Jazzitalia - Io C'ero: Parma Jazz Frontiere - XVI Edizione
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Parma Jazz Frontiere
XVI Edizione

Parma, 24 novembre - 3 dicembre 2011
di Margot Frank e Nina Molica


Arve Henriksen Trio
24 novembre 2011 - Auditorium del Carmine, Parma (Margot Frank per Jazzitalia)



Profumo di Norvegia per il concerto d'apertura di ParmaJazz Frontiere. Sul palco del magico Auditorium del Carmine di Parma c'erano Arve Henriksen, tromba ed elettronica, Audun Kleive, percussioni e live electronics, e Helge Norbakken, batteria e percussioni. Un doppio set ritmico, molto presente e impastato dei suoni metallici (fra gli oggetti utilizzati due cerchioni di auto) e dei profumi africani delle pelli a supporto di un fraseggio, quello della tromba di Henriksen, molto particolare e quasi flautato. E di un'elettronica ricercata quanto presente. Tutti elementi che esaltano il suono personalissimo di questo musicista che propone sul palco la memoria lontana di fiordi e di paesaggi spalancati sulla tradizione antica del repertorio folk del suo paese.
Un suono particolarissimo, si diceva, quello di Henriksen, che ricorda il flauto, ma porta con se anche le movenze dello shakuhachi giapponese. Certo un sound piuttosto unico, di quelli che non si sentono in giro. Così come del tutto particolare la sua ricerca musicale: quello di Henriksen è un jazz che ha oramai ben poco a che vedere con il jazz europeo tradizionale e le sue radici afroamericane. Non lo rinnega, parla solo un'altra lingua, è un'altra ricerca. E, del tutto fuori confine, prefigura il vero futuro della musica contemporanea: nel senso della musica che guarda avanti.
Interessante il tratto fra il percussivo e il batteristico di Norbakken che, come si diceva, costruisce un set fatto di piatti, cerchioni di auto e percussioni di matrice africana. Mescolando tutto con tratto da batterista ed energia da percussionista. Raffinato e curioso il lavoro di Audun Kleive che si muove con disinvoltura fra una batteria acustica, i live electronics e una batteria elettronica.
Qua e là la voce di Henriksen si fa strumento e fiorisce qua e là di un fraseggio molto cinematografico, la trama di questa partitura possente, perfettamente bilanciata fra solida tessitura ed improvvisazione. Su tutto aleggiano i colori della musica da film.
Apre così questo festival che festeggia i suoi sedici anni tenendosi fermamente ancorato alla linea artistica che lo ha reso celebre: una ricerca nelle frontiere della contemporanea. In un territorio dove il jazz oramai è il linguaggio del futuro, prima e oltre che un vero e proprio genere.



John Surman & Big Band di Bergen

25 novembre 2011 (Margot Frank per Jazzitalia)

John Surman è sempre John Surman. Questo deve aver pensato il pubblico accorso piuttosto numeroso all'Auditorium Paganini di Parma per ascoltare la nuova suite formata dal musicista inglese e affidata alla corposa Big Band di Bergen. Un ensemble veramente pieno di suono e solarità, malgrado le origini decisamente molto nordiche. Fiati luminosissimi, precisi, puliti per una suite scritta su commissione della stessa Big Band da Surman proprio per questa occasione del ParmaJazz Frontiere. Il titolo di questo lavoro è veramente tutto un programma: Another Sky. Il celeberrimo fiatista inglese, alternandosi come sempre fra sassofoni e clarinetto basso, ma anche dirigendo la big band, ha condotto una serata fatta di tante idee musicali. Tutte piene di luce e di una musicalità rotonda, come solo può regalare un set prevalentemente di fiati. Nomi spigolosi per una band da ricordare: Olav Dale, Tor Yttredal, Ole Jakob Hystad, Zoltan Vincze e Michael Barnes a saxofoni, clarinetti e flauti; Marius Haltli, Svein Henrik Giske, Are Ovesen, Geir Lund alle trombe; e ancora Øyvind Hage, Sindre Dalhaug-pål Roseth, Kjell Erik Husom ai tromboni; e poi Ole Thomsen alla chitarra; un magico Dag Arnesen al pianoforte; Magne Thormodsæter al basso; Frank Jakobsen alla batteria; infine, Ivar Kolve al vibrafono. Un'orchestra di tutto punto, insomma, dal tratto pulito, ma assieme corposo e, potremmo dire, cordiale. Una nota particolare va fatta a favore del pianista Dag Arnesen che dimostrato un tocco mulito, raffinato e assieme intenso. Quanto a Surman, che dire: un musicista completo, capace di coniugare i tratti del solista e del compositore per orchestra con equilibrio e gioiosità. Ma soprattutto confermando brillantemente una vena creativa che dagli anni '90 lo ha visto firmare con sempre più decisione una serie di suite, una più particolare di altre. E confermare che il jazz è capace di gesti orchestrali e poderosi. Come ogni grande musica che si rispetti.

