Intervista ad
Alessandro Minetto
di
Michela Lombardi
M.L.: Come hai iniziato
a suonare, chi ti ha incoraggiato, cosa ti ha spinto a farne, a 22 anni, la tua
professione?
A.M.: Ho iniziato più o meno a 14 anni, frequentavo una sala prove di un
centro di incontro comunale in periferia di Torino. Claudio Truglio, il batterista
del gruppo (punk!) che seguivo mi ha fece provare la batteria e mi insegnò le prime
cose. Fu lui, ad incoraggiarmi a prendere lezioni. Andai da Alberto Bucci,
e fu un'esperienza fondamentale sia per la batteria in senso tecnico che per il
più vasto mondo musicale a cui Alberto mi ha costantemente avvicinato. Nessuno
dei miei vari insegnanti mi ha mai incoraggiato a diventare professionista; mi hanno
costantemente informato sia riguardo alle difficoltà che alle soddisfazioni che
avrei incontrato intraprendendo questa strada. E' stata una libera scelta conseguentemente
alla quale ho ricevuto un ingaggio in un orchestra folk tramite il mio secondo insegnante
(secondo in termini di tempo), Giorgio Gandino.
M.L.: Quali sono stati
i grandi musicisti del passato che ti hanno influenzato, e quali hanno rappresentato
per te l'aprirsi di nuove prospettive nel tuo modo di ascoltare e fare musica?
A.M.: Citarli tutti sarebbe
un po' lungo ma in sintesi direi che Miles Davis,
John Coltrane,
Charlie Parker, Joe Henderson,
Herbie Hancock,
Wayne Shorter, Bill Evans sono quelli di cui ho seguito
e continuo a seguire il percorso artistico in tutte le tappe della loro storia.
Per un periodo ho ascoltato assiduamente i gruppi di
Keith
Jarrett… Ci sono moltissimi altri musicisti che vorrei citare e
che magari conosco meno bene, come Lee Morgan, Cannonball Adderley,
Thelonious Monk,
Stan Getz, Booker Little, Eric Dolphy,
Ornette
Coleman, Dexter Gordon, Lester Young,
Louis Armstrong,
Bix Beiderbecke, Clifford Brown o
John Scofield,
Kenny Kirkland, Wynton Marsalis… In definitiva ciascuno
dei dischi che ho a casa è importante, inclusi quelli di pop, di fusion, di musica
etnica, latin, funk etc. Ritengo fondamentale la tradizione jazzistica, per me viene
tutto da lì.
Allo
stesso tempo voglio apprendere da qualsiasi cosa cercando di attingere da tutte
le fonti di musica possibili. Nel processo di apprendimento mi sono quasi sempre
affidato alle emozioni, solo alcune volte mi sono imposto di ascoltare della musica
che in un primo momento mi risultava incomprensibile e non mi piaceva un gran che.
Ci sono dischi di cui sono innamorato e che ho riascoltato in continuazione per
molto tempo; in questo modo ho scoperto alcune cose che hanno giocato un ruolo importante
nel mio modo di suonare. Kind Of Blue di
Miles Davis mi ha fatto riflettere un sacco su come accompagnare con
gusto, scegliendo il più possibile i colpi, creare atmosfera, reagire al suono degli
altri con cuore ma con "discrezione".
