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"Blue Night": un titolo evidentemente parlante.
Capita di voler trascorrere le nottate fuori al balcone, ascoltando un disco che
ben si adatti all'occasione: un disco ben suonato, non troppo impegnativo, che non
"picchi" con ritmi eccessivamente veloci o con fiumi di note. Quello del quartetto
di Guido Di
Leone è uno di questi dischi. Sospeso tra la musica di matrice caraibica
(guarda caso la traccia d'apertura è "Bahia")
ed il cool, un felice disco d'atmosfera.
Guido
Di Leone non ha bisogno di presentazioni, specialmente per i lettori
assidui di Jazzitalia. Il lavoro svolto su "Blue Night" conferma le sue capacità:
buona tecnica, derivata dai solisti del cool jazz come Barney Kessel e Montgomery
(omaggiato con una bella interpretazione di "Double Deal"),
ed inventiva sia nell'improvvisazione che nella composizione. Sono ben quattro gli
inediti dell'album, tutti composti da Di Leone; tra questi, vanno citati
la title-track, un blues quasi ludico, e la finale "Another's
wonderful", tratta direttamente dagli anni '50.
Molto del merito va agli accompagnatori del leader: la coppia Benedettini
– Minetto è un binomio ormai più che collaudato che si dimostra sempre
impeccabile, molto discreto, e coglie tutte le occasioni per dei pregevoli dialoghi
("Moonlight in Vermont", ma soprattutto "What
a difference a day made"); l'intesa dura per tutti i 54 minuti dell'album,
e costruisce il miglior tappeto per il chitarrista e l'ospite d'eccezione dell'album,
il tenorsassofonista olandese Barend Middelhoff, una presenza ampiamente
consolidata nel panorama italiano (si pensi al suo quartetto, nel quale militava
lo stesso
Paolo Benedettini). Suono pulito e nitido, fraseggio lineare
e mai straripante, frequente uso delle sonorità medio-basse: queste le qualità di
Middelhoff, dalle reminescenze getziane e gordoniane. La "revelation" di
casa Philology si sposa a meraviglia con il progetto del disco e, anzi, è proprio
lei a far sì che pezzi come "What a difference a day made"
o "Blue Night" possano spiccare il volo.
Non si può fare nient'altro se non levarsi il cappello di fronte all'eleganza
del quartetto, che sempre con sottile discrezione passa dalla lenta "Moonlight
in Vermont", con un
Di Leone
sugli scudi, ad una più "frenetica" (e qui sono doverose le virgolette del caso)
"Fascinating Rhythm".
"Blue Night" non è un disco "da intellettuali", non ci sono progetti o costrutti
alla sua base e non ha altri fini se non quello di far passare un'ora in compagnia
di buona musica. Se tutto ciò non bastasse, la confezione del cd comprende un "omaggio"
per gli ascoltatori: una piccola fotocopia dello spartito di "Blue Night"
nel libretto.
Giuseppe Andrea Liberti per JazzItalia
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Data pubblicazione: 25/08/2009
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