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Intervista ad Alessandro Minetto
di Michela Lombardi

M.L.: Come hai iniziato a suonare, chi ti ha incoraggiato, cosa ti ha spinto a farne, a 22 anni, la tua professione?

A.M.:
Ho iniziato più o meno a 14 anni, frequentavo una sala prove di un centro di incontro comunale in periferia di Torino. Claudio Truglio, il batterista del gruppo (punk!) che seguivo mi ha fece provare la batteria e mi insegnò le prime cose. Fu lui, ad incoraggiarmi a prendere lezioni. Andai da Alberto Bucci, e fu un'esperienza fondamentale sia per la batteria in senso tecnico che per il più vasto mondo musicale a cui Alberto mi ha costantemente avvicinato. Nessuno dei miei vari insegnanti mi ha mai incoraggiato a diventare professionista; mi hanno costantemente informato sia riguardo alle difficoltà che alle soddisfazioni che avrei incontrato intraprendendo questa strada. E' stata una libera scelta conseguentemente alla quale ho ricevuto un ingaggio in un orchestra folk tramite il mio secondo insegnante (secondo in termini di tempo), Giorgio Gandino.

M.L.: Quali sono stati i grandi musicisti del passato che ti hanno influenzato, e quali hanno rappresentato per te l'aprirsi di nuove prospettive nel tuo modo di ascoltare e fare musica?



A.M.: Citarli tutti sarebbe un po' lungo ma in sintesi direi che Miles Davis, John Coltrane, Charlie Parker, Joe Henderson, Herbie Hancock, Wayne Shorter, Bill Evans sono quelli di cui ho seguito e continuo a seguire il percorso artistico in tutte le tappe della loro storia. Per un periodo ho ascoltato assiduamente i gruppi di Keith Jarrett… Ci sono moltissimi altri musicisti che vorrei citare e che magari conosco meno bene, come Lee Morgan, Cannonball Adderley, Thelonious Monk, Stan Getz, Booker Little, Eric Dolphy, Ornette Coleman, Dexter Gordon, Lester Young, Louis Armstrong, Bix Beiderbecke, Clifford Brown o John Scofield, Kenny Kirkland, Wynton Marsalis… In definitiva ciascuno dei dischi che ho a casa è importante, inclusi quelli di pop, di fusion, di musica etnica, latin, funk etc. Ritengo fondamentale la tradizione jazzistica, per me viene tutto da lì. Allo stesso tempo voglio apprendere da qualsiasi cosa cercando di attingere da tutte le fonti di musica possibili. Nel processo di apprendimento mi sono quasi sempre affidato alle emozioni, solo alcune volte mi sono imposto di ascoltare della musica che in un primo momento mi risultava incomprensibile e non mi piaceva un gran che. Ci sono dischi di cui sono innamorato e che ho riascoltato in continuazione per molto tempo; in questo modo ho scoperto alcune cose che hanno giocato un ruolo importante nel mio modo di suonare. Kind Of Blue di Miles Davis mi ha fatto riflettere un sacco su come accompagnare con gusto, scegliendo il più possibile i colpi, creare atmosfera, reagire al suono degli altri con cuore ma con "discrezione". Ju Ju di Wayne Shorter mi ha sempre impressionato sia per la profondità che per la forza fisica che esprime, mi ha aiutato a mettermi alla prova, a cercare di suonare in situazioni che richiedono molta energia e concentrazione. In Go! di Dexter Gordon la sezione ritmica Sonny Clark, Butch Warren e Billy Higgins ha uno swing ed un incastro eccezionali, che si amalgamano perfettamente al time di Dexter. Un altro disco che amo è Personal Mountains di Keith Jarrett con Garbarek, Christensen e Danielsson, un disco del 1979… I batteristi che mi hanno influenzato di più hanno suonato in questi gruppi, ma ce ne sono molti altri, ad esempio Roy Haynes, Tony Williams, Art Taylor, Philly Joe Jones… da ognuno ho cercato di prendere qualcosa, e sto continuando questo lavoro ascoltando anche musica e batteristi contemporanei come Bill Stewart, Brian Blade, Ari Hoenig, Billy Killson

M.L.: Quali sono stati i musicisti con cui hai collaborato (insegnanti o colleghi) che ti hanno influenzato, e quali hanno rappresentato per te l'aprirsi di nuove prospettive nel tuo modo di ascoltare e fare musica?

