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Giulio Stracciati
Free Three
1. Bye Bye Blackbird 5'02''
2. The Shadow Of Your Smile 5'23''
3. Lazy Bird 3'57''
4. Memories Of Istambul (J.Egri) 5'57''
5. My Funny Valantine 4'14''
6. Ouverture (G.Stracciati) 3'21''
7. Giant Steps 2'23''
8. In Your Own Street Way 7'11''
9. No Greater Love 4'21''
10. Folk 1 (G.Stracciati) 2'58''
Giulio Stracciati - guitar Janos Egri - bass Piero Borri - drums
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Se si suona con coinvolgimento, se la musica spicca il suo volo densa
dell'intimità di chi l'ha prodotta, quando giunge all'ascoltatore non può non farsi
notare. E' come osservare con i propri occhi una storia, ce ne sono tante, tutte
uguali, ma se se ne riconosce l'autenticità allora si rimane, a propria volta, coinvolti.
E' ciò che capita ascoltando lo scontato disco di Giulio Stracciati. Già,
scontato come potrebbe essere un qualsiasi lavoro che si presenta con un trio chitarra,
contrabbasso e batteria e con una sfilza di standard suonati ovunque e da chiunque.
L'ascolto quindi deve necessariamente mettere da parte la pretesa di percepire novità,
idee geniali che facciano gridare al miracolo, sarebbe controproducente e non sortirebbe
effetti positivi. Se invece ci si pone dinanzi a questo album con rilassatezza e
con il "semplice" proposito di voler ascoltare un buon jazz ben suonato allora
si potrà ascoltare una musica fluida, articolata secondo gli stilemi classici rispettati
ed assimilati in modo molto adeguato, con un ottimo controllo dinamico e dei suoni,
con una padronanza di linguaggio ragguardevole e, perchè no, con delle invenzioni
estemporanee che lasciano anche spazio a sprazzi di novità piacevoli come l'arrangiamento
di My Funny Valentine, l'interplay di
Memories of Istanbul, i
momenti con la chitarra classica di
Ouverture e
Folk I.
Il chitarrismo di Stracciati fa riecheggiare fraseggi della scuola
di Mick Goodrick, Joe Diorio, basati innanzitutto sulla elevata pulizia delle note,
l'uso delle dita, i rapidi spostamenti tonali che rendono meno scontate le soluzioni
adottate, lo sfruttamento delle triadi, l'andamento obliquo delle frasi. Poi c'è
il senso del respiro, il suono della chitarra che, come una voce, rispetta un'esigenza
fisica, quella di prendere fiato, principio di cui il grande maestro è
Jim Hall
e che Stracciati ha assimilato riportandolo in modo naturale nel suo modo
di suonare senza perdere in virtuosismo, anzi, riuscendo a prendere velocità in
modo molto più consistente ma senza affanno, quindi con timing notevole. La capacità
di attendere che il suono abbia finito il suo corso, la mancanza di fretta, possibili
grazie a molta tecnica nel tocco, alla solida consapevolezza delle dinamiche disponibili.
Ma tutto questo vuol dir poco o nulla se poi non lo si condisce con quell'ingrediente
citato all'inizio: l'intimità, la propria anima musicale che rende il tutto comunque
unico, forte di un'identità che anche se può tardare dal punto di vista prettamente
stilistico (impresa oggi titanica!) sicuramente non manca dal punto di vista della
musicalità, del gusto e dell'impronta impressa al suono globale.
Il merito quindi di "Free Three" è nell'essere riuscito a trasmettere,
ad arrivare, a non restare lì, nel lettore, a suonare senza che l'ascoltatore se
ne accorgesse. Al contrario cattura l'attenzione, impone la ricerca del silenzio
per potersi far ascoltare meglio. Altro merito è quello di aver offerto a chi scrive
(e speriamo davvero a tanti altri) l'opportunità di conoscere la raffinatezza di
un batterista come Piero Borri, eccellente, fondamentale nel permettere che
Stracciati abbia potuto esprimersi nel modo descritto e la possenza e precisione
dell'ungherese Janos Egri al contrabbasso. Due musicisti che hanno contribuito
in modo determinante al raggiungimento del suono globale, risultato a cui ogni trio
ha il dovere di ambire.
Good for you, Giulio!
Marco Losavio per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 03/08/2006
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