I grandi pianisti Jazz
introduce Vittorio Sgarbi Bergamo, Teatro Sociale Città Alta, 17 e 18 settembre 2010 di Daniela Floris
foto di Daniela Crevena
Un mini festival per celebrare il jazz pianistico, in particolare, al Teatro
Sociale di Bergamo, finalmente restaurato dopo un incendio che lo aveva gravemente
danneggiato, un festival che forse avrebbe dovuto essere intitolato "Grandi pianisti
jazz", senza l'articolo, poiche' ci vogliono molto più di quattro concerti per
rappresentare in generale "I" grandi pianisti jazz contemporanei, italiani e stranieri.
Di sicuro si è sentita bella musica, molto varia, essendosi avvicendati sul palco
due nuovi giovanissimi talenti (Vincenzo Danise ed Enrico Zanisi)
e due solidi jazzisti (Dave Kikoski e Antonio Farao').
Prima della musica un'ardita introduzione del critico
d'arte Vittorio Sgarbi (attuale sindaco di Salemi) ha permesso di comprendere
il parallelismo che il jazz (forma d'arte "in movimento", dato l'imprescindibile
aspetto dell'improvvisazione che la connota) a ben guardare presenta con certa arte
figurativa contemporanea, passando dal cubismo per arrivare alla "action painting"
di Jackson Pollock. La possibilità di inscrivere le due forme d'arte prese in esame
nello stesso modus espressivo del "work in progress", potente, dinamico, ha permesso
al pubblico presente in sala di comprendere da un punto di vista più ampio la musica
che ha seguito le parole di Vittorio Sgarbi.
venerdi' 17 settembre 2010
ore 21:00 Vincenzo Danise - piano
Graziano Brufani - contrabbasso
Peppe La Pusata - batteria
Vincenzo Danise è giovanissimo pianista di jazz e viene da Napoli,
città che dichiaratamente egli stesso pone alla base della sua poetica "jazzistica".
In effetti quello che ne scaturisce è un jazz che sconfina nella fusion, tanto evidenti
sono i rimandi alla tarantella, a certe suggestioni scalari arabe e/o mediterranee,
alla ricerca del suono mediante l'utilizzo non univoco degli strumenti (corde del
pianoforte sfregate con le mani, ma anche contrabbasso di Brufani suonato
con l'archetto e batteria percossa a mano). L'impianto armonico è volutamente semplice
(il primo brano è quasi tutto basato sull'alternanza tra tonica minore e dominante,
con il soffermarsi tensivo sulla dominante), i brani presentano un andamento alternato
tra momenti di quasi silenzio a momenti di spessore sonoro totale del trio, che
sono poi i momenti più jazzistici in senso stretto. Si aggiungano a questo l'uso
degli ostinati (specie per la mano sinistra del pianoforte o per il contrabbasso),
ritmi anche da tammurriata o in "Gotas" l'uso del computer per riproporre
suoni in sottofondo, una tecnologia della quale sembrerebbe non si possa più fare
a meno nel jazz degli ultimissimi anni (tanto che sinceramente non sembra neanche
più una novità, ma sa quasi di "necessaria" omologazione per sdoganarsi come originali).
E' da sottolineare che, in un ambito dallo stesso Denise definito "contaminazione"
(un po' troppo scopertamente bisogna dire, in un giovanissimo musicista che in questo
modo rischia di crearsi già da ora una prigione stilistica), la batteria di La
Pusata ha in alcuni tratti quella valenza ripetitiva – rituale della musica
tradizionale - ed il contrabbasso (non quando suonato ad arco) e' l'efficace legame
con il jazz vero e proprio.