A.M.:
Qui diventa veramente difficile! Sono troppi! Sicuramente tutti i miei insegnanti e soprattutto quei musicisti che mi hanno iniziato al Jazz, il batterista Maurizio Planker, Max Carletti, Paolo Porta, il contrabbassista Mario Tavella e poi quelli con cui ho cominciato e continuo a fare concerti: Fulvio Albano, Guido Scategni, Alfredo Ponissi, Roberto Regis, Giorgio Licalzi, Emanuele Cisi, Claudio e Fulvio Chiara, Fabrizio Bosso, i pianisti Riccardo Ruggieri, Antonio Faraò, Riccardo Zegna, Renato Chicco... Queste persone mi hanno dato l'occasione di suonare con loro in un momento in cui ero molto inesperto e avevo molte più cose da chiarire sulla musica di quante ne abbia ora; mi hanno dato consigli e indicato i dischi da ascoltare, si sono un po' presi cura di me e mi hanno aiutato a crescere. Ci sono molte altre persone con cui ho collaborato in seguito, anche sporadicamente, alle quali sono altrettanto grato per ciò che si sono sforzati di trasmettermi, come Luigi Bonafede, quell'incredibile batterista e compositore che è Francesco Sotgiu o il Grande Steve Grossman...

M.L.: Trateggiami alcune figure – umane e professionali – importanti per te.

A.M.:
Anche qui sarebbero molte sia tra i musicisti con cui sono in contatto che tra quelli ormai entrati nella storia. Un personaggio che mi ha sempre impressionato è Wayne Shorter, un musicista in continua evoluzione, un compositore dalla creatività inesauribile, la sua musica mi ha ricaricato di energia dal primo momento che l'ho ascoltata. la sua vita privata ha avuto momenti durissimi ma lui si è rialzato più forte di prima! Il suo ultimo quartetto è qualcosa di incredibile, Footprints Live! secondo me è uno dei più bei dischi usciti negli ultimi vent'anni. L'ho conosciuto a Torino due anni fa.

M.L.: le cantanti (Francesca Sortino, Maria Pia De Vito, Dena DeRose) con cui hai suonato (così ne parliamo, che sono tutte mooolto brave... oltre a Francesca che conosco di persona ho incrociato Dena ad Anconajazz due anni fa, e mi ha fatto una buona impressione): come sei entrato in contatto con loro, che parte hai/avete avuto negli arrangiamenti, cosa apprezzi di loro;

A.M.:
Ho suonato con Maria Pia De Vito molti anni fa e credo di aver fatto con lei soltanto tre concerti organizzati da Luigi Martinale. Il ricordo che ho di lei è di una donna molto determinata con una gran bella voce e una forte personalità. Con Dena De Rose ho fatto un breve giro di concerti qualche anno fa organizzato dal mitico Alberto Alberti. E' stato un incontro importante, che mi ha arricchito parecchio. E' eccezionale sia come cantante che come pianista e arrangiatrice, ha veramente un grande feeling ed è veramente dedicata alla musica; ha cercato fin dal primo momento di creare il sound di un vero gruppo: anche se avevamo a disposizione solo poche date, il suo atteggiamento non è mai stato quello del professionista che arriva con le parti e storce il naso se sbagli un accento… abbiamo parlato molto di musica, c'era un entusiasmo incredibile e anche il pubblico l'ha percepito. Ogni tanto ci scriviamo. Spero di suonare con lei di nuovo. Francesca Sortino è un Talento naturale, ha un orecchio musicale fuori dal comune e quando parli con lei ti accorgi che ha già tutta la musica in testa, come se guardasse un quadro. In lei sento la piacevole influenza di Ella Fitzgerald e in generale delle grandi cantanti della storia del jazz americano. Il suo scat è portentoso! L'ho conosciuta grazie a Renato Chicco. Nel disco Kiss Me (Sugar, 2004) c'è un pezzo pop, Gloria di Umberto Tozzi. Era l'unico pezzo per cui non era stato ancora pensato un arrangiamento, così in studio, con il produttore che ascoltava tutto in regia, farneticavamo: « …e adesso? Cosa facciamo? Come lo suoniamo?». Poi Francesca fa: «Ci vuole un groove… Sandrino, suona qualcosa!». Così mi sono inventato sul momento il groove che ho usato per Gloria, e grazie all'abilità e al feeling dei miei colleghi l'arrangiamento è spuntato fuori in un attimo.

