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Michele Di
Toro è certamente candidato ad essere una delle realtà più significative
della giovane generazione di jazzisti italiani. Ne fa fede non solo il suo prodigioso
curriculum (su questo sito si può leggere una succinta
biografia) o l'apprezzamento di
un maestro come Maurizio Pollini, ma anche la qualità di questa sua terza
incisione.
Dopo un percorso di rivisitazioni che ha attraversato il mondo della canzone
di repertorio (Playing with Music) ed è proseguito nel difficile confronto
fra linguaggio jazzistico e tradizione classica, con Il
passo del gatto, al musicista tocca la piena responsabilità di guidare
un proprio trio, fatto che per un pianista di jazz è come ottenere una cattedra
a contratto all'Università. L'opera è composta per la quasi totalità da composizioni
originali: quattro del contrabbassista Yuri Goloubev, una del batterista
Marco Zanoli
ed altre quattro del leader. Unica 'ospite', una ballad composta da
Enrico
Pieranunzi dal titolo The Night Gone By.
Il trio è ispirato a quell'ideale di assoluta democraticità fra le parti
che fece la meraviglia delle prime incisioni di Evans/La Faro/Motian e nei momenti
migliori del disco riesce anche a trasformare l'ispirazione in pratica (ovvero nei
brani: Reynold's Law,
Odd Notes Suite,
Il passo del gatto). Soffre invece dell'eccesso
di ballad che sembra contagiare questo tipo di formazione. Ne soffre perché soprattutto
il leader non sembra ancora dotato di una forte personalità nella costruzione melodica
o, piuttosto, vive con troppa reverenza certi stilemi jazzistici. Queste considerazioni
nascono anche dal confronto con la voce dei suoi compagni ed in particolare con
quella di Goloubev. Il contrabbassista non solo si dimostra una "buona
penna" nelle composizioni, ma impreziosisce il disco con interventi in assolo
particolarmente ispirati, giustamente sottolineati da una pronuncia accesa e in
grado di creare un fine contrasto con lo stile di
Zanoli.
Quest'ultimo si mostra come un batterista dal dettaglio prezioso che spesso affranca
la batteria dalla semplice scansione del tempo e si concede alla melodia di timbri.
Forse
Michele Di Toro deve raccogliere tutto il suo sapere e fare come
se potesse dimenticarlo, lasciando alla propria voce la ribalta della scena e sottraendosi
alle avances di un'ottima tecnica.
Daniele Mastrangelo per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 01/11/2007
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