Guido Di Leone ha un dono: la poliformia che si estrinseca nella versatilità di musicista. Ma non solo: le sue composizioni sono sempre nel tempo e, al contempo "out of time". Isole è lo specchio della sua animosa versatilità, della sua inquietudine.
Il chitarrista si avvale di una solida e rutilante sessione ritmica formata da Giuseppe Bassi, contrabbassista barese la cui valenza tecnica ha già da tempo varcato i confini nazionali, e dal romano Massimo Manzi, sicuramente tra i migliori batteristi europei.
Il trio fonde le sue sonorità con quelle dell'Ottonando Brass Ensemble
condotto dal trombettista pugliese Mino Lacirignola che si conferma leader dal fraseggio armonioso.
Da tale incontro ne scaturisce un lavoro nuovo, fresco con soli tre standard. Il resto sono brani originali del
Di Leone ad eccezione di due interventi: uno di
Luigi Giannatempo, storico arrangiatore e compositore barese, e l'altro del trombettista Marco Sannini.
La lunga e variopinta Isole apre l'omonimo lavoro farfalleggiando tra cupe sonorità ed ariosi ritmi swing. E' la perfetta sintesi dell'intero lavoro.
Il momento infranto, ancora a firma di
Di Leone, pone in evidenza come la tecnica individuale del leader sia ben riuscita a fondersi con l'orchestralità dell'Ottonando Brass Ensemble.
Il primo dei tre standard, East of the sun and west of the moon, è eseguito dal solo trio con carezzevole solidità. La robusta architettura ritmica esalta i fraseggi armonici, densi e vibranti, della chitarra.
Composed on piano for Mal Waldron si apre con un lucido ma appassionato solo di Giuseppe Bassi che cede alle struggenti note della chitarra subito sorrette dai fiati.
Il secondo standard, ancora eseguito dal trio senza ottoni, è la evergreen Alone Togheter.
Da tempo
Di Leone segue un percorso musicale-cinematografico (La banda degli Onesti
ed il tributo a Totò è stato l'inizio di tale percorso). Rota e Fellini è un accento sulla musica del grande cinema, quella delle marcette che inseguivano i fotogrammi in bianco e nero, il cinema degli attori veri, senza fronzoli. Il brano è così, senza orpelli ad eccezione dei soli di chitarra che ben s'incastonano nel contesto poliritmico.
Luigi Giannatempo suggella le complesse figure che animano questo lavoro con la sua It might be true liberando un solo di tromba di considerevole fattura.
Le note blues di Les di Eric Dolphy sono sapientemente rivisitate dal dialogo armonico tra contrabbasso e chitarra che gigioneggiano e si rincorrono.
Ritorna la passione di Guido Di Leone per i film. Tema per un film che non c'è sarebbe una più che valida colonna sonora, ma il film ancora non c'è. Chiude il lavoro il brano di Marco Sannini: The tale of black cat. Un brano dalla costruzione ampia ed articolata, godibile in ogni sua fase, così come l'intero lavoro.
Di Leone e
Ottonando Brass Ensemble hanno colpito nel segno e lasciando un segno. Questo l'ha capito anche l'attenta label tedesca
YVP che da qualche tempo presta sempre maggiore attenzione agli artisti
italiani. Chissà perché?
Alceste Ayroldi per Jazzitalia