M.L.: Il jazz a Torino: quali sono le condizioni in cui si sviluppa e le idee che vi fervono, e che differenza trovi con altre città italiane di cui conosci "il giro"?

A.M.:
Torino è piena zeppa di musicisti di grande talento ma solo da poco abbiamo cominciato a capire che è una città da cui bisogna scappare. Intendo muoversi, viaggiare, suonare il più possibile altrove. Cream of MandarinsForse ultimamente sta migliorando, ai concerti ci sono più giovani anche tra il pubblico rispetto al passato. Comunque, i club storici sono chiusi da anni, gli altri aprono e chiudono e poi riaprono (e poi richiudono). Vorrei segnalare l'iniziativa del Magazzino di Gilgamesh di abbassare il prezzo del biglietto a € 5, un prezzo alla portata di tutti, no?… Guardando i cartelloni o i giornali apparentemente è una città musicalmente viva; nella realtà solo poche persone creano opportunità per gli artisti locali sul territorio. In questo senso ho avuto esperienze positive lavorando per Fulvio Albano dell'associazione musicale ARSIS con Ornella Tromboni del Centro Jazz e in passato anche Sergio Ramella dell'EuroJazzFestival mi ha dato qualche buona opportunità. In generale, in Italia, in questo momento storico chi organizza eventi e riceve fondi è costretto a pensare prima di tutto al ritorno d'immagine e al guadagno, ma una promozione mirata degli artisti esiste solo per chi è talmente famoso da non averne più bisogno. A Londra sul quotidiano "The Guardian" (che tra l'altro ha recensito benissimo Cream of Mandarins, il disco che ho realizzato assieme a Danilo Gallo e Jonathan Gee) ho potuto leggere due pagine intere con foto di interviste e profili dei nuovi artisti locali. Questo dimostra una cura e un'attenzione non settarie nei confronti dell'arte della propria terra. In Italia se non hai la fortuna di entrare nelle grazie di qualche personaggio importante, sei praticamente invisibile… Per quanto riguarda la stabilità e la quantità dei club, ci sono città più fortunate di Torino, credo che le migliori siano Bologna e Roma. Ci sono due realtà importanti, adesso, qui a Torino, nelle quali sono attivo. Una è il Collettivo MU ("musica urgente"), l'altra, più rivolta al mainstream, è legata al JCT - Jazz Club Torino (il cui presidente onorario è Gianni Basso), collegato al festival Due Laghi.

M.L.: Ci saranno sicuramente dei progetti a cui hai lavorato in passato e che ci tieni a menzionare.

A.M.:
Ho lavorato per lo più in progetti e gruppi di altri. Anni fa avevo un quartetto a mio nome con Paolo Porta, Antonio Zambrini e Alessandro Maiorino. Suonavamo brani originali di ciascuno e qualche standard. Avevo veramente scelto questi musicisti sia per la loro apertura mentale che per il loro sound: Paolo di estrazione hard bop grande fan di Joe Henderson, con una notevole esperienza nei più svariati contesti musicali e molto abile nella scrittura e nell'arrangiamento; Antonio più influenzato da Jarrett e dal jazz europeo e compositore molto interessante e Alessandro che era la colonna portante dei migliori gruppi di Torino di allora. Era un'ottima band, ho ancora delle registrazioni. Mi piacerebbe rimetterla di nuovo in piedi. Ho registrato diversi dischi come sideman, con Giorgio Licalzi, Lorenzo Minguzzi, Luigi Martinale, Francesca Sortino, Melissa Stott (è uscito da poco il suo disco Why Now… tenetela d'occhio) e altri. C'è poi un lavoro che ho fatto un po' di tempo fa con Carmelo Tartamella e Carmelo Leotta, un disco di brani originali dal titolo Un Gatto Attraversa La Strada (Note Sparse, 2002). Ci si vede abbastanza spesso per suonare. Di questi due jazzisti mi piace la loro estrazione blues, sono entrambi profondi in questo senso e ultimamente stanno suonando particolarmente bene.

M.L.: Ecco, parlami degli ultimi dischi che sono usciti e che ti vedono coinvolto.

