Intervista a Eddy Palermo
28 aprile 2005 - Ueffilo
- Cantina a Sud - Gioia del Colle (BA)
di Francesco Genco
foto di
Marco Losavio
Siamo al
Ueffilo,
nuovo ma già affermato jazz club in Puglia, e precisamente a Gioia del Colle (Ba).
Il locale, unico nel suo genere, ricavato dalle intatte strutture di antiche cantine
e stalle risalenti al 1400 ed adiacenti al famoso castello Normanno-Svevo, costituisce
altresì un punto di riferimento per eventi culturali e degustazioni eno-gastronomiche
legate ad importanti circuiti nazionali ed internazionali. L'occasione per l'intervista,
volentieri accolta dal grande musicista e chitarrista jazz
Eddy (nome di battesimo Edoardo)
Palermo, l'abbiamo colta
verso le 20.00 di giovedì 28 aprile 2005, una (speravamo) abbondante mezz'ora prima
del sound check in vista del concerto serale col trio, formato insieme all'eclettico
e straordinario
Vito Di Modugno all'organo (suona alla perfezione anche basso
e pianoforte), ed al giovane e valente batterista e percussionista Alessandro
Napolitano, entrambi pugliesi, ed apprezzati musicisti in ambito nazionale.
Nato a Roma il 10 giugno 1956
ha cominciato da autodidatta ed è considerato uno dei più importanti riferimenti
per la chitarra jazz in Italia. Il M° Lo Cascio, direttore d'orchestra ed
autorevole jazzista della Sicilia Jazz Big Band, a margine di un concerto di Eddy
nel 2003 a Palermo con l'artista brasiliana
Rocha Themis, ha detto testualmente "Se Oscar Peterson avesse suonato
la chitarra, l'avrebbe suonata come lui". Il chitarrista
Toninho
Horta, uno dei più grandi musicisti di brazilian-jazz al mondo da almeno
20 anni, gli ha rivolto di recente e pubblicamente entusiastici apprezzamenti sulle
sue qualità tecnico-strumentali, professionali ed umane (quando glielo ricordo Eddy
un po' si schermisce con un gesto della mano, ma poi gli sfugge
un
sorrisino di sincero compiacimento..).
Antonio Onorato,
artista napoletano tra i più affermati delle nuove generazioni di chitarristi, e
tra i suoi numerosi allievi in passato, buon "amico" e "frequente ospite" del Ueffilo,
recentemente mi ha riferito che lo considera uno dei migliori chitarristi "jazz"
al…mondo.
F.G.:
Come ti sei avvicinato alla musica, al jazz, alla chitarra? Sappiamo che l'hai imbracciata
a 10 anni, quali musicisti ci sono stati come punto di riferimento?
E.P.: In casa mia sì è
sempre ascoltata musica, addirittura mia nonna paterna suonava il pianoforte, cantava
musica lirica; mio padre ha sempre ascoltato musica, in particolare musica jazz,
e, dagli anni '60, musica brasiliana, bossa
nova.
F.G.:
C'è stato quindi un imprinting particolare?
E.P.: Sì, sono cresciuto
con quel clima, anche se diciamo l'approccio alla musica non è avvenuto direttamente
col jazz, però, ecco, nell'orecchio ho avuto sempre questi suoni. Quelli più particolari
ricordo scaturivano da Erroll Garner, Oscar Peterson (l'album The
Way I Really Play Vol.1-2-3 è tra quello che si porterebbe su un'isola deserta…-ndr).
Addirittura mio padre mi raccontava che da piccolo, già all'età di 2-3 anni (ride)
riconoscevo i pezzi di Duke.., io chiaramente non lo ricordo. Sono cresciuto anche
coi suoni di Tom Jobim, J.Gilberto, e poi, ti parlo sempre verso i
10/12 quando già suonavo più regolarmente, mi avvicinavo alla beat generation (Beatles,
Rolling Stones) e al rythm&blues. Ho cominciato a scoprire i chitarristi verso i
13-14.
