Già da alcuni anni Roberto Bonati, alla guida dell'orchestra di
Parma Jazz Frontiere, si muove lungo le frontiere fra musica e letteratura. Dopo
le riflessioni sulle liriche di Bertolucci (2001)
e il lavoro sul Macbeth di Shakespeare (e Verdi) del (2003)
è uscito alla fine del 2006 il terzo episodio
di questo viaggio. Un disco," Silvery Silence – Fragments
from Moby Dick", ispirato al capolavoro di Melville, registrato dal vivo
a Parma la sera del 6 dicembre del 2003.
La domanda su il se ed il come la musica possa o meno riprodurre e reinterpretare
situazioni ed atmosfere non strettamente musicali è tanto vecchia quanto attuale.
Ed è tanto più pressante se ad essere usato come ispirazione è un opera letteraria
vasta, debordante ed a volte anche confusa come Moby Dick. Un libro che come pochi
altri presenta piani di lettura e chiavi di interpretazione molteplici.
Sia chiaro. La scrittura di Bonati è comunque, e prima di tutto,
riuscita a produrre buona musica, suonata da un orchestra compatta e da solisti
ispirati. E riesce anche a restituire il fascino inquietante del capolavoro di Melville.
Ma dal momento che l' opera pone ugualmente diversi e affascinanti interrogativi,
niente di meglio di uno scambio di idee con l' autore. Prima però di avventurarci
in questa caccia musicale della Balena Bianca non è inopportuno ricordare che
Bonati è da anni apprezzato contrabbassista dell' ottetto di
Gianluigi
Trovesi e del trio di Giorgio Gaslini, apprezzatissimo didatta
del dipartimento di Jazz del Conservatorio di Parma, ideatore ed anima di un festival
(Parma Jazz Frontiere) giunto oramai alla dodicesima edizione:
MB: Le opere musicali nate da libri o da altre
forme d'arte pongono sempre problemi di giudizio. Si deve privilegiare la riuscita
musicale o la "fedeltà" alla fonte dell' ispirazione?
RB: Naturalmente un'opera musicale va giudicata con
criteri tutti musicali. Il giudizio può vertere solo sulla riuscita musicale del
progetto. Detto questo sarebbe un errore considerare i due mondi totalmente separati.
In realtà la buona musica può (anzi dovrebbe) raccontare una storia e non solo evocare
con la sua immaterialità, situazioni, paesaggi, sentimenti. Può addirittura creare
una vera e propria struttura narrativa, con temi primari e secondari, che si possono
incrociare e scontrare fra di loro. Ad esempio la forma-sonata, base della grande
musica "classica" è basata sull' interazione di due temi musicali. E allo stesso
modo da una struttura narrativa, si può trarne una musicale. Non esistono naturalmente
regole precise. Esistono solo situazioni artistiche. Si può, radicalizzando il discorso,
decidere di tirare i dadi per sapere quali note impiegare o ispirarsi a Moby Dick.
L' importante è che alla fine esca qualcosa che funziona, in termini di struttura
musicale.
MB: Perché Moby Dick ?
RB: E' un opera ricchissima elaborazioni concettuali, di situazioni emotive
e di atmosfere tragiche. E' una metafora dell' esistenza, del continuo inseguire
quello che ci sfugge e del nostro perdersi in questa ricerca. E' una fonte inesauribile
di contrasti laceranti. Prendiamo il tema del mare, che è centrale nel libro. Ora
il mare è la distesa calma e meravigliosa, fonte di pace interiore, ora è la sede
di terrori indicibili. Il titolo del disco viene da un capitolo in cui si narra
il silenzio incantato di una notte di luna sull' oceano. Ma quella stessa notte
si capisce anche la Balena Bianca, chiama la nave verso la catastrofe finale. Il
fatto è che io vedo il mare così, mi affascina e mi terrorizza….Poi il tema, a me
caro, del viaggio, che ho cercato di evocare utilizzando materiali polinesiani,
canti dei balenieri del nord e, nella traccia intitolata "Cialomi",
un canto corale di lavoro delle tonnare siciliane, condotto, alla voce, da Beppe
Caruso. Infine la caccia e la sua ferocia primordiale, che ho sempre cercato
di tener presente durante la composizione.
MB: Fra i tanti materiali usati c'è anche, ed
ha un ruolo primario, il canto religioso ebraico (Cantillazione).
RB: Melville sentiva moltissimo il fascino delle profezie bibliche. I personaggi
principali (Achab in primis) hanno nomi di personaggi biblici segnati dalla profezia.
Volevo rendere musicalmente i versetti delle Scritture relativi a questi nomi. Mi
sono rivolto alla Sinagoga di Parma per avere consigli sulla trascrizione del testo
ebraico. Li ho conosciuto Riccardo "Joshua "Moretti, cantillatore e, fra
l'altro, mio collega al Conservatorio (insegna flauto e musica per film). Sentendo
la sua voce ho pensato di utilizzare il suo canto come narrazione fuori campo della
vicenda. L'oscura profezia che incombe sul "folle volo" del Pequod.
MB: Qualche parola sulla scrittura musicale di
"A silvery silence"
RB: C'è molto novecento europeo. La stessa orchestra è pensata in funzione
di una scrittura "sinfonica " Ci sono i miei grandi amori musicali, a cominciare
da Debussy, cui ho rubato all'inizio di "Letter H
" un-idea (cito letteralmente "La mer"). Bisogna rubare ai grandi. Lo
dico sempre ai miei studenti: la musica si evolve e si perpetua con i ladrocini,
purchè siano la base di una ricerca personale. Naturalmente c' è il jazz, ma soprattutto
nel senso che l'orchestra è formata da musicisti con doppia velocità, gente che
si muove senza problemi dentro le forme classiche, la sperimentazione contemporanea
e la tradizione improvvisativa afro - americana. Mario Arcari, cui ho affidato
il canto finale, è noto anche per aver suonato con De Andrè. Mi servivano
musicisti capaci di imbastardire, di meticciare, per naturale abitudine, una scrittura
come quella usata per questo progetto. Di accenderla ritmicamente, di creare situazioni
artistiche aggiuntive. Ma "A silvery silence"
non è un disco di jazz in senso stretto.
MB: Ancora una volta la critica ha parlato, succede
spesso per i tuoi lavori, di musica di grande qualità ma difficile...
RB: Preferirei il termine complessa. Complessa è la
realtà, complesso il pensiero. La televisione non è complessa. La musica è da sempre
all' incrocio fra primitività rituale e linguaggio intellettuale elaboratissimo.
E' complessa per sua natura. La mia scrittura cerca di cogliere qualcosa dei nostri
tempi fatti di incroci di linguaggi e di mondi diversi. Di un mondo in continuo
cambiamento, problematico e febbrile. Io sono immerso in questo mondo e cerco di
raccontarlo. Che ci riesca i è un altro discorso. Ci provo però, con grande sincerità.
Marco Buttafuoco per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 16/06/2007
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