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Intervista Ad Antonio Faraò
Milano, 13 marzo 2006
di Rossella Del Grande

Ho avuto il piacere di incontrarmi con Antonio Faraò alle "Scimmie" di Milano, prima del suo concerto, ed abbiamo fatto una lunga ed interessante conversazione.

R.D.G.: Antonio, dalla tua biografia sappiamo che sei stato un bambino prodigio. Che ti sei diplomato al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Che da adolescente ti sei dedicato contemporaneamente al jazz, assimilando il meglio dai "mostri sacri" ed elaborando molto precocemente un tuo stile assolutamente personale, supportato da una tecnica pianistica impressionante. Hai collaborato con i musicisti più prestigiosi. Hai ottenuto riconoscimenti internazionali. Le tue composizioni hanno ricevuto elogi da parte di jazzisti, critica e pubblico. La tua musica sa trasmettere emozioni profonde. La qualità dei tuoi lavori, anche dal punto di vista tecnico, è ineccepibile. Se non sapessimo che hai solo 41 anni, tutto questo sembrerebbe il risultato di un'intera carriera artistica. Invece tu lo hai realizzato in soli 28 anni di attività durante i quali hai bruciato tutte le tappe. Mi vorresti parlare comunque dell'inizio di tutto questo, di quando eri bambino?
AF:
Sì, ho iniziato ad ascoltare e ad assimilare questa musica in quanto i miei erano grandi appassionati. Mia mamma era una pianista e soprattutto una grande pittrice. Mio papà suonava invece la batteria.



R.D.G.: Sapevi già che avresti raggiunto questi obiettivi fin da allora?
A.F.: Mah, era una cosa che comunque avvertivo già… in genere quando voglio raggiungere un obiettivo faccio di tutto per riuscirci cercando di ottenere il massimo risultato e nella musica ho sempre creduto sin da quando ero bambino. I miei ascoltavano musicisti come Benny Goodman, Count Basie, Lionel Hampton, tutti i grandi jazzisti del periodo swing, e io di conseguenza. Quindi sono cresciuto con quella musica. Ho avuto anche l'occasione e la fortuna di sentire dal vivo alcuni musicisti come appunto Count Basie con Ella Fitzgerald nel '71, quando avevo sei anni, al Teatro Lirico di Milano. Mi ricordo ancora benissimo la sonorità di quella big band che era veramente incredibile… e già incominciavo ad assimilare... I miei genitori mi regalarono un vibrafono giocattolo, sul quale in modo naturale riuscivo a riprodurre alcune melodie e ad improvvisare su brani jazz che ascoltavo dai dischi. Dal vibrafono sono passato alla batteria e dalla batteria al pianoforte. Questa è stata un po' l'evoluzione. Probabilmente avevo già una predisposizione, devo dire però che non sono mai stato forzato. Negli anni poi ti accorgi che se non vai avanti con costanza e determinazione le cose non si evolvono. Questo vuol dire che non basta solo avere talento.

R.D.G.: Mi incuriosiscono le tue prime uscite jazzistiche in pubblico. Quando e dove sono avvenute?
A.F.: Le primissime uscite… si parla di quando avevo 6/7 anni. Le mie erano soprattutto esibizioni che facevo a casa, quando i miei magari invitavano alcuni loro amici a delle cene che organizzavano…. sai, un po' l'orgoglio dei genitori…La prima vera esibizione in pubblico risale a quando avevo 13 anni al cinema Ariston di Lainate, con 500 persone presenti in sala. Era un cinema che veniva usato anche da alcuni gruppi commerciali come sala prove per la buona acustica.

R.D.G.: Ma eri consapevole di quello che stavi facendo?
A.F.: Assolutamente sì!