F.G.:
Ricordi di essere rimasto folgorato, così come è capitato a molti musicisti da un
assolo, un timbro sonoro, da un sound particolare, un qualcuno/qualcosa che ti ha
dato quell'impronta, quel marchio, cosa che è successa ad es. a
Jim Hall–
ce lo riferiva in un workshop e lo ha ripetuto in altre occasioni ed interviste-
all'ascolto dell'assolo di C.Christian in Grand Slam, e quindi da uno o più
pattern, o spunti melodici dai quali poi molte cose sono progressivamente partite?
E.P.: Mah! Secondo me in
quei casi si parla già di "persone" cresciute con un clima e in un contesto storico
o ambiente in cui quello a cui ti riferisci fa', come dire, parte organicamente
già di un certo tipo di cultura sociale e musicale, mentre per me è stato un avvicinarmi
a quei suoni, così, piano piano. I chitarristi li ho conosciuti dopo, cominciando
appunto verso i 13-14 anni con W.Montgomery e D.Reinhardt (…intanto,
come per magia al nome di Montgomery si comincia a sentire dal palco posto a 15
m. di distanza il suono dell'organo di
Vito Di Modugno
già in fase di soundcheck, a basso volume, che inconsapevolmente richiama i trio
ensemble a cui sta per riferirsi Eddy.. ndr). Ciò avveniva negli anni
68/70,
prendendo spunti dall'ascolto dei dischi di Wes Montgomery
che
amici di mio padre gli prestavano, sapendo che avevo precoce predisposizione verso
la chitarra, pur essendo lui amante di trombettisti e pianisti. I primi dischi di
Wes che mi è capitato di ascoltare e che mi hanno aperto una visione del mondo chitarristico
nel jazz (l'altra la dico dopo ma è immaginabile…) sono stati peraltro proprio quelli
del suo periodo finale, definito più "commerciale" ed oggetto di negativa accoglienza
da parte della critica, parliamo dei due album Verve con
Jimmy
Smith del '66, "Tequila"
in quintetto più sez. archi, e "California
Dreaming" fino a "A
Day In The Life" ('67)
(primo per oltre 30 settimane nelle classifiche di vendita di Billboard ndr). Poi
mi sembra "Down Here On The Ground"
dei primi del '68, mentre qualche tempo dopo
(un mese prima della morte ndr) Road Song. Certo
dopo ho anche ascoltato bene, sempre in giovane età, il suo repertorio precedente
registrato dal vivo all'Half Note Club a metà degli anni
'60 (quello di "Smokin' …", in cui c'è l'assolo memorabile
di If you could… e
Four On Six), come anche il capolavoro di
Round About Midnight in trio con organo e batteria.
Il passaggio successivo fu l'ascolto dei primi lavori di un artista che mi ha poi
lasciato un segno profondo, sempre nella via della modernità aperta da Wes: cioè
George Benson. Chiamiamoli insomma primissimi anni formativi. Certo riguardo
sia a Django che a Wes i naturali tentativi di assimilarne la lezione davano come
frutto una importante consapevolezza: entrambi, per dire, erano artisti spontanei,
avevano sonorità non imitabili, al di là per es. in Django del desiderio di rinforzare
lo strumento, di ottenere un effetto di potenza sonora, quasi in modo brutale..,
ed in Wes di quello di cambiare registri, quasi come un organista verso un bluesy
essenziale, cominciando a fraseggiare a single-note, e passando poi a disegnare
intense linee ad ottave per terminare con sequenze a blocchi di accordi che ricordano
il lavoro dei pianisti.
F.G.:
Proviamo a ripercorrere sinteticamente le prime tappe importanti attraverso le quali
si è consolidata la tua esperienza professionale?
E.P.: Volentieri, ci proviamo.
Le date cronologiche magari non saranno tanto precise, ma ricordo che a partire
del '79 entrai a far parte del primo "Centro
Jazz St.Louis" come insegnante di chitarra jazz, e da quel momento iniziò la
mia attività di professionista nei club della capitale accanto ad alcuni dei jazzisti
più in vista, cominciando anche con le performances "solo guitar" come quella di
Ischia '80. Nell'81
ho inciso il mio primo album "The
Way I See".
