
Rollins
al semaforo. Sai che mangia come tutti gli altri. Vi è un numero di talenti sicuramente
maggiore rispetto ad altre parti del mondo.
Secondo te che differenza c'è
tra l'Europa e l'Italia?
E' l'emisfero che è diverso. La prima cosa che è importante per gli americani è
il suono ed il ritmo, poi c'è l'armonia. E' un approccio molto più fisico quello
degli americani. In Europa viene prima l'armonia. Negli States l'Africa è molto
più radicata. Chi vive la musica in America tende a somatizzare tale principio.
Ho visto giapponesi che vivendo lì da oltre 10 anni, si comportano come gli afroamericani,
musicalmente parlando. E' il ritmo delle città che ti porta ad un diverso comportamento,
anche a camminare in modo differente.
Secondo te chi è un "grande"
sottovalutato?
Roland Kirk, sicuramente. Anche se ce ne sono molti.
Con chi ti piacerebbe suonare?
C'era Barry Harris al Village Vanguard, sono andato a trovarlo e mi ha messo
al centro del palco ed ho suonato con il suo trio. Certo, mi piacerebbe suonare
ancora con il suo trio. E' stata un'emozione molto forte. La stessa cosa mi è capitata
con Tom Harrel a Vico Equense. Giovanni Amato non poteva suonare ed
ho avuto l'occasione di suonare con lui. Ero talmente contento che poi non sono
riuscito a dormire. Esperienze uniche.
Forse dovrebbero tutti farsi
un mese l'anno a New York…
Si, dovrebbero andare ad Harlem ad ascoltare i musicisti che fanno le jam costantemente,
con vera gioia. E' un esperienza da fare, sicuramente. Bisogna avere l'umiltà di
mettersi in gioco, cosa che non sempre accade.
Sei mai stato tentato di cambiare
genere musicale?
No. La musica rock non mi piace, l'ho ascoltata da giovane. Così come il pop. Non
sono mai stato tentato di fare qualcosa di diverso rispetto al jazz.
Cosa
prevede la tua agenda?
Non ho molte previsioni legate alla mia carriera. Voglio solo migliorare me stesso,
la mia tecnica ed approfondire le mie conoscenze non solo in campo musicale. Se
fossi teso a pensare solo alla mia carriera, cadrei sicuramente in depressione.
Sicuramente c'è il gruppo con cui sto suonando abitualmente che sta riscuotendo
molto successo, con Emanuele Basentini, chitarrista dalle incredibili doti.
Tutto il resto? Vediamo un po', se capiterà "qualcosa di buono", ben venga. Altrimenti
andrò comunque avanti.
La prima volta che ti
ho ascoltato è stato al Gregory's…. C'era una jam session e c'era Emanuele Basentini…
E' l'unico posto dove c'è un'atmosfera newyorchese, dove tutti i musicisti si ritrovano
a suonare. Li sono cresciuti molti musicisti ed è riuscito a farci crescere tutti.
C'è il jazz nell'aria alla stregua dello Smalls.
Quindi, club o teatro?
E' diverso, ma è la stessa cosa. Il jazz è il jazz!
Fai una dedica...
A Larry Nocella, una persona eccezionale. Piangevo quando lui suonava....
Passiamo alle note suonate,
al caldo e corposo suono del tenore di Carlo, che ha aleggiato per quasi due ore
nella sala del Ueffilo...
Invia un commento
© 2000 - 2024 Tutto il materiale pubblicato su Jazzitalia è di esclusiva proprietà dell'autore ed è coperto da Copyright internazionale, pertanto non è consentito alcun utilizzo che non sia preventivamente concordato con chi ne detiene i diritti.
|
Questa pagina è stata visitata 19.219 volte
Data pubblicazione: 25/05/2006
|
|