Ju Ju di
Wayne Shorter mi ha sempre impressionato sia per la profondità che
per la forza fisica che esprime, mi ha aiutato a mettermi alla prova, a cercare
di suonare in situazioni che richiedono molta energia e concentrazione. In
Go! di Dexter Gordon
la sezione ritmica Sonny Clark, Butch Warren e
Billy Higgins ha uno swing ed un incastro eccezionali, che si amalgamano
perfettamente al time di Dexter. Un altro disco che amo è
Personal Mountains di
Keith
Jarrett con Garbarek, Christensen e Danielsson,
un disco del 1979… I batteristi che mi hanno
influenzato di più hanno suonato in questi gruppi, ma ce ne sono molti altri, ad
esempio Roy Haynes, Tony Williams, Art Taylor,
Philly Joe Jones… da ognuno ho cercato di prendere qualcosa, e sto
continuando questo lavoro ascoltando anche musica e batteristi contemporanei come
Bill Stewart,
Brian Blade, Ari Hoenig, Billy Killson…
M.L.: Quali sono stati
i musicisti con cui hai collaborato (insegnanti o colleghi) che ti hanno influenzato,
e quali hanno rappresentato per te l'aprirsi di nuove prospettive nel tuo modo di
ascoltare e fare musica?
A.M.: Qui diventa veramente difficile! Sono troppi! Sicuramente tutti i miei
insegnanti e soprattutto quei musicisti che mi hanno iniziato al Jazz, il batterista
Maurizio Planker, Max Carletti,
Paolo Porta,
il contrabbassista Mario Tavella e poi quelli con cui ho cominciato e continuo
a fare concerti: Fulvio Albano, Guido Scategni, Alfredo
Ponissi, Roberto Regis, Giorgio Licalzi,
Emanuele
Cisi, Claudio e Fulvio Chiara,
Fabrizio Bosso,
i pianisti Riccardo Ruggieri,
Antonio Faraò,
Riccardo Zegna,
Renato Chicco... Queste persone mi hanno dato l'occasione di suonare
con loro in un momento in cui ero molto inesperto e avevo molte più cose da chiarire
sulla musica di quante ne abbia ora; mi hanno dato consigli e indicato i dischi
da ascoltare, si sono un po' presi cura di me e mi hanno aiutato a crescere. Ci
sono molte altre persone con cui ho collaborato in seguito, anche sporadicamente,
alle quali sono altrettanto grato per ciò che si sono sforzati di trasmettermi,
come Luigi
Bonafede, quell'incredibile batterista e compositore che è
Francesco Sotgiu o il Grande
Steve
Grossman...
M.L.: Trateggiami alcune
figure – umane e professionali – importanti per te.
A.M.: Anche qui sarebbero molte sia tra i musicisti con cui sono in contatto
che tra quelli ormai entrati nella storia. Un personaggio che mi ha sempre impressionato
è
Wayne Shorter, un musicista in continua evoluzione, un compositore
dalla creatività inesauribile, la sua musica mi ha ricaricato di energia dal primo
momento che l'ho ascoltata. la sua vita privata ha avuto momenti durissimi ma lui
si è rialzato più forte di prima! Il suo ultimo quartetto è qualcosa di incredibile,
Footprints Live! secondo
me è uno dei più bei dischi usciti negli ultimi vent'anni. L'ho conosciuto a Torino
due anni fa.
M.L.: le cantanti (Francesca
Sortino,
Maria Pia De
Vito, Dena DeRose) con cui hai suonato
(così ne parliamo, che sono tutte mooolto brave... oltre a Francesca che conosco
di persona ho incrociato Dena ad Anconajazz due anni fa, e mi ha fatto una buona impressione): come
sei entrato in contatto con loro, che parte hai/avete avuto negli arrangiamenti,
cosa apprezzi di loro;
A.M.: Ho suonato con
Maria Pia De
Vito molti anni fa e credo di aver fatto con lei soltanto tre concerti
organizzati da
Luigi Martinale.
Il ricordo che ho di lei è di una donna molto determinata con una gran bella voce
e una forte personalità. Con Dena De Rose ho fatto un breve giro di concerti
qualche anno fa organizzato dal mitico Alberto Alberti. E' stato un incontro
importante, che mi ha arricchito parecchio. E' eccezionale sia come cantante che
come pianista e arrangiatrice, ha veramente un grande feeling ed è veramente dedicata
alla musica; ha cercato fin dal primo momento di creare il sound di un vero gruppo:
anche se avevamo a disposizione solo poche date, il suo atteggiamento non è mai
stato quello del professionista che arriva con le parti e storce il naso se sbagli
un accento… abbiamo parlato molto di musica, c'era un entusiasmo incredibile e anche
il pubblico l'ha percepito. Ogni tanto ci scriviamo. Spero di suonare con lei di
nuovo.