Fu
in quel periodo che ancora da giovane feci qualche collaborazione concertistica
con musicisti d'oltre oceano come
Chet Baker
e Billy Smith. Altre cose importanti successive sono state le partecipazioni
ad Umbria Jazz con mie formazioni in trio sia nell'82
(anno di incisione di "Ganimede"
e della partecipazione con Romano Mussolini al Festival Internazionale di
Jazz ad Istanbul), sia nell'84 con l'aggiunta
del percussionista Ray Mantilla. Prima della nuova partecipazione ad Umbria
Jazz, mi sembra nell'85, con Nunzio Rotondo
ed incisione del 3° LP "Jazz Fusion
Mood", se torniamo un momento indietro, nell'83
si verifica la seconda collaborazione molto importante per me con
Jim Hall
– la prima era stata nell'81 –.
Nell'87, vi sono state collaborazioni
con il sassofonista George Garzone ed il trombettista Jimmy Owens.
Ma l'incontro più significativo è quello dell'88
con Joe Pass che mi chiamò a suonare nel corso di alcuni concerti al Saint
Louis a Roma. Poi, ricordo, per qualche anno fino ai primi
'90 ho insegnato all'Università
della Musica, sempre a Roma. Nel '92
ho inciso il 4° CD "The song is
you". Siamo già a metà anni '90,
partecipai 2 volte alla nota rassegna Jazz Image la seconda volta suonando
col talentuoso Bucky Pizzarelli. C'è stata nel frattempo anche qualche collaborazione
in Rai, con Augusto Martelli e nelle trasmissioni condotte da Antonio
Lubrano. Verso la fine degli anni '90, parliamo
di 7/8 anni fa, si è aggiunto l'altro CD "Eddy
Palermo trio" (con Francesco Puglisi e Giampaolo Ascolese
ndr) e dal '98 fino al
2000 la mia attività si è decisamente allargata in Brasile, dove ho
vissuto per un bel po', facendo una serie di concerti per solo guitar e avendo avuto
l'occasione di collaborare con musicisti affermati come Sizao Machado,
Josè Roberto Bertrami (Azimut), Mauricio Einhor (quello del famoso brano
Batida diferente, suonato perfino da Cannonball Adderley). Nel
2000 ho inciso in Brasile il CD "Meu
Brasil Brasileiro".
F.G.:
E' vero che hanno inserito il tuo nome in una importante enciclopedia, in Italia?
E.P.:
Sì, è vero, ne sono lusingato, il mio nome figura all'interno della grande
Enciclopedia del Jazz Ed.Curcio, 1982
F.G.:
Dopo questo brevissimo salto indietro, ripassiamo quindi all'attuale terzo millennio…(ride..ndr)
Anzi no, facciamo così, se sei d'accordo.
E.P.: Vai,dimmi pure
F.G.:
Quali impressioni ti vengono in mente se ti ridico qualche nome di quelli che hai
prima citato: Joe Pass
E.P.: Beh, Joe è un
grande maestro, per me è stato uno dei più grandi, e per me uno dei più grandi riferimenti.
Faccio una premessa: Joe l'ho sentito la prima volta alla radio, avevo 18 anni,
per cui fino ad allora avevo scoperto, come ti dicevo, solo Reinhardt,
Montgomery e G.Benson, in quegli anni, primi
'70...Ma
con Joe Pass mi si è aperto un mondo, in quanto lui già dagli anni
'60 era più legato degli altri alla lezione
del bop, al punto da diventare il chitarrista forse più rappresentativo del moderno
mainstream; e poi la sua modernità armonica, la calda sonorità riportate in quella
nuova scoperta che per me era e continua ad essere il guitar solo. In definitiva
con lui ho riscoperto la dimensione di Oscar Peterson riportata sulla chitarra.
F.G.:
Sei stato "ospitato" da Joe Pass in un certo senso vero?
E.P.: Si, nell'88,
come dicevo prima, quando venne a Roma al Saint Louis (che in quegli anni era un
jazz club), dove ho insegnato e dove insegno tuttora.
F.G.:
E Jim Hall
?
E.P.: Riguardo a
Jim Hall
ecco, mi riesce difficile valutarne la portata come specifica influenza sul mio
stile; il suo è uno stile a cui faccio forse meno riferimento. Il mio istinto musicale,
la mia vena la sento più vicina a personaggi come appunto Joe Pass, a cui
aggiungerei anche Pat Martino oltre che G.Benson;
Jim Hall
era (ed è) l'esatto opposto, per mia fortuna. Perché, diciamo, mi ha creato un po'
di senso di equilibrio, mi ha fornito un po' di quelle "cose" che comunque fanno
parte della musica, e alle quali forse io non avevo riservato la dovuta attenzione,
o fatto caso. Mi ha compensato con più razionalità nel mio approccio magari più
istintivo ai fraseggi d'improvvisazione.
