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"Change the world": un immediato senso di virtù
vocali contemporanee, brillante cerniera artistica fra intimismo e passi sicuri
per boppers. E' un album dove incursioni meditanti e paesaggi introspettivi lasciano
spazio a brillanti cromatismi, posti sotto quella luce soffusa che dona all'immaginazione
quanto basta per attirare inevitabilmente in viaggi sereni lievemente chiaroscurali,
talora stupiti, rarefatti, avvolgenti nei tanti spazi riflessivi delle architetture
melodiche e degli arrangiamenti, intonati ad un impressionismo morbido e di limpida
raffinatezza.
La voce di Alice Claire, seducente, lieve, ben equilibrata nel
fraseggio e distinta da una timbrica personale e di grande personalità, si insinua
sicura ed elegante nei difformi pentagrammi scelti per quest'opera all'insegna dell'eclettismo:
sfumature ricche di intensi riflessi e di angolature stilisticamente evolute, non
di rado – vale la pena sottolinearlo – sorprendenti.
Una scelta originale quella di proporre in chiave jazzistica la notissima
"Change the world" di Eric Clapton, dalla quale emergono sfumature
chiaramente provenienti dalla pop music, che affiorano in brevi walkings tanto piacevoli
quanto tecnicamente intelligenti, che, peraltro, caratterizzano sovente il particolare
dinamismo delle perfomances della vocalist, una delle più interessanti
nel panorama jazzistico attuale.
Trascurando con naturale disinvoltura la strada del virtuosismo, Alice
Claire Ranieri sfuma e declina con passione i significati delle note. Ricchezza
di sentimento, vitali movenze sapientemente versatili, come in "Blue
Moon", evergreen proposta secondo sottili e calibrate risonanze, narrata
da suoni sospesi, definiti dal timing maturo, vigoroso quanto fluido, di Gianni
Di Renzo così come dalla sottile varietas ritmica di Stefano Cesare.
Il pianismo colto e cromaticamente temperato del bravo Andrea Frascaroli,
poi, non può non colpire chi ascolta: egli sa concedere con sensibilità e notevole
perizia il proprio strumento, articolando il proprio sapere musicale in modo non
solo coerente ma soprattutto elevato sintatticamente e di indubbio buon gusto, capace
sia di evocare intimi paesaggi, illuminati dal particolare chiarore di cui l'album
è segnale, dando l'impressione del possesso di uno stile definito ed in grado di
dominare l'incedere delle note in maniera matura, insospettabilmente – a ben sentire
– trascinante.
Un pianismo "ritmico" e sempre opportunamente presente quello di Andrea
Frascaroli, dunque, che intende non cedere a situazioni "spente", meticoloso
e brillante in molti passaggi, come in "Nature Boy",
dove la melodia, introdotta da una morbida linea di basso continuo, trova luogo
in un finale che oscilla tra Latin, bop e swing…
Insomma, passare da Clapton a Oliver Nelson, da
McCoy Tyner
a Cole Porter, da James Moody a Vince Mendoza, senza mai perdere
il filo del ragionamento e senza mai cadere in tentazioni egocentriche, non è cosa
da poco.
Varrà senz'altro la pena non perdere d'occhio questo Quartetto se queste
son le evoluzioni: cambiate il mondo ma non la musica…
Fabrizio Ciccarelli per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 02/11/2007
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