A.M.:
In questi ultimi anni ho avuto l'onore e la fortuna di fare conoscere dei musicisti eccezionali, con i quali ho lavorato da subito sulla musica in funzione della produzione di cd. Questo ha dato a tutti una forte motivazione a continuare a suonare e promuoversi sempre di più… nel 2004 è uscito Somethin' Special, un album dal suono classico, tributo a Sonny Clark e Clark Terry. Quest'ultimo ha fatto le liner notes del disco. Ci suonano Nico Menci, Paolo Benedettini, Stepko "Steve" Gut più Carlo Atti come ospite. Sono dei musicisti formidabili, specialmente in questo tipo di musica. Purtroppo non è stato ancora recensito da nessuno, ma il gruppo ha già tre tour all'attivo. Sempre nel 2004 è uscito Cream of Mandarins del trio Gee, Gallo, Minetto, prodotto e registrato da Stefano Amerio di Artesuono. Pietro Ciancaglini, Barend Middelhoff, Alessandro MinettoSia dal punto di vista della creatività e dell'apertura a varie influenze che del feeling, è uno dei migliori gruppi che abbia mai avuto. Inoltre siamo tutti e tre impegnati a rendere sostenibile questo progetto, organizzando tour, promuovendo, scrivendo nuova musica. Siamo appena stati a suonare sei giorni di seguito al Ronnie Scott's di Londra: oltre ad essere stata un'esperienza esaltante e incoraggiante per il riscontro che abbiamo avuto, è stata un'ottima occasione per lavorare al prossimo disco. Purtroppo in Italia Cream of Mandarins è stato recensito solo su siti web, le testate specializzate e i giornalisti forse non l'hanno ancora ricevuto?!? Ancora, nel 2004 è uscito Kiss Me di Francesca Sortino per la Sugar. Siamo ancora attivi con la formazione del disco, purtroppo spesso ridotta a quintetto per motivi di budget… Vorrei dire che sia in fase di registrazione che per tutte le cose fatte prima e dopo il cd, Robert Bonisolo è stato di grande aiuto. Mette sempre tutti a proprio agio e ricevere incoraggiamenti e consigli da un gigante del saxofono come lui mi ha dato molta motivazione. C'è poi un gruppo nuovo che ha appena registrato un cd in Olanda che uscirà tra breve. Mi trovo veramente molto bene con tutti i componenti del gruppo che sono: Barend Middelhoff (tenor sax), Gerard Klein (tromba e flicorno) e Pietro Ciancaglini al contrabbasso. Suoniamo prevalentemente brani originali di Pietro, Barend e Gerard. Il gruppo ha un sound moderno con notevoli influenze cool con qualche riferimento alla scuola di Lee Konitz e Lennie Tristano e sfumature etniche in qualche brano. Mi piace veramente un sacco! Middelhof è un musicista maturo, intelligente che ha un forte senso dell'interplay, un fraseggio molto articolato, un suono gentile ma carico di emozione e a tratti anche graffiante. Pietro ha queste due grandi qualità di sensibilità e forza che insieme a una notevole preparazione gli consentono di fare sempre la cosa migliore al momento giusto, è incredibile. Gerard aggiunge al tutto una vena innovativa sia nel colore dei suoi bellissimi assolo che nelle sue composizioni. Per ora non siamo riusciti a portare in Italia la band al completo. Stanno per uscire due dischi di Alfredo Ponissi. Il titolo del primo sarà The Good Life Quartet. Alfredo è stato l'insegnante di un gran numero di saxofonisti torinesi, alcuni dei quali ormai noti ai più. Suona molto bene tutti i saxofoni e il flauto ed è un grande conoscitore del jazz. Mi piace molto suonare i suoi pezzi. Al contrabbasso c'è Stefano Solani con cui collaboro da alcuni anni, e al pianoforte Guido Canavese di cui vi segnalo il cd Zoe (Jazzmobilerecords, 2001). In questo gruppo si alternano sonorità mainstream a sfrenati happening modali, ballate e qualche raro momento free. Questi musicisti, hanno una notevole cultura musicale, e riescono a miscelare con abilità vari linguaggi con molto cuore ed attenzione all'ensemble.

M.L.: Parlami adesso dei tuoi progetti futuri.