R.D.G.: Non ti sembrava di essere troppo "avanti" per l'età che avevi?
A.F.: Quello che dici mi fa pensare al fatto che in quel periodo in realtà non frequentavo molto i miei coetanei, vedevo persone sempre più grandi di me, quindi questo sicuramente da un lato mi è mancato. Alla fine devo dire però che la musica ha colmato comunque quella parte mancante e sinceramente quello che mi ha dato e che mi dà ha sopperito a tutto il resto. L'arte in genere penso che aiuti a superare anche i momenti più tristi della vita. Uno di questi, sicuramente è stato quando, tre anni fa, ho perso mia mamma alla quale ero molto legato anche perché era un'artista di grande sensibilità, una persona con la quale potevi dialogare di qualsiasi cosa. Dico questo non solo perché sono suo figlio, chi la conosceva può confermare le mie parole. Questo per dire che la musica in fondo è anche un'ottima terapia.

R.D.G.: Siamo arrivati al Faraò cresciuto, che in questi anni ha fatto esperienze con i più grandi musicisti, da Jack Dejohnette a Chris Potter, da Miroslav Vitous al compianto Bob Berg….
A.F.: Sì, il Faraò cresciuto ha suonato con tutti i più grandi musicisti internazionali, precisando che non ci sono grandi musicisti solo in America. In Europa, oggi specialmente, non abbiamo veramente nulla da invidiare, anzi...

R.D.G.: Come avvengono i contatti con gli altri musicisti e come nascono le collaborazioni?
A.F.: Giusto per farti qualche esempio, possono nascere una sera che entri in un club dove c'è un musicista che ti invita sul palco per una jam session e magari se c'è feeling ti richiama per altre date oppure se qualcuno ti sente suonare su un cd e gli piace come suoni quindi poi ti coinvolge in un suo progetto… Comunque penso sia molto importante auto promuoversi e farsi sentire il più possibile in vari contesti.

R.D.G.: Nel panorama attuale cosa vedi? Secondo te il jazz in quale direzione si sta muovendo?
A.F.: Se parliamo dell'Italia, in questo momento va molto di moda il jazzista/cabarettista, una delle poche cose che vengono veramente promosse. E' proprio il caso di dire che mancano le idee… E' vero che nel jazz, come anche in altre forme d'arte, accade che in certi periodi della storia l'arte viva dei momenti di stasi, si è detto tanto ed è sinceramente difficile trovare qualcosa di nuovo, ma il fatto di accattivarsi l'audience a tutti i costi scegliendo una strada che sinceramente poco ha a che fare con questa musica, a mio parere non è un modo che aiuta a far crescere la cultura jazz specialmente nel nostro paese, anzi...Del resto bisogna considerare che tra i programmi più seguiti in tv troviamo i vari Zelig o Colorado Café. E' quindi comprensibile fare presa su un pubblico che per l'80% o addirittura il 90%, non certo per colpa sua, non è competente in materia.

R.D.G.: E stilisticamente? Oggi ci sono molte contaminazioni. Si tentano anche esperimenti con l'elettronica, nuovamente, dopo tanti anni, riproponendo cose che sono già state fatte, magari…
A.F.: Le contaminazioni nel jazz in fondo ci sono sempre state. Ripeto, a mio parere questa musica attualmente è un po' ferma. Lo conferma il fatto che si tende spesso a ripescare dal passato, per esempio anche dalle sonorità elettriche…. Se ci pensi negli ultimi dieci anni è tornato di moda il Fender Rhodes nato negli anni '60/'70, che è stato e rimane del resto l'unico vero piano elettrico.

R.D.G.: Quindi in questi ultimi 20 anni non è successo più nulla di nuovo?
A.F.:
 Negli anni '80 è nata la fusion, praticamente un'evoluzione del jazz-rock degli anni '70. Poi però si è ritornati ancora alle sonorità acustiche…. lo stesso Hancock o Corea lo dimostrano. A parte questo, negli ultimi 20 anni non credo ci sia stato veramente qualcosa di innovativo.