Omaggio a Graham Collier - Ruvido Insieme
27 novembre 2011 (Margot Frank per Jazzitalia)

I grandi dovrebbero sempre essere interpretati dai giovani: è così che le intuizioni creative dei maestri prendono il giusto respiro di un ponte verso il futuro. Una convinzione che viene confermata a viva voce dal concerto tenuto dal Ruvido Insieme diretto da Roberto Bonati il 27 novembre all'interno degli appuntamenti del ParmaJazz Frontiere in un dovuto Omaggio a Graham Collier. Bonati è riuscito a costruire il Requiem più adeguato a ricordare un grandissimo musicista, purtroppo scomparso a settembre di quest'anno, che ha regalato al jazz e alla musica contemporanea partiture raffinate e riflessioni teoriche preziose. Lo ha fatto conducendo per mano alcuni giovani musicisti che già avevano avuto modo di assistere ad un workshop nel 2009 proprio a Parma con Collier in un percorso attraverso alcuni momenti della musica di Collier molto profondi e raffinati: una giusta proporzione fra suoni, una scrittura studiata e liberante per un viaggio nella musica che sa coniugare la solidità della scrittura con la libertà dell'improvvisazione. Insegnare ai giovani il giusto equilibrio fra il rispetto dell'autore e della partitura, da una parte; e il coraggio di un tuffo nell'improvvisazione, questa è la scommessa di un jazz profondo e fuori dalle consuetudini talvolta anche pedanti di certo standard. Per nulla casuale la scelta della compagine di questo ensemble: due chitarre (Michele Bonifati e Vincenzo Moramarco), due violini (Eleonora Mugnaini e Annalisa Virzì), una tromba (Antonio Ronchini), un contrabbasso (Marco Sollazzo), vari sassofoni (Giuseppe Fierro, sax contralto e baritono; Paolo Amicucci, sax contralto e clarinetto; Claudio Morenghi, sax soprano e tenore: Gabriele Fava, sax tenore), clarinetti (Tomas Marvasi), una batteria (Riccardo Laforesta), un pianoforte (in alternanza Leonardo Caligiuri, Giulio Ferrari), una voce (Marika Pontegavelli). Perfettamente a cavallo fra l'orchestra classica e l'ensemble jazz tradizionale, in un amalgama che ha una forza dirompente.



Fragile. Luca Perciballi, Mattia Scappini
Pollock Project
29 novembre 2011 - Casa della Musica, Parma (Margot Frank per Jazzitalia)