F.G.:
Tu rappresenti un consolidato punto di riferimento nel panorama della scuola del
jazz italiano ed in particolare nelle scuole di jazz a Roma, hai avuto anche in
passato giovani allievi talmente promettenti che poi sono diventati gli
Antonio Onorato,
Michele Ariodante,
Rocco Zifarelli,
Aldo Vigorito
e diversi altri bravi. Puoi parlarci della tua attività didattica e come questa
influenzi o arricchisca la tua attività professionale di musicista?
E.P.:
Il mio percorso didattico, come si è capito, è stato differente da quello
di un giovane che si forma adesso e che poi diventa un professionista. Quando io
ho cominciato ad insegnare a Roma eravamo davvero pochini, e credo anche nel resto
d'Italia. All'inizio eravamo, ricordo, oltre a me, Umberto Fiorentino,
Maurizio Lazzaro e Fabio Mariani, leggermente più giovani di me, e si
adoperava una didattica molto più improvvisata, spontanea, non c'erano programmi
ben precisi: ce la siamo inventati la didattica. Nonostante ciò mi ricordo che son
venuti fuori musicisti divenuti poi davvero bravi, faccio un nome, Battista Lena,
ma ce sono di altri.
Vorrei
soffermarmi su una riflessione. Ho cercato nel tempo certamente di adeguarmi, di
dare un senso ai miei programmi, di imparare delle nozioni fondamentali (io autodidatta)
da poter insegnare ad altri più giovani; in un secondo tempo, una volta imparate
queste cose, ho cercato di trovare un programma che oggi posso dire di avere attuato
in modo ben preciso; e comunque voglio dire che sono riconoscente riguardo alla
creazione di una buona parte della mia didattica ad alcune persone. In particolare
un paio di chitarristi, amici, dai quali ho appreso delle cose importanti: Maurizio
Lazzaro e Fabio Mariani della U.M.
F.G.:
Che cosa rappresenta per te il linguaggio ed il repertorio della tradizione jazzistica?
Sbaglio o intravedo sul palco anche la mitica L4 Gibson, hai fatto sempre uso
della semiacustica ?
E.P.: Parto daaa seconda c'hai detto (citando una guzzantiana battuta..):
sempre, ed oggi più semiacustica de prima. (ridiamo)...Passando alla prima domanda,
rappresenta per me la base, il fondamento a cui devono avvicinarsi i giovani. Voglio
ricollegarmi al discorso di poc'anzi. Oggi nelle scuole di musica si enfatizza molto
la didattica per motivi di business ed affari prevalenti. E' giusto oggi studiare,
io ho degli allievi molto giovani che già a 18 anni vengono impostati benissimo,
ai quali vengono insegnate cose che io mi sognavo alla loro età. Io non faccio molto
uso di supporti e riferimenti multimediali perché inquadrati più come mezzo che
non come fine. Secondo me il jazz, ed in genere tutti i tipi di musica in cui occorre
"creare", non si compra e la scuola serve fino ad un certo punto. Lo studio è quello
necessario che si compie se c'è una predisposizione, fino alla fase pre-adolescenziale,
certo a seconda del livello, poi basta (!). Poi questi ragazzi, diciamo influenzati
da una certa propaganda, pensano che dopo un corso automaticamente poi si "suoni",
si realizzino facilmente quelle nozioni e segreti che tu gli comunichi. Invece magari
non hanno capito che il linguaggio armonico e melodico sono una cosa che si sviluppa
e si matura negli anni; è una ricerca personale che va fatta ed ispirata ascoltando
la tradizione. In ciò il maestro è quello che ti indica una via, che ti dà delle
nozioni tecniche, però tu poi questo percorso lo devi "percorrere" da "te", devi
fare la tua ricerca, soprattutto interiore. Dal momento che finirai la tua ricerca,
devi cominciare a proporti anche in modo professionale, e magari con l'ausilio di
strumenti organizzativi più articolati ed efficaci, ma senza abbandonare lo spirito
di sacrificio e passione che il vero jazzista si porta dietro.