R.D.G.: Che cosa vedi in prospettiva per quanto riguarda te stesso, musicalmente?
A.F.: E' già una grande conquista ed un traguardo molto importante per me riuscire a far sentire e far crescere sempre meglio la mia personalità. Ripeto, per voltare pagina ci vuole il "genio", che se va bene ne conti uno ogni 50 anni. Oggi, a parte quelli esistenti… come Keith Jarrett… ce ne sono veramente pochi altri. Parlando di Brad Mehldau, che io rispetto e stimo tantissimo, non lo trovo sinceramente "innovativo". Ha una grande personalità, ma da lì a considerarlo un genio forse è dire troppo. I suoi punti di riferimento sono senza dubbio Keith Jarrett e Bill Evans

R.D.G.: Certamente tutti i pianisti di oggi sono passati attraverso l'esperienza con Evans, Jarrett, Hancock, McCoy Tyner….
A.F.: Sì, sicuramente. Anche Wynton Kelly… Per non parlare delle origini che è sempre importante conoscere e rispettare. Si può anche iniziare ad ascoltare e scoprire un pianista moderno, ma alla fine è fondamentale sapere quello che c'è stato prima…

R.D.G.: Hai ragione. Io sono partita da Bill Evans…l'ho ascoltato per 10 anni, poi sono tornata indietro, per poi rispostarmi in avanti …
A.F.: Esatto! Io per esempio ascoltavo Oscar Peterson e quando ho sentito Bill Evans, in quel momento non mi piaceva, non lo capivo, poi l'ho scoperto in modo naturale qualche anno dopo. E' fondamentale: mai forzare l'ascolto.

R.D.G.: Ora vorrei spostare il nostro discorso su aspetti più interiori… Mi riferisco a quello che mi dicevi tu, proprio l'ultima volta che ci eravamo visti qui, e cioè che la musica ti scaturisce prima di tutto dal cuore, dalla tua sensibilità…. e poi dal cervello, nel senso dell'aspetto razionale e tecnico del pianismo, che hai acquisito con tantissima dedizione, tenacia e studio.
A.F.: Sì, considero la tecnica decisamente solo un "mezzo" che ci permette di esprimere la nostra sensibilità, bisogna solo stare attenti a non abusarne...

R.D.G.: Ma disporre di un mezzo così sviluppato ti permette di esprimere qualunque cosa senza limitazioni…
A.F.: Devi mantenere questa cosa con costanza. Lo stesso succede quando ti curi di una pianta che va annaffiata tutti i giorni o quasi, se no muore. Con lo strumento, è un po' la stessa cosa. L'esercizio è fondamentale. Ma è chiaro che questo, ripeto, è solo un mezzo che ti permette di esprimere le cose che hai dentro, non sviluppa certo i sentimenti. Le limitazioni tecniche tutti possono averle… mi capita a volte di dire "a questo esercizio non ci avevo pensato"… come vedi c'è sempre da imparare a qualsiasi livello. Quando per esempio ci viene fatta una critica negativa, in genere la reazione più comune è quella di prendersela, ma bisogna sempre valutare il fine della critica e soprattutto se è fatta da persona competente. In ogni caso bisogna riuscire, non dico che sia facile, anche dalle cose negative a trarne stimoli positivi, reagendo in modo costruttivo. Uno dei modi migliori è sempre partire da una buona e sincera autocritica.

R.D.G.: A seguito di questo connubio che mi dicevi, questa unione di sensibilità e perfezionismo, ho fatto dei paralleli con dei grandi musicisti antecedenti. Fra l'altro erano tutte personalità molto particolari, complesse, anche inquietanti, a volte. Ho pensato prima di tutto a Kenny Kirkland che tu hai conosciuto bene…. Di lui cosa ti è rimasto, che esperienze hai vissuto con Kenny?
A.F.: Kenny era un vero brother… sono quelle persone che quando le vedi e quando le senti suonare ti danno una grande gioia interiore…. La cosa bella è che tra me e Kenny Kirkland questa era una cosa reciproca. Quando io suonavo, lui aveva la stessa reazione. Il complimento più bello è stato quando Kenny mi chiamò dalla Scandinavia per sostituirlo nel quartetto di Kenny Garrett. Questo a me bastava come conferma della sua sincera stima nei miei confronti. Per me Kenny rappresentava un grande punto di energia.

