Fui catturato dal suono di
Pat Metheny
in Bright size life.
Avevo 14 anni.
A.A.: e quindi,
dopo, cosa è successo…?
G.S.: Ho praticamente usurato
il disco cercando di capire cosa facesse e come usasse le note. L'ho capito.
A.A.: dall'ascolto
dei tuoi lavori da leader emerge una circostanza: più che al comando sei alla regia,
mai invasivo e più attento all'interplay rispetto alla tua performance…
G.S.: Credo che la musica debba
essere il risultato finale. Non sempre riesce.
A.A.: cosa intendi?
G.S.: Che la conduzione
di un progetto è fondamentale, ma alla fine è il linguaggio del prodotto che prevale.
A.A.:
Scofield,
Metheny,
Stern.
Goodrick, Abercrombie, sono solo alcuni dei "mostri sacri" con cui
hai studiato. Chi ti ha lasciato un segno e perché?
G.S.: Senza dubbio Mick
Goodrick per la svolta che ha impresso alla chitarra e l'utilizzo "pianistico"
con cui lui ha impostato il suo stile.
A.A.: Hai svolto
– e svolgi – una corposa attività concertistica: hai un ricordo in particolare?
G.S.: Sicuramente l'esperienza
di suonare con Elvin Jones è stata un'esperienza eccezionale.
A.A.: Ce ne parli?
G.S.: E' successo a Ravenna,
durante un seminario con
Scofield:
mi sono "ritrovato" a suonare in jam session con Elvin Jones. Avere a che
fare con un mito non capita tutti i giorni, suonarci insieme mi ha lasciato un ricordo
che è ancora vivo dentro di me.
A.A.: Dal
1992 ad oggi hai inciso otto cd a tuo nome:
quale reputi il migliore e quale il peggiore?
G.S.: Credo che l'intenzione,
nei lavori che ho fatto, sia stata sempre quella di dare un'impronta di freschezza.
Lascio il giudizio del prodotto a chi ascolta.
A.A.: Ma c'è qualcosa
di cui vai particolarmente orgoglioso?
G.S.: Il cd
Acquamarina: per le composizioni
e l'esecuzione, originale.
A.A.: Quanto è
cambiato il tuo modo di comporre nel corso degli anni?
G.S.: Fondamentalmente,
cerco di rappresentare un mio mondo. Con gli anni e le esperienze cambiano le sfumature
di gusto e gli arricchimenti che provengono dalle varie collaborazioni e ascolti
di altri artisti.
A.A.: A tal proposito:
da cosa traggono ispirazione le tue composizioni?
G.S.: Credo che sia abbastanza
casuale la composizione e di conseguenza l'ispirazione di un brano anche se la matrice
mediterranea e latina prevalgono come costanti.
A.A.: Hai collaborato
anche con l'Accademia Chigiana in un ambito diverso: la musica contemporanea. Come
reputi questa tua esperienza? Quale apporto ha dato al tuo percorso musicale?
G.S.: Senz'altro ho capito
molto meglio l'importanza della musica classica e il rapporto con l'espressione
della forma musicale. Nella musica classica ci si basa molto sulla dinamica espressiva
corale, perché è già tutto scritto. L'incontro con gli altri strumenti è subordinato
alla sensibilità…
A.A.: Parliamo
della tua intensa attività didattica…
G.S.: Insegno da sedici
anni al Siena Jazz
e conduco seminari all'esterno sia in Toscana che in altre parti d'Italia, credo
che oltre a una preparazione tecnica sia molto importante cercare di dare un impulso
di curiosità, di passionalità e di ricerca a chi approccia uno strumento come la
chitarra. Gli stimoli esterni attualmente sono molto confusi, anche dal punto
di vista dei programmi didattici: ci si basa sulla quantità, sull''accaparramento"
teorico. E' invece fondamentale aprirsi alla melodia e alla MUSICA come linguaggio
vero e proprio. Ma è difficile. Comporta un'umiltà di cui tutti non sono capaci,
una totale predisposizione alla percezione.
A.A.: Pensi che
ci sia un giusto approccio e la giusta voglia d'imparare da parte dei giovani?
G.S.: I giovani sono figli
di questa società e subiscono spesso passivamente delle impronte negative sulla
loro vita, di conseguenza è importante che riescano per prima cosa a cambiare anche
un pochino la loro visione del tutto, e di conseguenza anche della musica.