A.M.:
Un trio con Paolo Porta e Marco Siniscalco che potrebbe estendersi a quartetto con Peter Nielander alla chitarra. Da qualche anno sto buttando giù degli appunti per un metodo, se alla fine mi convincerà cercherò di pubblicarlo; le bozze sono piaciute a Marco Volpe, ma io non sono ancora convinto…

M.L.: E a parte i progetti reali... hai sogni nel cassetto?

A.M.:
Certo che sì! Realizzare un disco a mio nome, e poter suonare con uno dei musicisti di cui sono grande fan, Shorter o Hancock per esempio.

M.L.: Quali differenze osservi tra la percezione e la diffusione del jazz in Italia e all'estero (visto che vi suoni spesso)?

A.M.:
Devo dire che in Nord Europa il pubblico del jazz ha più attenzione per la musica in se stessa piuttosto che per il personaggio che la suona. C'è più attenzione per il genere in generale e la gente non va a vedere solo i gruppi famosi pur prediligendoli… In Brasile il calore del pubblico è stato eccezionale. Il jazz è presente ed attivo nelle grandi città ma non ho avuto il tempo di approfondire molto, c'è troppa roba interessante. In Vietnam ho sentito chiaramente il rispetto e anche la curiosità della gente e forse un modo di percepire diverso dal nostro. Ricordo che durante un mio solo mi stavo incartando ma in quell'attimo sono riuscito con un atto di volontà ad andare oltre l'errore a raddrizzare il tutto, una cosa che non so spiegare neanche io: si è scatenato il più grande applauso che abbia mai ricevuto, come se quell'atto di volontà fosse più importante di tutto il resto. Strano no?

M.L.: Hai da molto tempo una considerevole esperienza nella didattica sia come insegnante che, dall'anno scorso e come pure quest'anno, in qualità di assistente alle Berklee Clinics durante Umbriajazz. Vuoi parlarcene?

A.M.:
Ho lavorato in diverse scuole di musica, ho fatto l'assistente alle clinics dell'Appennino Music Festival, Due laghi Jazz Festival e Umbria Jazz. Sono state tutte ottime esperienze, occasioni per confrontarsi e apprendere da grandi insegnanti, e un'opportunità per conoscere tanti giovani musicisti. L'esperienza con la Berklee è stata molto buona; la loro didattica, la loro preparazione e organizzazione e il loro modo di comunicare con gli allievi non sono cose lasciate al caso, mi ha impressionato. Ron Savage è un'insegnante fantastico. Spero di ripetere questa esperienza.

M.L.: Dei musicisti con cui hai suonato ce ne sono alcuni molto, molto bravi (tipo Atti) che non hanno molta visibilità rispetto a quanto invece meriterebbero, se vuoi ne parliamo.

A.M.:
Ci sono moltissimi musicisti di talento che non hanno visibilità o ne hanno ma non adeguata alle proprie qualità artistiche, le ragioni di ciò sono diverse. Nel caso di Carlo credo che il suo carattere giochi un po' a sfavore, ma i musicisti non possono rimanere indifferenti a ciò che riesce a fare con il saxofono e il lavoro non gli manca; non ha lasciato indifferente neppure Sonny Rollins! E' uno strumentista di altissimo livello apprezzato anche dai musicisti d'oltreoceano ed ha una grande comunicativa, chiunque l'abbia sentito ha percepito qualcosa di speciale. Forse non gli interessa molto entrare nel business o anche semplicemente promuoversi, come è diventato inevitabile fare di questi tempi. L'unica sua forma di promozione che io conosca è suonare sempre ovunque e di fronte a chiunque! Penso che in generale, manchi equilibrio tra ciò che è business e ciò che è arte. Il jazz non è affatto immune dalla deplorevole tendenza del nostro tempo basata principalmente sull'immagine, il culto della personalità e la rendita economica. Questo è spesso diseducativo. Ho notato tra i giovani, ma non solo, l'atteggiamento di chi vive la musica come una scalata sociale e non come un momento di espressione né di aggregazione, di arte, di dono o di scambio. D'altronde manca l'educazione, non è certo una novità e gli esempi forniti dai media influenzano un po' tutti, anche la musica stessa, che diventa spesso noiosa o forzatamente complicata oppure semplicemente pretenziosa ma priva una qualsiasi autentica componente spirituale.

M.L.: Vogliamo toccare lo spinoso argomento dell'educazione musicale dei giovani in genere?