R.D.G.: Kenny era una persona introversa, chiusa, sola o no? Come mai è finito così male?
A.F.:
No, al contrario, Kenny era una persona molto aperta. E' finito male perché a volte entri in certi giri…. Lui purtroppo aveva un difetto fisico dovuto ad un incidente che aveva subito da piccolo. Tra l'altro da bambino era un ottimo ballerino. Probabilmente ci sono delle cose che negli anni ti porti appresso a livello psicologico e chiaramente in qualche modo devi sfogarle, da qualche parte…. non so, questa è l'unica giustificazione che posso dargli…. però per il resto, ti dico, lui era una persona molto solare….

R.D.G.:
Ho pensato anche a Bill Evans, sensibilissimo, esigente e molto critico verso sé stesso, mai soddisfatto del proprio risultato…. Evans era un uomo profondamente insoddisfatto, depresso fino all'autodistruzione…
A.F.: Il fatto di non essere mai, o quasi mai, soddisfatti è tipico di chi alla fine pensa sempre ad evolversi. Non voglio dire con questo che bisogna essere auto distruttivi.

R.D.G.:
Un altro personaggio, appartenente però al mondo della musica classica….Glenn Gould, per esempio, è un altro grande artista che mi ha scioccata come persona, molto complesso, introverso, maniacale, Gould era un perfezionista spaventoso…
A.F.: Sì, certo. Lui era incredibile. Voglio dire che spesso dietro la vita di un vero artista si nascondono momenti di profonda tristezza e malinconia dai quali a volte possono nascere delle grandi opere. Il ricordo per me è fondamentale, anche se devo dire, mi fa soffrire sapere che alcuni momenti della vita non possono più ritornare e magari in quel momento non riuscivo a valorizzarli. Sono molto legato al passato, alla mia infanzia, che mi ispira molto musicalmente.

R.D.G.: In un certo senso c'è una specie di maschera dietro la quale un artista si sente più sicuro?
A.F.: Penso che questo riguardi un po' l'uomo in genere! Diciamo che chi ha la sensibilità di capire un artista non ha certo bisogno di guardarlo in faccia per comprendere il suo stato d'animo, ma lo può riscontrare dal suo modo di esprimersi artisticamente, che spesso si trasforma in qualcosa di positivo… E' un po' un controsenso in effetti, però è così.

R.D.G.: Secondo te una persona dotata di una sensibilità molto sviluppata riesce, o cerca comunque di comunicare questi stati d'animo agli altri o preferisce tenersi tutto dentro come hanno fatto alcuni dei personaggi che ti citavo prima?
A.F.: Io penso che queste persone siano portate ad aprirsi solo verso pochi veri amici, persone che conoscono bene e che possono davvero capirle. Almeno, nel mio caso è così.

R.D.G.: Tornando a Kenny Kirkland, il tuo brano "Brother Kenny" lo hai dedicato a lui?
A.F.:
Esatto. E' un brano che gli ho dedicato in quanto lo consideravo un vero fratello.

R.D.G.: Nei tuoi album ho visto che ci sono vari pezzi dedicati a persone…
A.F.: Diciamo che amo più fare regali piuttosto che riceverli. Nel caso di mia mamma, che è un caso a parte, oltre al brano "Vera" le ho dedicato l'intero cd "Encore". "Dede'" invece l'ho dedicato a Dédé Ceccarelli. Mi piace far sentire bene le persone che per me sono importanti o sono state importanti. Alla mia ragazza ho dedicato un brano che si chiama appunto Sylvie.

