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Intervista a Giulio Stracciati
di Alceste Ayroldi

Giulio Stracciati, chitarrista e compositore senese, docente nei corsi invernali di Siena Jazz, ha collaborato con innumerevoli musicisti dello scenario jazzistico internazionale. L'ultimo suo lavoro sarà licenziato dalla Philology con il patrocinio del governo ungherese.

A.A.: Hai iniziato giovanissimo a suonare la chitarra, ma al jazz quando e perché ti sei avvicinato?
G.S.: Fui catturato dal suono di Pat Metheny in Bright size life. Avevo 14 anni.

A.A.: e quindi, dopo, cosa è successo…?
G.S.: Ho praticamente usurato il disco cercando di capire cosa facesse e come usasse le note. L'ho capito.

A.A.: dall'ascolto dei tuoi lavori da leader emerge una circostanza: più che al comando sei alla regia, mai invasivo e più attento all'interplay rispetto alla tua performance…
G.S.: Credo che la musica debba essere il risultato finale. Non sempre riesce.

A.A.: cosa intendi?
G.S.: Che la conduzione di un progetto è fondamentale, ma alla fine è il linguaggio del prodotto che prevale.

A.A.: Scofield, Metheny, Stern. Goodrick, Abercrombie, sono solo alcuni dei "mostri sacri" con cui hai studiato. Chi ti ha lasciato un segno e perché?
G.S.: Senza dubbio Mick Goodrick per la svolta che ha impresso alla chitarra e l'utilizzo "pianistico" con cui lui ha impostato il suo stile.

A.A.: Hai svolto – e svolgi – una corposa attività concertistica: hai un ricordo in particolare?
G.S.: Sicuramente l'esperienza di suonare con Elvin Jones è stata un'esperienza eccezionale.

A.A.: Ce ne parli?
G.S.: E' successo a Ravenna, durante un seminario con Scofield: mi sono "ritrovato" a suonare in jam session con Elvin Jones. Avere a che fare con un mito non capita tutti i giorni, suonarci insieme mi ha lasciato un ricordo che è ancora vivo dentro di me.

A.A.: Dal 1992 ad oggi hai inciso otto cd a tuo nome: quale reputi il migliore e quale il peggiore?
G.S.: Credo che l'intenzione, nei lavori che ho fatto, sia stata sempre quella di dare un'impronta di freschezza. Lascio il giudizio del prodotto a chi ascolta.

A.A.: Ma c'è qualcosa di cui vai particolarmente orgoglioso?
G.S.: Il cd Acquamarina: per le composizioni e l'esecuzione, originale.

A.A.: Quanto è cambiato il tuo modo di comporre nel corso degli anni?
G.S.: Fondamentalmente, cerco di rappresentare un mio mondo. Con gli anni e le esperienze cambiano le sfumature di gusto e gli arricchimenti che provengono dalle varie collaborazioni e ascolti di altri artisti.

A.A.: A tal proposito: da cosa traggono ispirazione le tue composizioni?
G.S.: Credo che sia abbastanza casuale la composizione e di conseguenza l'ispirazione di un brano anche se la matrice mediterranea e latina prevalgono come costanti.

A.A.: Hai collaborato anche con l'Accademia Chigiana in un ambito diverso: la musica contemporanea. Come reputi questa tua esperienza? Quale apporto ha dato al tuo percorso musicale?
G.S.: Senz'altro ho capito molto meglio l'importanza della musica classica e il rapporto con l'espressione della forma musicale. Nella musica classica ci si basa molto sulla dinamica espressiva corale, perché è già tutto scritto. L'incontro con gli altri strumenti è subordinato alla sensibilità…

A.A.: Parliamo della tua intensa attività didattica…
G.S.: Insegno da sedici anni al Siena Jazz e conduco seminari all'esterno sia in Toscana che in altre parti d'Italia, credo che oltre a una preparazione tecnica sia molto importante cercare di dare un impulso di curiosità, di passionalità e di ricerca a chi approccia uno strumento come la chitarra. Gli stimoli esterni attualmente sono molto confusi, anche dal punto di vista dei programmi didattici: ci si basa sulla quantità, sull''accaparramento" teorico. E' invece fondamentale aprirsi alla melodia e alla MUSICA come linguaggio vero e proprio. Ma è difficile. Comporta un'umiltà di cui tutti non sono capaci, una totale predisposizione alla percezione.