Francesca
Sortino è un Talento naturale, ha un orecchio musicale fuori dal comune
e quando parli con lei ti accorgi che ha già tutta la musica in testa, come se guardasse
un quadro. In lei sento la piacevole influenza di Ella Fitzgerald
e in generale delle grandi cantanti della storia del jazz americano. Il suo scat
è portentoso! L'ho conosciuta grazie a Renato Chicco. Nel disco
Kiss Me (Sugar,
2004) c'è un pezzo pop,
Gloria di Umberto Tozzi.
Era l'unico pezzo per cui non era stato ancora pensato un arrangiamento, così in
studio, con il produttore che ascoltava tutto in regia, farneticavamo: « …e adesso?
Cosa facciamo? Come lo suoniamo?». Poi Francesca fa: «Ci vuole un groove…
Sandrino, suona qualcosa!». Così mi sono inventato sul momento il groove che
ho usato per Gloria, e grazie all'abilità e al feeling dei miei colleghi
l'arrangiamento è spuntato fuori in un attimo.
M.L.: Il jazz a Torino:
quali sono le condizioni in cui si sviluppa e le idee che vi fervono, e che differenza
trovi con altre città italiane di cui conosci "il giro"?
A.M.: Torino è piena zeppa di musicisti di grande talento ma solo da poco
abbiamo cominciato a capire che è una città da cui bisogna scappare. Intendo muoversi,
viaggiare, suonare il più possibile altrove.
Forse
ultimamente sta migliorando, ai concerti ci sono più giovani anche tra il pubblico
rispetto al passato. Comunque, i club storici sono chiusi da anni, gli altri aprono
e chiudono e poi riaprono (e poi richiudono). Vorrei segnalare l'iniziativa del
Magazzino di Gilgamesh
di abbassare il prezzo del biglietto a € 5, un prezzo alla portata di tutti, no?…
Guardando i cartelloni o i giornali apparentemente è una città musicalmente viva;
nella realtà solo poche persone creano opportunità per gli artisti locali sul territorio.
In questo senso ho avuto esperienze positive lavorando per Fulvio Albano
dell'associazione musicale ARSIS
con Ornella Tromboni del
Centro Jazz e in passato anche Sergio Ramella dell'EuroJazzFestival
mi ha dato qualche buona opportunità. In generale, in Italia, in questo momento
storico chi organizza eventi e riceve fondi è costretto a pensare prima di tutto
al ritorno d'immagine e al guadagno, ma una promozione mirata degli artisti esiste
solo per chi è talmente famoso da non averne più bisogno. A Londra sul quotidiano
"The Guardian" (che tra l'altro ha recensito benissimo
Cream of Mandarins,
il disco che ho realizzato assieme a
Danilo Gallo
e Jonathan Gee) ho potuto leggere due pagine intere con foto di interviste
e profili dei nuovi artisti locali. Questo dimostra una cura e un'attenzione non
settarie nei confronti dell'arte della propria terra. In Italia se non hai la fortuna
di entrare nelle grazie di qualche personaggio importante, sei praticamente invisibile…
Per quanto riguarda la stabilità e la quantità dei club, ci sono città più fortunate
di Torino, credo che le migliori siano Bologna e Roma. Ci sono due realtà importanti,
adesso, qui a Torino, nelle quali sono attivo. Una è il Collettivo MU ("musica
urgente"), l'altra, più rivolta al mainstream, è legata al JCT - Jazz Club Torino
(il cui presidente onorario è Gianni Basso), collegato al
festival Due Laghi.
