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Maurizio Brunod Feat. John Surman
Svartisen
Svartisen-Splasc(H) 2010
1. Svartisen 2. Frydor 3. Lara's dance 4. Isen 5. Gaucho 6. Rosa 7. Defiance 8. Didime 9. Waltz for Joe 10. Lara's dance
Maurizio Brunod - chitarra elettrica, chitarra classica, live sampling Bjørn Alterhaug - contrabbasso Ivar Antonsen - pianoforte Paolo Vinaccia - batteria John Surman - sax soprano, sax baritono
Maurizio Brunod
Bad epoque
Monk records 2011
1. Mamuth 2. Blue In Green 3. Sequences 4. Milonga Del Nord 5. Neve 6. Message from a Sad Dolphin 7. Bad Epoque
Maurizio Brunod - chitarra elettrica, loops e live electronics
Maurizio Brunod è un musicista sicuramente disponibile, pronto a partecipare
a progetti differenti, aggiungendo la sua voce in contesti diversi, in sintonia
con le esigenze espressive di altri leader. Quando è lui a dover condurre il gioco,
però, si aprono orizzonti diversi e si scopre un artista che non va affannosamente
in cerca di un timbro particolare, di una cifra stilistica personale o unica. Il
chitarrista suona semplicemente quello che gli piace, quello che fa parte del suo
gusto e della sua storia, senza preoccuparsi di collocarsi in un determinato genere
o in un particolare personaggio costruito in cui non può riconoscersi.
Così, in questi suoi ultimi due cd, raggiunge gli obiettivi delineati, utilizzando
metodi e mezzi alquanto dissimili. "Svartisen" è la realizzazione di un sogno,
non si può definire altrimenti l'incisione di un disco al mitico "Rainbow Studio"
di Oslo, teatro di tante sedute di registrazione della ECM con i migliori artisti
dell'etichetta tedesca. In più in questo Cd è ospite, in alcuni brani, il sassofonista
John Surman, uno dei fuoriclasse di Manfred Eicher e non solo. Il gruppo
base è costituito da competenti strumentisti scandinavi, oltre al batterista italiano
Paolo Vinaccia, emigrato in quelle zone. Tutto scaturisce dalla partecipazione
di Brunod a un festival di una località dal nome impronunciabile "Smeitedighelen".
Da questa esperienza nascono la proposta e i contatti necessari per arrivare a Oslo
nel tempio della musica jazz europea.
Una volta varcata la soglia dello studio con un notevole coraggio, ma conscio anche
delle sue potenzialità, il chitarrista valdostano schiera una serie di sue composizioni
in cui crede molto, lasciando spazio anche a brani dei suoi compagni di avventura.
Ne viene fuori un disco fresco, gradevole, con una cantabilità inequivocabilmente
italiana, unita ad un ambiente sonoro nordico, caldo e accogliente come una casa
di legno fra i fiordi. La registrazione è di prima scelta e mette nel giusto risalto
il lavoro di ogni componente del quintetto. Ivar Antonsen è un pianista che sa il
fatto suo e non segue i grandi modelli del jazz scandinavo, conservando una sua
peculiarità nel porgere e nel girare attorno ai motivi di base. Bjorn Alterhaug
ha il timbro scuro che ci si aspetta da un bassista norvegese, ma fa vibrare il
suo strumento con calore, quando gli è richiesto. Paolo Vinaccia suona sempre
quello che non ci si attende da lui, con un uso delle percussioni così irregolare
e sorprendente nella ricerca dei suoni, ma altrettanto sostanzioso, essenziale nell'economia
del discorso. Quando si unisce al quartetto John Surman la musica non decolla
necessariamente, non cambia aspetto, perché il sassofonista si limita, con molta
umiltà, a mettere al servizio dei partners il suo contributo: non gigioneggia, non
fa la prima donna. Si inserisce al momento giusto con assoli pieni di misura e calibrati;
fa il quinto del gruppo, non la star ospitata. Fra i brani migliori si raccomanda
"Svartisen" - dedicata ad un ghiacciaio norvegese - per la varietà di situazioni
che annovera, con gli "svolazzi" iniziali del soprano di John Surman, la
chitarra acustica molto ritmica e l'accompagnamento anomalo, ma vivo e pulsante
delle percussioni. Da ricordare pure l'elettronica "Isen" in trio con effetti iniziali
e uno sviluppo lento che fa presagire un accelerando nella dinamica e nell'intensità
e, invece, prosegue nella stessa suggestiva direzione per tutta la lunghezza del
pezzo.
Più recente è "Bad epoque" inciso in solitudine con la chitarra elettrica.
Rispetto al precedente disco in solo, "Northern lights", c'è un'uniformità di fondo
assolutamente voluta. Mentre nel precedente cd si alternavano scenari diversi e
Brunod andava a rovistare nelle sue passioni per ricavare un disco con parecchie
sfaccettature, qui prevale una tinta unica su tonalità scure, si direbbe, ma luminose.
I brani iniziano tutti lentamente. Si evidenzia uno spunto melodico su cui il chitarrista
opera dal punto di vista timbrico e armonico. Attraverso la loop station copia alcune
frasi e le ripresenta, mentre il filo del discorso va avanti accidentato da altri
effetti elettronici e vivificato da nuove intuizioni, in grado di far evolvere la
traccia con una progressione minima, ma significativa. Come rivela lo stesso autore
nelle note di copertina "ho voluto lasciare libero sfogo alle mie influenze psichedeliche,
jazz e visionarie..." In effetti Brunod epitomizza gli impulsi che gli arrivano
dai grandi musicisti targati ECM, o dai mostri sacri del rock più avanzato degli
anni settanta per scrivere composizioni comunque originali, con una preferenza per
l'aspetto melodico dei brani decisamente italiano. Si distinguono in particolare
"Neve" con un suono lungo di richiamo iniziale, quasi una dolce sirena, raddoppiato
e triplicato più volte. Il motivo viene fuori piano piano. Poi una chitarra ricama
arpeggi e ruota attorno ad una frase ben definita, facendo diventare il tempo leggermente
più mosso. Successivamente sembra entrare una synth, ma è un'illusione. Questo
strumento non fa parte della dotazione scelta per l'incisione. Ancora il suono iniziale
e la ripresa di una variazione già sentita ancora ripetuta con micro-modifiche,
finché il brano va a morire.
Echeggia Bach, invece, "Message from a sad dolphin" di Bjorn Alterhaug (il bassista
di "Svartisen", per intenderci). Brunod lo esegue come fosse un'aria classica, con
un suono della chitarra che sa di organo di chiesa, magari elettrificato e un andamento
solenne, austero, perfettamente in linea con il brano. "Bad epoque" in chiusura
riassume alcuni elementi incontrati in precedenza. L'inizio è visionario, fantasioso, effettistico. Si impone, subito dopo, un tema bello e malinconico, che viene "rimasticato",
"rivoltato" in svariate fogge tutte affascinanti e a loro modo misteriose. E' un
finale adeguato per un disco che ci consegna l'immagine attuale di un musicista
curioso e sempre desideroso di cambiamenti, ma con i piedi ben saldi nella "sua"
tradizione, formata da tante musiche, la più importante delle quali è certamente
il jazz.
Gianni Montano per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 10/12/2011
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