A.A.: Pensi che ci sia un giusto approccio e la giusta voglia d'imparare da parte dei giovani?
G.S.: I giovani sono figli di questa società e subiscono spesso passivamente delle impronte negative sulla loro vita, di conseguenza è importante che riescano per prima cosa a cambiare anche un pochino la loro visione del tutto, e di conseguenza anche della musica.

A.A.: Hai lavorato anche in Scandinavia, dove hai inciso un disco (Luna Bruna): cosa puoi dirci di questa esperienza?
G.S.: Senza dubbio l'immediatezza di realizzazione, sia nella fase tecnica che in quella di produzione è quello che mi ha colpito di più.

A.A.: Quindi mi sembra di capire che ci siano parecchie differenze tecniche tra l'Italia e la Scandinavia…
G.S.: All'estero c'è una maggiore elasticità organizzativa, e questo dipende anche dall'importanza che la musica riveste nella cultura popolare di un paese. In Italia l'arte,in generale è ancora troppo elitaria. Basta dare uno sguardo all'ultima finanziaria…

A.A.: Quale è il tuo artista di riferimento (non necessariamente un musicista) ?
G.S.: Tutti coloro che rischiano e hanno rischiato.

A.A.: Avrai sicuramente un nome…
G.S.: Charles Bukowski e J. Pollock

A.A.: Pensi che stia cambiando la situazione jazzistica in Italia?
G.S.: Penso che in Italia ci sia un crogiuolo di musicisti di alto livello ma che gli spazi di rilievo siano affidati sempre alle stesse persone.

A.A.: Quando componi sei "istintivo" o "riflessivo"?
G.S.: Dipende dove voglio arrivare.

A.A.: La tua affermazione merita un approfondimento….
G.S.: L'istinto guida in primo luogo l'ispirazione, ma la riflessività aiuta ad essere chiari, a pulire, raffinare: accompagna l'istinto.

A.A.: I tre chitarristi più Grandi…
G.S.: Wes Montgomery, Jim Hall, Jimi Hendrix.

A.A.: Pensi di aver costruito una tua voce, un tuo timbro?
G.S.: Credo di averci provato e ci sto tuttora provando.

A.A.: Quanti e quali sacrifici, secondo te, bisogna affrontare per affermarsi?
G.S.: Per suonare bene tanti, non si finisce mai, se poi ti vuoi affermare devi essere bravo a gestirti soprattutto fuori dalla musica.

A.A.: Se fossi un politico, cosa faresti per migliorare la situazione jazzistica in Italia?
G.S.: Se fossi un politico, penserei ad altro, purtroppo.

A.A.: Non mi dire che non attueresti qualche intervento per migliorare la cultura in generale e, in particolare, la situazione del jazz in Italia?
G.S.: Per arrivare a migliorare la situazione del jazz, bisognerebbe partire da un po' più lontano: la musica nelle scuole, per esempio, come materia fondamentale e obbligatoria. La musica come formazione dell'individuo. Portare i bambini e poi i ragazzi ai concerti, insegnare loro quanto la musica sia stata e sia anche oggi fondamentale nella storia dell'uomo. La musica e anche il teatro..si arriverebbe anche al jazz. Il jazz è una musica difficile. Quando si parla di jazz, pochi sanno di cosa si parla; i politici italiani, come tutti i politici, dovrebbero aprirsi veramente alla cultura. Il vizio è alla base. Il jazz ne paga le conseguenze, come il teatro e la danza.

A.A.: Hai un rimpianto?
G.S.: Forse non mi sono gestito molto bene dal punto di vista delle pubbliche relazioni.

A.A.: in che senso?
G.S.: Senza falsa modestia direi che ho peccato molto di ingenuità.

A.A.: Parliamo del tuo ultimo progetto: Nutrio. Ci sono influenze etniche molto marcate: è una svolta?
G.S.: E' uno sviluppo dei lavori precedenti.

A.A.: Quanto incide la cultura musicale etniche nella tua fase compositiva ed esecutiva?
G.S.: Molto: è una sorgente infinita di stimoli e idee. Lo stesso discorso musicale è tanto mutevole per tutti i punti di vista dai quali può essere letto.

A.A.: Cosa è scritto nell'agenda degli impegni futuri di Giulio Stracciati?
G.S.: Ho in progetto varie collaborazioni, tra cui il sassofonista Stefano "Cocco" Cantini, le cantanti Loredana Lubrano di Napoli e Michela Lombardi di Camaiore. E' in uscita, per la Philology un lavoro in trio con Janos Egri al contrabbasso e Piero Borri alla batteria.







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Data pubblicazione: 25/03/2006

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