M.L.: Ci saranno sicuramente
dei progetti a cui hai lavorato in passato e che ci tieni a menzionare.
A.M.: Ho lavorato per lo più in progetti e gruppi di altri. Anni fa avevo
un quartetto a mio nome con
Paolo Porta,
Antonio
Zambrini e Alessandro Maiorino. Suonavamo brani originali
di ciascuno e qualche standard. Avevo veramente scelto questi musicisti sia per
la loro apertura mentale che per il loro sound: Paolo di estrazione hard
bop grande fan di Joe Henderson, con una notevole esperienza nei più
svariati contesti musicali e molto abile nella scrittura e nell'arrangiamento;
Antonio più influenzato da Jarrett e dal jazz europeo e compositore
molto interessante e Alessandro che era la colonna portante dei migliori
gruppi di Torino di allora. Era un'ottima band, ho ancora delle registrazioni. Mi
piacerebbe rimetterla di nuovo in piedi. Ho registrato diversi dischi come sideman,
con Giorgio Licalzi,
Lorenzo Minguzzi,
Luigi Martinale,
Francesca
Sortino,
Melissa Stott
(è uscito da poco il suo disco
Why Now… tenetela d'occhio) e altri. C'è poi un lavoro che ho fatto un
po' di tempo fa con
Carmelo
Tartamella e Carmelo Leotta, un disco di brani originali
dal titolo Un Gatto Attraversa
La Strada (Note Sparse, 2002).
Ci si vede abbastanza spesso per suonare. Di questi due jazzisti mi piace la loro
estrazione blues, sono entrambi profondi in questo senso e ultimamente stanno suonando
particolarmente bene.
M.L.: Ecco, parlami degli
ultimi dischi che sono usciti e che ti vedono coinvolto.
A.M.: In questi ultimi anni ho avuto l'onore e la fortuna di fare conoscere
dei musicisti eccezionali, con i quali ho lavorato da subito sulla musica in funzione
della produzione di cd.
Questo
ha dato a tutti una forte motivazione a continuare a suonare e promuoversi sempre
di più… nel 2004 è uscito
Somethin' Special, un album
dal suono classico, tributo a Sonny Clark e
Clark Terry.
Quest'ultimo ha fatto le liner notes del disco. Ci suonano Nico Menci,
Paolo
Benedettini, Stepko "Steve" Gut più
Carlo Atti
come ospite. Sono dei musicisti formidabili, specialmente in questo tipo di musica.
Purtroppo non è stato ancora recensito da nessuno, ma il gruppo ha già tre tour
all'attivo. Sempre nel 2004 è uscito
Cream of Mandarins
del trio Gee,
Gallo,
Minetto,
prodotto e registrato da Stefano Amerio di
Artesuono.
Sia
dal punto di vista della creatività e dell'apertura a varie influenze che del feeling,
è uno dei migliori gruppi che abbia mai avuto. Inoltre siamo tutti e tre impegnati
a rendere sostenibile questo progetto, organizzando tour, promuovendo, scrivendo
nuova musica. Siamo appena stati a suonare sei giorni di seguito al
Ronnie Scott's di Londra:
oltre ad essere stata un'esperienza esaltante e incoraggiante per il riscontro che
abbiamo avuto, è stata un'ottima occasione per lavorare al prossimo disco. Purtroppo
in Italia
Cream of Mandarins
è stato recensito solo su siti web, le testate specializzate e i giornalisti forse
non l'hanno ancora ricevuto?!? Ancora, nel 2004
è uscito
Kiss Me di
Francesca
Sortino per la Sugar. Siamo ancora attivi con la formazione
del disco, purtroppo spesso ridotta a quintetto per motivi di budget… Vorrei dire
che sia in fase di registrazione che per tutte le cose fatte prima e dopo il cd,
Robert
Bonisolo è stato di grande aiuto. Mette sempre tutti a proprio agio
e ricevere incoraggiamenti e consigli da un gigante del saxofono come lui mi ha
dato molta motivazione. C'è poi un gruppo nuovo che ha appena registrato un cd in
Olanda che uscirà tra breve. Mi trovo veramente molto bene con tutti i componenti
del gruppo che sono: Barend Middelhoff (tenor sax), Gerard Klein
(tromba e flicorno) e Pietro Ciancaglini al contrabbasso. Suoniamo
prevalentemente brani originali di Pietro, Barend e Gerard.