F.G.: In
relazione a ciò ti riferisco, ma certo lo saprai, che una settimana fa a Roma è
stata inaugurata (Eddy fa già dei cenni affermativi col viso) dal sindaco Veltroni
e dai più grandi artisti italiani la "Casa
del Jazz", con cui Roma si è, diciamo, vestita da New York. Diecimila
persone l'hanno già visitata, prendendo d'assalto il parco di Villa Osio (oltre
25mila mq. intorno a tre edifici comprensivi di auditorium, studio di registrazione,
sala prove, foresteria, ristoranti e book stores) che in un week-end è diventata
un punto d'incontro per i jazzisti e gli appassionati, in sintonia con club storici
della capitale.
E.P.: Si certo, iniziativa apprezzabile ed importante.
F.G.:
Siamo al passo successivo a quello dell'Auditorium della Musica (aperto nel
2002) che registra sempre il tutto esaurito
anche quando sul palco ci sono artisti di nicchia come Peter Cincotti, o
esperimenti arditi come la London Sinfonietta, o a quello –in America- del
Lincoln Center che ha recentemente inaugurato 2 nuovi fantastici auditori dedicati
al jazz. Allora ci si chiede da più parti: crisi della musica? Crisi del disco piuttosto,
si risponde da altrettante parti; il mercato dei concerti ed eventi hanno registrato
nell'ultimo anno un incremento del 150%. Cosa ne pensi?
E.P.: Mah al riguardo devo
risponderti con un tono un tantino, come dire, polemico. Fermo restando la validità
di nuove strutture sull'esempio di quella che hai citato, bisogna ammettere che
a livello più generale - riguardo alla finalità di avvicinamento al jazz di schiere
di utenti ancora più larghe di quelle consentite da singoli megacontesti come quello
di cui sopra, rimangono comunque delle problematiche irrisolte legate agli aspetti
organizzativi del jazz in Italia. Secondo me c'è la crisi prodotta da chi gestisce
la musica jazz, gente che spesso non ha niente a che fare con il jazz, che capisce
poco di questo tipo di cultura, (e ci mettiamo dentro festival, enti ed associazioni
e scuole di musica) e che sicuramente non sanno apprezzare "l'essenza", con tutti
gli annessi e connessi, del jazz..
F.G.:
L'essenza.., appunto, la stessa parola usata da
Stefano
Di Battista riferendosi all'inaugurazione di cui si parlava prima:"
Gli amministratori hanno operato con oculatezza e passione, fino a poco tempo fa
solo l'Auditorium era l'unico posto in cui si poteva fare musica con la certezza
di rispettarne l'essenza…"
E.P.: Stefano è un mio grande amico, lo stimo ed è uno dei più grandi sassofonisti
nel panorama mondiale attuale. Devo anche sottolineare però, e a suo favore e merito,
che se lui si trova in questa felice situazione attuale è anche perché comunque
ha investito prima avendo avuto il coraggio di andare all'estero, perché se continuava
a stare qua, probabilmente non gli avrebbero dato il valore che merita. E questo
perché, e ci tengo a sottolinearlo per me come cosa fastidiosa, deve passare tutto
per la politica, per le correnti politiche del momento, e non è un luogo comune
questo. Tali situazioni condizionate dalla politica non permettono di rendere giustizia
e dare giusta visibilità alle doti che i musicisti hanno, i quali dovrebbero sempre
essere valutati, cioè invitati, coinvolti, veramente da chi "capisce".