22:30 Dave Kikoski - piano
Dario Deidda - basso Roberto Gatto
- batteria
Kikoski, eclettico pianista statunitense, ha dalla sua un modo di suonare
estroverso, gioioso, con momenti di introspezione mai cupa, piuttosto da definirsi
episodi di allegro e talvolta struggente romanticismo. E' certamente un virtuoso
(e le sue mani camminano per tutta la tastiera infatti disegnando contemporaneamente
figure contrastanti), è quasi un "multistilistico" nel senso che il jazz lo percorre
tutto, o quasi. Dinamiche sfruttate fino in fondo senza timidezze, cambi di ritmo
e di atmosfera, orecchie aperte e divertite verso i suoi compagni di viaggio, rarefazioni
armoniche e momenti di vero blues, indefinitezza che ad un tratto si trasforma nel
mainstream più "succulento", momenti evocativi belli ma anche swing allo stato puro,
ardite frasi ritmiche accostate a silenzi improvvisi, ed espressività continua,
in un ambito che alla fine non è così facile da definire: la particolarità di Kikoski
sta proprio nel suo modo di suonare talmente "caleidoscopico" da non poter essere
riconoscibile: e, però, è per questo che si riconosce Kikoski, paradossalmente,
anche ad occhi chiusi. Potremmo dire che disegna atmosfere più che costruire racconti,
un suo concerto è un viaggio per tanti luoghi diversi. Roberto
Gattoalla batteria e Dario Deidda al basso hanno
raccolto la sfida tirando fuori dai rispettivi strumenti tutte le suggestioni provenienti
dal pianoforte. Ma è stato vero anche il contrario: il primo è un incontenibile
creatore di battiti e figure ritmiche e come tale non potrà mai essere uno strumentista
che raccoglie e basta, e dunque ha lanciato continuamente idee che da ritmiche sono
diventate melodico – armoniche per Kikoski. Ha regolamentato ma anche destrutturato
momenti che all'orecchio erano magari molto connotati (swing, o ballad, o blues).
In questo duettare (quasi una sfida!) Deidda è stato a dir poco prezioso, come raccordo
tra i due, ma non solo. Perchè Deidda quando suona il suo basso sa essere un treno
in corsa (e in quei casi si aggiunge alla sfida di Gatto e Kikoski), ma sa essere
anche morbidamente avviluppante o persino rigoroso nel voler (creativamente) riportare
con i piedi per terra i voli pindarici del pianoforte. Le sue note hanno fortissime
valenze armoniche, ritmiche e non ultimo melodiche, e si è divertito, unendosi molto
proficuamente ad una musica energica e piena di colori.
Sabato 18 settembre 2010
Ore 21 Enrico Zanisi - pianoforte
Ettore Fioravanti - batteria Pietro Ciancaglini
- contrabbasso
Anche in questa seconda serata un ventenne di talento che, come il precedente collega
napoletano, da subito si connota per un suo background che si tiene strettissimo
(anche se meno dichiaratamente di Denise, più nell' intento, casomai), in questo
caso si tratta di una solida passione per la musica classica. Un vissuto musicale
evidente soprattutto nelle lunghe introduzioni solistiche, che riportano ai suoi
studi pianistici di conservatorio, e che Zanisi dimostra di aver metabolizzato
bene, anche se ancora più che "trapelare" (ma questo avverrà presumibilmente con
l'esperienza) vengono giustapposti ad una parte più squisitamente jazzistica. E'
un pianismo raffinato, quello di Zanisi, lirico, anche se non rinuncia ad energici
momenti swinganti, raddoppi di tempi, rimanendo sempre però molto misurato, persino
delicato, molto curato nelle dinamiche. Dal punto di vista compositivo Zanisi decide
di creare iniziali spunti melodico armonici che siano la "scusa" per improvvisare:
i piccoli temi dei suoi brani (non sempre orecchiabili o particolarmente incisivi
in sè) piu' che materiale da sviluppare sono un piccolo gradino, trampolino di partenza
per digressioni molto efficaci. L' atmosfera e' tutta giocata su toni e volumi delicati,
ma incisivi, ed il contrabbasso di Ciancaglini sembra appositamente tagliato
per questo clima soft. E' un clima morbido ma non "moscio": la mano destra di Zanisi
non suona sempre a volume basso, anzi e' il "clima percepito" che e' gentile, essendo
basato più su suggerimenti, intenzioni, che su episodi smaccati; dunque all' orecchio
risulta un jazz esteticamente "etereo" pur essendo anche molto intenso. Fioravanti,
dal canto suo, e' poeticamente suggestivo ma non pedissequo, e' leggero con le sue
bacchette ma non perchè prono al pianoforte. E' in ascolto ed e' dunque stilisticamente
in sintonia, non rinunciando ad una propria personalità improvvisativa. C'e' da
dire che una certa acerba indefinitezza non fa che essere una caratteristica alla
fine positiva, poichè ha in nuce tutte le possibilità che questo giovanissimo artista
mostra di avere pronte ad esplodere, grazie anche ad una potenziale apertura mentale
(che trapela nella sua musica) a molti mondi sonori.