Una serata dedicata alla contaminazione fra arte contemporanea e musica quella del 29 novembre alla Casa della musica. A firmarla Parma Jazz Frontiere che ha messo sul palco due progetti entrambi giocati sulle affinità fra i linguaggi e la ricerca del contemporaneo in arte e in musica. La serata è stata aperta da Luca Perciballi alla chitarra e Mattia Scappini alla tela impegnati in un progetto dall'emblematico titolo di Fragile che, a detta degli stessi protagonisti, vuole andare oltre i semplici rapporti sinestetici fra le due arti individuando codici e materiali comuni fra i due linguaggi.
A seguire il Pollock Project, in cui il riferimento all'arte contemporanea è esplicito nel nome: Nicola Alesini al graffiante e intenso sax, Marco Testoni al lirico Caisa Drum, Massimiliano di Loreto alle percussioni, hanno proposto in anteprima il nuovo cd in uscita in questi giorni. Al di là della curiosità che inevitabilmente offrono i caisa drum, uno strano connubio fra il disco volante e la più prosaica pentola wok, più semplicemente metallofoni di nuova generazione parenti dei caraibici Steel Drum, colpisce la delicata alchimia fra il soffio intenso e penetrante dei sassofoni di Nicola Alesini, da una parte; e il suono delicato, raffinato, ricercatissimo del Caisa Drum. Interessante anche la scelta dei loop e il lavoro con l'elettronica che riporta alla memoria, al cuore, ma anche alle orecchie le parole di alcuni grandi della storia: da Duchamp che recita parole come unnecessary… adoration of art dell'arte, alla voce di Jackson Pollock in "In a silent way", da Miles Davis; a Pablo Neruda recitato da un gruppo di bimbi spagnoli che dichiara con voce dolcissima "no me importa una rosa más o menos:/tengo un pacto de amor con la hermosura:/tengo un pacto de sangre con mi pueblo". Numerose le citazioni in generale all'arte visiva contemporanea, oltre che nel citato "Unnecessary" dedicato al Maestro del Dadaismo Duchamp, anche in Rivoli 59, un pezzo in cui gli autori hanno voluto ricordare l'affascinante e significa esperienza di un notissimo Squat parigino. A "Songlian" dedicato al capolavolo cinematografico di Zhang Yimou "Lanterne Rosse". Una serata da riascoltare, ad horas su cd, per scoprirne appieno sfumature e linguaggi.

Bobo Stenson Trio
3 dicembre 2011 (Nina Molica per Jazzitalia)

È il Bobo Stenson trio a chiudere magnificamente la XVI edizione del Parma Jazz Frontiere festival. Una delle colonne del jazz europeo, anzi il vero e proprio iniziatore della scuola nordeuropea di jazz e improvvisazione che affonda le sue radici nella tradizione afroamericana. Sul palco della Casa della Musica di Parma tre artisti di straordinaria bravura e talento: Bobo Stenson al pianoforte, Anders Jormin al contrabbasso e infine, ma non meno importante, Jon Fält alla batteria. Applausi scroscianti per le brillanti esecuzioni di pezzi composti dai musicisti stessi. Musiche intense ed emozionanti, che vedono fuse insieme l'eleganza melodica di Stenson, il virtuosismo di Jormin e l'energia delle percussioni di Fält. Quest'ultimo, grande talento scandinavo, sembrerebbe, di primo acchito cozzare con la grande classicità di Stenson. In realtà ciò che rende speciale il Bobo Stenson trio è proprio la capacità di unire insieme delle componenti, che, pur essendo così tanto diverse, riescono a creare un unicum e suscitare emozioni indescrivibili. I numerosi estimatori e non del jazz accorsi per il concerto non si sono assolutamente risparmiati negli applausi, anzi hanno richiesto per ben due volte il bis che i grandi artisti hanno generosamente concesso. Menzione speciale merita l'ultimo dei bis: "Dons Kora Song" di Don Cherry, trombettista statunitense che non abbisogna d'elogi. L'interpretazione del Bobo Stenson trio molto particolare ha visto le bacchette di Fält impegnate in una ritmica precisa, quasi da metronomo, Jormin con degli ostinati al suo contrabbasso e su questo meraviglioso tappeto musicale si ergeva poi la stupenda melodia del piano di Stenson. Il concerto non ha di certo tradito le aspettative del pubblico e come l'ha definito R. Bonati, direttore di ParmaFrontiere, è stato proprio un finale col botto per la XVI edizione del festival.







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inserito il 29/08/2007  da 27max - visualizzazioni: 5261


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Data pubblicazione: 24/12/2011

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