Il gruppo ha un sound moderno con notevoli influenze cool con qualche riferimento
alla scuola di
Lee Konitz e Lennie Tristano e sfumature etniche
in qualche brano. Mi piace veramente un sacco! Middelhof è un musicista maturo,
intelligente che ha un forte senso dell'interplay, un fraseggio molto articolato,
un suono gentile ma carico di emozione e a tratti anche graffiante. Pietro
ha queste due grandi qualità di sensibilità e forza che insieme a una notevole preparazione
gli consentono di fare sempre la cosa migliore al momento giusto, è incredibile.
Gerard aggiunge al tutto una vena innovativa sia nel colore dei suoi bellissimi
assolo che nelle sue composizioni. Per ora non siamo riusciti a portare in Italia
la band al completo. Stanno per uscire due dischi di Alfredo Ponissi.
Il titolo del primo sarà The Good
Life Quartet. Alfredo è stato l'insegnante di un gran numero di
saxofonisti torinesi, alcuni dei quali ormai noti ai più. Suona molto bene tutti
i saxofoni e il flauto ed è un grande conoscitore del jazz. Mi piace molto suonare
i suoi pezzi. Al contrabbasso c'è Stefano Solani con cui collaboro
da alcuni anni, e al pianoforte Guido Canavese di cui vi segnalo il
cd Zoe (Jazzmobilerecords,
2001). In questo gruppo si alternano sonorità
mainstream a sfrenati happening modali, ballate e qualche raro momento free.
Questi musicisti, hanno una notevole cultura musicale, e riescono a miscelare con
abilità vari linguaggi con molto cuore ed attenzione all'ensemble.
M.L.: Parlami adesso
dei tuoi progetti futuri.
A.M.: Un trio con
Paolo Porta
e Marco Siniscalco che potrebbe estendersi a quartetto con Peter
Nielander alla chitarra. Da qualche anno sto buttando giù degli appunti per
un metodo, se alla fine mi convincerà cercherò di pubblicarlo; le bozze sono piaciute
a Marco Volpe,
ma io non sono ancora convinto…
M.L.: E a parte i progetti
reali... hai sogni nel cassetto?
A.M.: Certo che sì! Realizzare un disco a mio nome, e poter suonare con uno
dei musicisti di cui sono grande fan, Shorter o Hancock per esempio.
M.L.: Quali differenze
osservi tra la percezione e la diffusione del jazz in Italia e all'estero (visto
che vi suoni spesso)?
A.M.: Devo dire che in Nord Europa il pubblico del jazz ha più attenzione
per la musica in se stessa piuttosto che per il personaggio che la suona. C'è più
attenzione per il genere in generale e la gente non va a vedere solo i gruppi famosi
pur prediligendoli… In Brasile il calore del pubblico è stato eccezionale. Il jazz
è presente ed attivo nelle grandi città ma non ho avuto il tempo di approfondire
molto, c'è troppa roba interessante. In Vietnam ho sentito chiaramente il rispetto
e anche la curiosità della gente e forse un modo di percepire diverso dal nostro.
Ricordo che durante un mio solo mi stavo incartando ma in quell'attimo sono riuscito
con un atto di volontà ad andare oltre l'errore a raddrizzare il tutto, una cosa
che non so spiegare neanche io: si è scatenato il più grande applauso che abbia
mai ricevuto, come se quell'atto di volontà fosse più importante di tutto il resto.
Strano no?