A.M.:
Purtroppo, ce l'ha solo chi la cerca o chi se la può permettere, salvo alcune iniziative di associazioni che lavorano in collaborazione con i comuni nelle scuole superiori. Il supporto a questi appuntamenti musicali è comunque molto scarso, per di più dato che questi lavori vengono dati in appalto, bisogna scontrarsi con delle realtà incresciose; per esempio a Torino pare che gli incontri denominati "Le chiavi della musica" ideati dal giornalista Marco Basso passeranno per motivi non precisati, nelle mani di alcuni rampanti musicisti classici, e che le sezioni Jazz e Rock verranno soppresse. Marco ha un diavolo per capello e come lui tutti i musicisti che hanno collaborato al progetto. Al di là del nostro personale dispiacere, i giovani che assisteranno ai nuovi incontri non avranno più un'informazione di ampia portata come in precedenza, ma una "mappazza" teorica con pretesi collegamenti alle altre materie di studio. Non verrà offerta loro l'occasione di scegliere all'interno di un panorama musicale ampio, fatto di quella musica che non passa più in televisione… e tutto ciò è una schifezza!

M.L.: Come si concilia la vita del musicista con la cosiddetta "normalità"? (Mi riferisco ai luoghi comuni per cui si stenta a mantenere una certa serenità economica, familiare, epatica!!!)

A.M.: Mi ritengo molto fortunato, riesco a mantenermi principalmente suonando e come supporto, dando qualche lezione; molti dei musicisti che conosco fanno esattamente il contrario. Sto da dieci anni con una ragazza, artista anche lei in campo non musicale; trovare un equilibrio è stato difficile: a volte sto via per lunghi periodi, a volte né io né lei abbiamo guadagnato abbastanza per finire il mese in tranquillità... ma con il tempo abbiamo imparato ad adattarci ai ritmi di questo tipo di di vita! La musica occupa gran parte del mio tempo ma cerco di non trascurare le cose di tutti i giorni, la vita, lo stare insieme… ho anche una cagnolina! Inoltre faccio parte della Soka Gakkai, sono buddista e sono attivo anche in quest'ambito.

Alessandro ed io abbiamo lavorato a quest'intervista qualche mese fa, tramite uno scambio di email iniziato la sera d'ottobre che andai ad ascoltarlo al Caruso Jazz Café di Firenze, dove suonava con i miei amici e conterranei Riccardo Arrighini e Paolo Bendettini; si ricordava per filo e per segno del lunedì d'aprile in cui mi unii in jam al suo trio con Paolo e con Nico Menci (di cui parlo all'inizio della mia intervista a Benedettini) a Pisa, e la cosa mi impressionò. Forse proprio in corrispondenza del concerto fiorentino è maturato il progetto del nuovo trio a nome di Riccardo di cui Alessandro fa parte insieme a Paolo, e per tale motivo non ne fa menzione nell'intervista che mi ha rilasciato. C'era da immaginarselo che una ritmica così affiatata come quella di Benedettini e Minetto, incontrato l'entusiasmo e il talento di un altro astro in ascesa come quello di Arrighini (a fine marzo 2006 la sua esibizione al leggendario Birdland di New York, al fianco – ormai lo è stabilmente – di Francesco Cafiso), meditasse di coltivare e far fruttare le loro doti d'interplay in una formazione-chiave come quella del trio. Non potevo però immaginare che due mesi dopo quel concerto anch'io sarei entrata a far parte del gruppo, come ospite (e coautrice di due brani) sul loro disco che sarà pubblicato tra poco per la Philology (si intitolerà Black On White) e al contempo come solista featured dal trio per un intero disco voluto da Paolo Piangiarelli (per la cui etichetta avevo già pubblicato, due anni fa, il mio primo tributo ad Irene Kral dal titolo Small Day Tomorrow) con un repertorio dedicato interamente a Chet Baker, anch'esso di prossima uscita, dal titolo Starry Eyed Again (Chet On Our Minds). Ma di come sia nato il tutto parlerò nelle liner notes del disco. Di quanto Minetto sia profondo e appassionato conoscitore della propria materia, abbia un carattere di rara mitezza, dia splendidamente peso al lato spirituale restando però equilibrato e well-grounded… lo si evince da queste righe, spero. Di quanto, infine, tutto ciò faccia di lui un musicista solido quanto emozionante, scopritelo semplicemente andandolo ad ascoltare!







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Data pubblicazione: 23/08/2006

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