Obiettivamente
il jazz ha una tradizione no? Per cui per anni è successo – adesso non so se la
cosa è cambiata - che è stato gestito da persone che questa tradizione non la conoscono,
se non inserendola come "estetica" a volte un po' modaiola, o prediligendo quelle
cose, non diciamo così meno jazzistiche, ma che ci allontanano dalla tradizione,
che sono pure belle e che io rispetto, però debbono essere inserite per forza in
contesti tipo progetti etnici o quant'altro riguardi divagazioni e contaminazioni...Insomma,
per me esiste una tradizione, cioè voglio dire, queste persone che gestiscono la
musica molto spesso non capiscono se io o altri vadano in quel posto piuttosto che
in un altro, facciano delle belle frasi, delle belle armonie, magari degli standard
che poi li annoiano pure perché non li conoscono nemmeno, non sono cresciuti in
tal senso. Con questo non voglio dire che bisogna fare tutt'altro, sempre le jam
sessions, e sempre le stesse cose di 50 anni fa, assolutamente no; però, se non
proponi il discorso "etnico", o il "progetto particolare", i gestori o coloro che
hanno permessi per gestire i grandi spazi non accolgono proposte se non "filtrate
" politicamente. E' proprio per questo che mi sono allontanato da certi circuiti,
ho perso un po' di interesse per certe cose, non sembri snobistico ciò, ma non m'importa
molto di quello che succede, o di che cosa fanno i jazzisti oggi. Devo dire una
cosa: a me piace suonare in una certa maniera, non ho la pretesa di aver creato
uno stile, e penso che – non vorrei dire i miei fans - ma chi mi segue, mi riferisce
che la mia voce su disco si riconosce dopo qualche secondo. Spero sempre sia vero!
(ride per alleggerire la piccola tensione del suo discorso). Diciamo anche che la
cosa che mi felicita molto è che io ho una grande finestra aperta verso la musica
brasiliana, forse perché il jazz lo vedo oggi molto anche in quella dimensione,
suonata chiaramente con l'esperienza di un jazzista. Non ne parlo così, a caso.
Io ho vissuto abbastanza in Brasile, ho suonato tanto coi brasiliani, quelli che
citavo prima ripercorrendo le tappe della mia carriera. Io questi grandi personaggi
li ho anche proposti, non ho avuto nessun riscontro, non li conoscono. Ho proposto
uno spettacolo che si chiama La leggenda della bossa nova, con Leni Andrade
e il grande cantante brasiliano nazionale Pery Ribeiro, l'avevo proposto
anche con l'intenzione di suonarci insieme, ma così', eventualmente, non era necessario
o premeditato. L'ho proposto ma non se n'è fatto niente. Stranamente qualche sera
fa questo spettacolo l'ho trovato alla Palma. C'era un chitarrista tedesco,
pensa te; questi saranno circuiti di impresari, circuiti loro, non credo perché
chi gestisce quel locale conosceva quello spettacolo. L'avevo proposto al Festival
del Jazz a Roma, ma non ho avuto riscontri.
F.G.:
Ricolleghiamoci al punto che avevamo lasciato in sospeso sulle tue tappe professionali,
riguardo al terzo millennio…(ride nuovamente)...Ti avevo interrotto dopo il riferimento
nel 2000 al tuo CD
Meu Brasil Brasileiro...
E.P.: Ah si.., certo. Nel 2002 ho partecipato
ad un piccolo tour negli Usa, dove ho suonato tra gli altri con James Moody.
Nel 2003 ho iniziato a collaborare al progetto,
per me nuovo ed originale portato avanti da Nicky Nicolai e
Stefano
Di Battista, partecipando attivamente al CD "Tutto
Passa", ripubblicato col titolo "Che
mistero è l'amore", cui seguirà dal 16 maggio il live-tour '05 (già iniziato
a Parigi il 16 aprile ma non c'ero) nei più prestigiosi teatri italiani. Io sul
disco suono non sul brano presentato a Sanremo, ma sull'altrettanto bella e delicata
"Io qui, tu lì", scritta
dal grande batterista e compositore francese Aldo Romano, in cui partecipa
anche Lucio Dalla, definita uno dei vertici dell'intero lavoro per sofisticatezza
e ricchezza d'atmosfera; e poi intervengo con un solo sull'altro brano "Cosa
eri per me". Insomma una bella esperienza, Nicky è appassionata
di Jazz, i brani sono molto belli, è sempre musica italiana
(con
la I maiuscola) esposta con timbri ed armonie jazz. Poi passiamo al
2004, beh per me si è completata la parentesi
più bella ed importante: l'incontro col grande
Toninho
Horta, col quale ho registrato presso il Saint Louis Center il CD "Brincando
Entre Amigos" (),
in cui partecipano lo storico cantante Pery Ribeiro, citato prima, il percussionista
e chitarrista brasiliano Arlen Azevedo, e grandi musicisti italiani come
Nicola Stilo,
Roberto
Gatto e Francesco Puglisi.