M.L.: Hai da molto tempo
una considerevole esperienza nella didattica sia come insegnante che, dall'anno
scorso e come pure quest'anno, in qualità di assistente alle Berklee Clinics durante
Umbriajazz. Vuoi parlarcene?
A.M.: Ho lavorato in diverse scuole di musica, ho fatto l'assistente alle
clinics dell'Appennino Music Festival,
Due laghi Jazz Festival e
Umbria Jazz. Sono state tutte
ottime esperienze, occasioni per confrontarsi e apprendere da grandi insegnanti,
e un'opportunità per conoscere tanti giovani musicisti. L'esperienza con la Berklee
è stata molto buona; la loro didattica, la loro preparazione e organizzazione e
il loro modo di comunicare con gli allievi non sono cose lasciate al caso, mi ha
impressionato. Ron Savage è un'insegnante fantastico. Spero di ripetere
questa esperienza.
M.L.: Dei musicisti con
cui hai suonato ce ne sono alcuni molto, molto bravi (tipo
Atti)
che non hanno molta visibilità rispetto a quanto invece meriterebbero, se vuoi ne
parliamo.
A.M.: Ci sono moltissimi musicisti di talento che non hanno visibilità o
ne hanno ma non adeguata alle proprie qualità artistiche, le ragioni di ciò sono
diverse. Nel caso di
Carlo
credo che il suo carattere giochi un po' a sfavore, ma i musicisti non possono
rimanere indifferenti a ciò che riesce a fare con il saxofono e il lavoro non gli
manca; non ha lasciato indifferente neppure
Sonny Rollins!
E'
uno strumentista di altissimo livello apprezzato anche dai musicisti d'oltreoceano
ed ha una grande comunicativa, chiunque l'abbia sentito ha percepito qualcosa di
speciale. Forse non gli interessa molto entrare nel business o anche semplicemente
promuoversi, come è diventato inevitabile fare di questi tempi. L'unica sua forma
di promozione che io conosca è suonare sempre ovunque e di fronte a chiunque! Penso
che in generale, manchi equilibrio tra ciò che è business e ciò che è arte. Il jazz
non è affatto immune dalla deplorevole tendenza del nostro tempo basata principalmente
sull'immagine, il culto della personalità e la rendita economica. Questo è spesso
diseducativo. Ho notato tra i giovani, ma non solo, l'atteggiamento di chi vive
la musica come una scalata sociale e non come un momento di espressione né di aggregazione,
di arte, di dono o di scambio. D'altronde manca l'educazione, non è certo una novità
e gli esempi forniti dai media influenzano un po' tutti, anche la musica stessa,
che diventa spesso noiosa o forzatamente complicata oppure semplicemente pretenziosa
ma priva una qualsiasi autentica componente spirituale.
M.L.: Vogliamo toccare
lo spinoso argomento dell'educazione musicale dei giovani in genere?
A.M.: Purtroppo, ce l'ha solo chi la cerca o chi se la può permettere, salvo
alcune iniziative di associazioni che lavorano in collaborazione con i comuni nelle
scuole superiori. Il supporto a questi appuntamenti musicali è comunque molto scarso,
per di più dato che questi lavori vengono dati in appalto, bisogna scontrarsi con
delle realtà incresciose; per esempio a Torino pare che gli incontri denominati
"Le chiavi della musica" ideati dal giornalista Marco Basso passeranno
per motivi non precisati, nelle mani di alcuni rampanti musicisti classici, e che
le sezioni Jazz e Rock verranno soppresse. Marco ha un diavolo per capello
e come lui tutti i musicisti che hanno collaborato al progetto. Al di là del nostro
personale dispiacere, i giovani che assisteranno ai nuovi incontri non avranno più
un'informazione di ampia portata come in precedenza, ma una "mappazza" teorica con
pretesi collegamenti alle altre materie di studio. Non verrà offerta loro l'occasione
di scegliere all'interno di un panorama musicale ampio, fatto di quella musica che
non passa più in televisione… e tutto ciò è una schifezza!