Ore 22:30 Antonio Farao' - pianoforte
Darryl Hall - contrabbasso
Guido May - batteria
Tre Maestri così traboccanti di una propria spiccata personalità artistica possono
creare un clima teso di "gara" a chi è più bravo o possono fare musica di quella
piena di positiva tensione, in cui ognuno regala qualcosa di se per creare Jazz,
quello vero, che nasce dall'interazione istantanea ed istintiva, pur durante concerti
ben strutturati preventivamente. E' quello che e' accaduto al Teatro Sociale tra
Farao', Hall e May, in un'ora e mezzo di musica mai scontata e a tratti
sorprendente. Farao' ha una tecnica ferrea che, però, ha di ferreo solo la disciplina
che ci deve essere voluta per costruirla, perchè di contro è tutt'altro che freddamente
tecnico. Anzi, le sue cascate di note nella loro "non essenzialità" hanno una forza
emotiva ed espressiva notevolissime. Arricchiscono, non abbelliscono, stanno lì
e si ha la sensazione che non potrebbero non starci in quella frase, in quel tema
e che senza sarebbero vuoti e snaturati di un qualcosa di dannatamente necessario.
L'essenzialità della "non essenzialità", il che è deliziosamente paradossale. E
così è stato il concerto di sabato sera, in cui bisogna dire che Hall, contrabbassista
sanguigno e che ha dalla sua un tipo di improvvisazione molto melodica ma dalla
poderosa accentuazione swingante, ha intrecciato continuamente le sue tantissime
idee alle note del pianoforte, anche duettando ed intrecciandosi con un batterista
(May) davvero di prim'ordine, fantasioso, generoso, che non ha mai rinunciato ad
interagire con tutto ciò che gli accadeva intorno, rileggendolo ritmicamente in
maniera creativa e mai "prepotente". Anche qui una tecnica saldissima, imparata
e fruttuosamente "dimenticata" se così si può dire in favore di un istinto, ma anche
di intuizioni musicali prese al volo. Anche la scelta dei pezzi, spesso accattivante,
ha fatto la sua parte (un Autumn Leaves, al bis, ad esempio, destrutturato
in piccoli accenni riassuntivi intensissimi, uno standard così amato e noto che
ne basta l'essenza per far emozionare; o anche un inusuale brano di atmosfera "bluesy"
alternata a raddoppi di tempo, in cui gli strumenti si alleggeriscono fino al rientro
al tempo iniziale, lento ma più pesantemente accentuato). Ritmi densi gradualmente
portati da Farao' a suggestivi "stop", tradotti con la batteria di May in brevi
ed efficaci silenzi, quasi da "extrasistole", e in vibranti note lunghe con il contrabbasso
di Hall, soli di contrabbasso, batteria e naturalmente pianoforte pregevoli, intensi
e divertenti: tre artisti che hanno dato lezione di arricchimento reciproco in funzione,
semplicemente, del fare ottimo Jazz.