R.D.G.: Una delle ultime domande che desidero farti… Vorrei sapere qual è il tuo rapporto con la musica classica, che hai sicuramente studiato in modo approfondito. La musica classica è solo una palestra o è fonte di emozioni al pari del jazz?
A.F.:
Sì, ho studiato musica classica e continuo a praticarla senza però esibirmi in pubblico. In passato ho avuto un grande maestro che si chiamava Adriano Della Giustina.

R.D.G.: Quali sono i tuoi gusti per quanto riguarda la musica classica?
A.F.: Mi piacciono molto Chopin e Bach.  Parlando di quelli più moderni, Ravel, Debussy e tanti altri….

R.D.G.: Alla Bill Evans, insomma…….
A.F.:
Beh, sì… sai i jazzisti… in genere sono più vicini al '900 anche perché il jazz è nato in questo periodo. Quindi, Ravel, Debussy e altri del periodo sono quelli che più hanno influenzato la nostra musica da un punto di vista armonico. A parte Bach, che era di un'altra epoca, ma era un grande improvvisatore….

R.D.G.: Una curiosità, il titolo Encore è alla francese?
A.F.: Sì, sarebbe il nostro "bis"… Basta usare sempre titoli americani!!!

R.D.G.: Il tuo ultimo lavoro Takes On Pasolini, che tra l'altro mi è piaciuto moltissimo, come è nato come idea?
A.F.:  E' vero che ho visto alcuni film di Pasolini… Ma si ritorna sempre al discorso dell'infanzia, dei ricordi… film come Mamma Roma, Uccellacci e Uccellini, cose che ti rimangono come immagini molto forti, i volti popolari e il "suono" che devo dire è la prima cosa che mi arriva quando in genere mi capita di vedere un film. Saprai sicuramente che sono un grande fan di John Williams, per dire…Questo cd è nato perché è il trentennale dalla morte di Pasolini, è comunque stata una proposta della "CAM", la mia etichetta discografica, che ho accolto con grande entusiasmo. In realtà in quel periodo avevo già in programma di fare un cd in trio con Miroslav Vitous e Daniel Humair e alla fine è nato il progetto.

R.D.G.: Ed è riuscito molto bene!
A.F.: Ti ringrazio… Sai, è stato classificato "disco del mese" di marzo, su BBC Magazine in Inghilterra.

R.D.G.: Attraverso questo lavoro su Pasolini, ho intravisto magari una passione per un certo tipo di cinema o di letteratura. Mi chiedevo se, con una vita intensa come può essere la tua a livello musicale, riesci a coltivare altri interessi in maniera approfondita.
A.F.: In genere quando non suono cerco di svuotarmi la testa … nel senso che la musica, l'arte mi impegna talmente tanto a livello cerebrale che quando mi interesso di altro, come per esempio nel caso del cinema, ho bisogno di rilassarmi, quindi cerco di evitare film troppo "intellettuali" o troppo "rompicapo". Un'altra mia grande passione sono gli animali e la natura in genere.

R.D.G.: Ultime due domande. Il tuo peggior difetto?
A.F.: Difetto? Che difetti ho? Bisognerebbe chiederlo agli altri, a parte che gli altri hanno sempre qualcosa da dire…..

R.D.G.: Ma tu sei molto critico e consapevole di te stesso, no?
A.F.: Sì, sono molto autocritico e anche molto istintivo.

R.D.G.: La tua migliore qualità?
A.F.:
Mah, pregi… Mi considero un altruista. Può bastare?

R.D.G.: Grazie! Sì, mi basta! Direi che ti ho passato veramente ai raggi X ….
A.F.: Non preoccuparti, grazie mille a te!

Si conclude così la mia lunga conversazione con Antonio Faraò. Giusto in tempo per l'inizio del suo concerto… Un grazie mio personale ad Antonio per la sua pazienza e grande disponibilità.







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Data pubblicazione: 23/04/2006

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