M.L.: Come si concilia
la vita del musicista con la cosiddetta "normalità"? (Mi riferisco ai luoghi comuni
per cui si stenta a mantenere una certa serenità economica, familiare, epatica!!!)
A.M.: Mi ritengo molto
fortunato, riesco a mantenermi principalmente suonando e come supporto, dando qualche
lezione; molti dei musicisti che conosco fanno esattamente il contrario. Sto da
dieci anni con una ragazza, artista anche lei in campo non musicale; trovare un
equilibrio è stato difficile: a volte sto via per lunghi periodi, a volte né io
né lei abbiamo guadagnato abbastanza per finire il mese in tranquillità... ma con
il tempo abbiamo imparato ad adattarci ai ritmi di questo tipo di di vita! La musica
occupa gran parte del mio tempo ma cerco di non trascurare le cose di tutti i giorni,
la vita, lo stare insieme… ho anche una cagnolina! Inoltre faccio parte della
Soka Gakkai, sono buddista e
sono attivo anche in quest'ambito.
Alessandro
ed io abbiamo lavorato a quest'intervista qualche mese fa, tramite uno scambio di
email iniziato la sera d'ottobre che andai ad ascoltarlo al
Caruso Jazz Café di Firenze,
dove suonava con i miei amici e conterranei Riccardo Arrighini e
Paolo Bendettini; si ricordava per filo e per segno del lunedì d'aprile in
cui mi unii in jam al suo trio con Paolo e con Nico Menci (di
cui parlo all'inizio della mia intervista a
Benedettini)
a Pisa, e la cosa mi impressionò. Forse proprio in corrispondenza del concerto fiorentino
è maturato il progetto del nuovo trio a nome di Riccardo di cui Alessandro
fa parte insieme a Paolo, e per tale motivo non ne fa menzione nell'intervista
che mi ha rilasciato. C'era da immaginarselo che una ritmica così affiatata come
quella di
Benedettini
e Minetto,
incontrato l'entusiasmo e il talento di un altro astro in ascesa come quello di
Arrighini (a fine marzo 2006 la sua esibizione
al leggendario Birdland di New York, al fianco – ormai lo è stabilmente –
di Francesco
Cafiso), meditasse di coltivare e far fruttare le loro doti d'interplay
in una formazione-chiave come quella del trio. Non potevo però immaginare che due
mesi dopo quel concerto anch'io sarei entrata a far parte del gruppo, come ospite
(e coautrice di due brani) sul loro disco che sarà pubblicato tra poco per la
Philology (si intitolerà
Black On White)
e al contempo come solista featured dal trio per un intero disco voluto da
Paolo Piangiarelli (per la cui etichetta avevo già pubblicato, due anni fa,
il mio primo tributo ad Irene Kral dal titolo
Small Day
Tomorrow) con un repertorio dedicato interamente a
Chet Baker,
anch'esso di prossima uscita, dal titolo
Starry Eyed Again (Chet On Our Minds).
Ma di come sia nato il tutto parlerò nelle liner notes del disco. Di quanto
Minetto
sia profondo e appassionato conoscitore della propria materia, abbia un carattere
di rara mitezza, dia splendidamente peso al lato spirituale restando però equilibrato
e well-grounded… lo si evince da queste righe, spero. Di quanto, infine,
tutto ciò faccia di lui un musicista solido quanto emozionante, scopritelo semplicemente
andandolo ad ascoltare!
Invia un commento
© 2000 - 2024 Tutto il materiale pubblicato su Jazzitalia è di esclusiva proprietà dell'autore ed è coperto da Copyright internazionale, pertanto non è consentito alcun utilizzo che non sia preventivamente concordato con chi ne detiene i diritti.
|
Questa pagina è stata visitata 6.774 volte
Data pubblicazione: 23/08/2006
|
|