A.A.: Hai lavorato
anche in Scandinavia, dove hai inciso un disco (Luna
Bruna): cosa puoi dirci di questa esperienza?
G.S.: Senza dubbio l'immediatezza
di realizzazione, sia nella fase tecnica che in quella di produzione è quello che
mi ha colpito di più.
A.A.: Quindi mi
sembra di capire che ci siano parecchie differenze tecniche tra l'Italia e la Scandinavia…
G.S.: All'estero c'è una
maggiore elasticità organizzativa, e questo dipende anche dall'importanza che la
musica riveste nella cultura popolare di un paese. In Italia l'arte,in generale
è ancora troppo elitaria. Basta dare uno sguardo all'ultima finanziaria…
A.A.: Quale è
il tuo artista di riferimento (non necessariamente un musicista) ?
G.S.: Tutti coloro che
rischiano e hanno rischiato.
A.A.: Avrai sicuramente
un nome…
G.S.: Charles Bukowski
e J. Pollock
A.A.: Pensi che
stia cambiando la situazione jazzistica in Italia?
G.S.: Penso che in Italia
ci sia un crogiuolo di musicisti di alto livello ma che gli spazi di rilievo siano
affidati sempre alle stesse persone.
A.A.: Quando componi
sei "istintivo" o "riflessivo"?
G.S.: Dipende dove voglio
arrivare.
A.A.: La tua affermazione
merita un approfondimento….
G.S.: L'istinto guida in
primo luogo l'ispirazione, ma la riflessività aiuta ad essere chiari, a pulire,
raffinare: accompagna l'istinto.
A.A.: I tre chitarristi
più Grandi…
G.S.: Wes Montgomery,
Jim Hall,
Jimi Hendrix.
A.A.: Pensi di
aver costruito una tua voce, un tuo timbro?
G.S.: Credo di averci provato
e ci sto tuttora provando.
A.A.: Quanti e
quali sacrifici, secondo te, bisogna affrontare per affermarsi?
G.S.: Per suonare bene
tanti, non si finisce mai, se poi ti vuoi affermare devi essere bravo a gestirti
soprattutto fuori dalla musica.
A.A.: Se fossi
un politico, cosa faresti per migliorare la situazione jazzistica in Italia?
G.S.: Se fossi un politico,
penserei ad altro, purtroppo.
A.A.: Non mi dire
che non attueresti qualche intervento per migliorare la cultura in generale e, in
particolare, la situazione del jazz in Italia?
G.S.: Per arrivare a migliorare
la situazione del jazz, bisognerebbe partire da un po' più lontano: la musica nelle
scuole, per esempio, come materia fondamentale e obbligatoria. La musica come formazione
dell'individuo. Portare i bambini e poi i ragazzi ai concerti, insegnare loro quanto
la musica sia stata e sia anche oggi fondamentale nella storia dell'uomo. La musica
e anche il teatro..si arriverebbe anche al jazz. Il jazz è una musica difficile.
Quando si parla di jazz, pochi sanno di cosa si parla; i politici italiani, come
tutti i politici, dovrebbero aprirsi veramente alla cultura. Il vizio è alla base.
Il jazz ne paga le conseguenze, come il teatro e la danza.
A.A.: Hai un rimpianto?
G.S.: Forse non mi sono
gestito molto bene dal punto di vista delle pubbliche relazioni.
A.A.: in che senso?
G.S.: Senza falsa modestia
direi che ho peccato molto di ingenuità.
A.A.: Parliamo
del tuo ultimo progetto: Nutrio. Ci sono influenze etniche molto marcate: è una
svolta?
G.S.: E' uno sviluppo dei
lavori precedenti.
A.A.: Quanto incide
la cultura musicale etniche nella tua fase compositiva ed esecutiva?
G.S.: Molto: è una sorgente
infinita di stimoli e idee. Lo stesso discorso musicale è tanto mutevole per tutti
i punti di vista dai quali può essere letto.
A.A.: Cosa è scritto
nell'agenda degli impegni futuri di Giulio Stracciati?
G.S.: Ho in progetto varie
collaborazioni, tra cui il sassofonista
Stefano
"Cocco" Cantini, le cantanti
Loredana Lubrano
di Napoli e
Michela Lombardi di Camaiore. E' in uscita, per la Philology un lavoro
in trio con Janos Egri al contrabbasso e Piero Borri alla batteria.