F.G.:
Proprio
Toninho Horta, punto di arrivo dell'incrocio tra musica brasiliana
misteriosa ed arcaica del Minas Gerais e concezione innovativa del jazz (Eddy
annuisce decisamente) ha riferito nelle lines note del disco (leggo volutamente
in portoghese- i lettori capiranno-…): "A Italia sempre teve bons musicos e agora
tive oportunitade de conhecer e tocar com o incrivel guitarrista Eddy Palermo.
A sua maniera espontanea de tocar espressa sua grande habilidade tecnica e velocidade
mas sem perder sua sensibilidade e musicalidade. Na impovisaçao, suas frazes sao
de muito bom gusto e estremamente criativas. Alem do mais o Eddy Palermo
tem muito swingue e entende a musica brasileira como poucos. Foi uma grande honra
e alegria poder fazer parte de seu novo CD.Viva o grande Eddy que toca com o coraçao!Abraços
e boa sorte" T.H.
E.P.: Sono contento che abbia citato queste parole lasciatemi da Toninho
per il disco. Che dire…Toninho, mi hai detto che l'hai conosciuto no?, (stavolta
annuisco io), ha un fascino non ancora scoperto pienamente, lo si riporta, per
la cronaca, sempre alle sue passate collaborazioni con
Pat Metheny,
ma con tutto il rispetto per Pat le influenze maggiori gliele ha date proprio Toninho,
nelle fasi cruciali in cui col suo amico Milton Nascimento gli passava agli
inizi degli anni '80 quelle "misture fini" musicali
che preludevano a certi "modi sonori" divenuti poi famosissimi dell'americano. Toninho
ha un mondo tutto suo, ancora da scoprire, ha un mistero musicale sempre da decifrare.
Sono stato ospite a casa sua, ho passato un periodo meraviglioso, mi fatto entrare
in quella che fu la casa (c'è ancora la targa sul fronte dell'ingresso) sua e di
altri col grande Milton nel '72 detta Club
da Equina. E poi conosce gli standard come pochi.
F.G.:
Progetti futuri?
E.P.: Beh! Vorrei fare un altro disco con
Toninho
Horta, non so se in Italia o in Brasile, un disco intero, non dove collaboriamo,
come in Brincanndo, solo in alcuni brani, cercando di trovare qualcuno che
ci appoggi pienamente in questo progetto. Poi un disco da solo. E poi ancora la
collaborazione con la cantante napoletana
Rossella Mollo, brava artista
ancora non pienamente conosciuta in Italia, ma che si è già mostrata con un bel
lavoro, in cui ho partecipato come ospite, assieme ad
Antonio Onorato,
Cicci Cantucci, Lello Giulivo,Joe Amoruso, nel CD "Suono
Interiore", e dove suona anche Arlen Azevedo che ho citato
prima, nel disco con Toninho. E poi infine vi è un progetto, già definito, di un
disco con Alessandro (Napoletano) e Vito (Di Modugno), i musicisti
con cui suonerò tra poco. Entrambi sono musicisti bravissimi, come molti vostri
corregionali, musicisti validi ed interessantissimi, sia nel campo della chitarra
che di altri strumenti. La Puglia è un vivaio inesauribile di talenti.
F.G.:
Eddy, guarda, ormai si è avvicinato Alessandro, ti sta richiamando … il
sound check incombe davvero. Grazie Eddy di questa "chiacchierata". Ti lascio veramente
andare, tra un po' mi siederò avanti per sentirvi.
E.P.: Grazie a voi di Jazzitalia, a dopo, ciao.
| "Road Song" Tony Monaco,Eddy Palermo, Flavio Boltro,Ray Mantilla and friends Tuscia in Jazz 2008Tony Monaco,Eddy Palermo,Flavio Boltro,Paolo Recchia,Francisco Mela, Geggè Munari, Ray Mantilla,Carl PotterEddy PalermoArenown... inserito il 20/11/2008 da lermici - visualizzazioni: 6401 |
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Data pubblicazione: 08/07/2005
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