Young Jazz Festival 13 Foligno, 22-26 maggio 2013
di Vincenzo Fugaldi
La prestigiosa cornice della cittadina umbra ha ospitato anche
quest'anno, dal 22 al 26 maggio, l'ormai consolidato festival che vede la direzione
artistica del pianista Giovanni Guidi e il patrocinio di Umbria Jazz. Le
condizioni atmosferiche avverse e alcune defezioni dell'ultima ora hanno messo a
dura prova i giovani organizzatori, che tuttavia sono riusciti a condurre in porto
il festival con risultati lusinghieri, ricorrendo a spazi al chiuso e ad alcune
sostituzioni.
A Piazza Don Minzoni si è tenuto il
primo concerto del nuovo quartetto di Cristiano Arcelli, che prende il nome
dal recentissimo cd pubblicato su etichetta Auand, «Brooks». Oltre al leader
al sax alto, completano l'organico due chitarristi, Federico Casagrande e
Marcello Giannini e il batterista Zeno De Rossi. L'insolito organico
tributa un omaggio all'attrice statunitense del cinema muto Louise Brooks. Le composizioni
originali di Arcelli sono costruite sulla dialettica tra le due chitarre elettriche,
che si confrontano creativamente intorno alle strutture ritmiche della batteria:
mentre Giannini sostiene con grande sagacia gli aspetti ritmico-armonici, Casagrande
intreccia il suo solismo con il sax del leader. Alcuni brani presentavano un forte
impatto ritmico quasi di matrice punk e parentesi free e rumoristiche, mentre altri
tessevano trame delicate, come la bella e intensa ballad Verse For Brooks.
A chiudere il concerto una visionaria e struggente Lonely Woman di
Ornette
Coleman, dai toni intensi e concentrati.
All'Auditorium San Domenico, il concerto del trio Guano Padano
(Alessandro "Asso" Stefana, chitarra elettrica; Danilo Gallo, basso elettrico;
Zeno De Rossi, batteria) ha riproposto le atmosfere care al Morricone dei film western,
con brani di gradevolissimo impatto, sornioni e coinvolgenti, tra country e tex-mex.
Ha chiuso la serata, nei locali della Taverna Ammanniti, il vulcanico Mauro Ottolini,
alla guida di un quintetto con Vincenzo "Titti" Castrini alla fisarmonica, Franz
Bazzani al pianoforte,
Stefano Senni
al contrabbasso e Cesare Valbusa alla batteria, che insieme al trio vocale Marrano
(Irene Pertile, Angela Castellani e Diego Carbon) ha omaggiato lo swing italiano
di Gorni Kramer, nel centenario dalla nascita del grande musicista dall'indimenticabile
sorriso e dalle grandi doti artistiche e comunicative. Doti che anche "Otto" possiede,
insieme all'ironia di Buscaglione, e che costituiscono il suo lato più "leggero",
che ha già prodotto significative realizzazioni discografiche. L'interazione con
il Trio Marrano (una sorta di riproposizione del trio Lescano con una voce maschile,
attento a ricalcare con gusto ogni sfumatura del modello, persino in certo qual
modo nel look) ha generato swing a profusione, complice il quintetto, mentre il
leader era impegnato alla voce, alla tromba e al trombone.
Due set all'aperto, uno pomeridiano e uno notturno, per il quartetto
Stillhouse, che apriva il Norwegian Day offerto da Young Jazz in collaborazione
con l'ambasciata norvegese. Era capitanato dal contrabbassista e cantante Steinar
Raknes, cui si affiancavano la voce di Unni Wilhelmsen, l'armonium di Andreas Utnem
e la batteria di Paolo Vinaccia, italiano trapiantato in nord Europa da un trentennio.
Un repertorio di canzoni americane, composte o ispirate da personaggi come Waits,
Springsteen, Prine, country-folk e blues, cantati dal leader con voce che si rifà
a Tom e Bruce, ma con arrangiamenti inusuali, coinvolgenti, affidati a strumenti
antichi – un contrabbasso del 1780 – e alla perenne inventiva ritmica di Vinaccia,
alle prese con un set di tamburi minimale e oggetti insoliti per percuoterlo.
La parte centrale della serata, presso l'auditorium cittadino,
dopo la mancata partecipazione di Sidsel Endresen, è stata dedicata al trio
di Arve
Henriksen (tromba, voce, elettronica), Jan Bang ed Erik Honoré
(campionamenti). Musica suggestiva quella proposta dal timbro flautato del trombettista,
arricchita da interventi vocali preregistati ed estemporanei, recitati e cantati,
interazioni con il pubblico, e un ruolo fondamentale per Bang, teso a cogliere ogni
sfumatura dei sobri fraseggi di Henriksen per disfarli, ritesserli, ricrearli in
un gioco di rispecchiamenti sottile e affascinante, con prevalenza di atmosfere
statiche e sognanti.
Il chitarrista Rainer Davies, che doveva esibirsi col suo trio,
vittima di un infortunio, è stato sostituito dai quattro quinti del gruppo El
Portal (Joe Rehmer, contrabbasso; Nolan Lem, sax tenore; Paul Bedal, pianoforte;
Dion Kerr, batteria), in procinto di registrare il secondo cd per la Cam Jazz. Hanno
riproposto parte dei brani del primo disco, e alcuni dei nuovi, mostrando una ulteriore
maturazione e il consueto austero marchio di fabbrica, con una musica che mantiene
un controllo assoluto dell'accadere musicale, moderna e radicata nella tradizione
a un tempo.
Due set per il gruppo Dinamitri Jazz Folklore: il primo
di derivazione chicagoana, con i sei musicisti dai volti ricoperti con suggestive
maschere, e il secondo - con l'aggiunta della voce di Piero Gesuè - di impronta
decisamente africana. In entrambi i set un ruolo fondamentale per la ritmica, per
i colori delle tastiere, e per il solismo coinvolgente di Gabrio Baldacci (chitarra
elettrica), del leader Dimitri Grechi Espinoza (sassofoni) e di Emanuele Parrini
(violino). Due anime profondamente diverse, ma complementari, contraddistinguono
l'ensemble, che se nel primo set ha presentato atmosfere che richiamavano a tratti
l'Art Ensemble Of Chicago, nel secondo ha fatto danzare il folto pubblico intervenuto
sino alle ore piccole.
Tra i due set, come già due anni fa, all'Auditorium San Domenico,
la Liberorchestra, l'ensemble che unisce in una sintesi inedita i disabili
e gli operatori del locale centro "Il Laboratorio" che, grazie al lavoro appassionato
di Giovanni Guidi, Dan Kinzelman, Stefano Tamborrino e Niccolò
Tramontana, ha rinnovato l'emozione di un evento di grande rilevanza sociale,
una festa di gioia collettiva.