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Bilancio "stellare" per l'edizione di Umbria Jazz
di Marcello Migliosi
"Sarà Diana Krall ad inaugurare la prossima edizione di Umbria Jazz, il 7 luglio del 2006", lo ha annunciato il direttore artistico,
Carlo Pagnotta, nel corso della conferenza stampa di fine festival. E a coloro che hanno detto che Umbria Jazz, quest'anno, è stata troppo pop e poco jazz, il patron ha replicato: "Vorrei ricordare a costoro che ad UJ ha funzionato più il jazz che il pop e, poi, se la formula non piace, possono sempre stare a casa o andare da un'altra parte".
Pagnotta, come al solito, non va per il sottile, e ha attaccato anche un celebre rotocalco nazionale. In ogni caso, i numeri parlano chiaro: "Abbiamo raggiunto e superato il milione di euro di incassi", ha dichiarato con orgoglio, la vicepresidente dell'Associazione,
Alba Peccia. Oltre 35 mila gli spettatori paganti, ma quelli degli oltre 200 concerti in tutto sono stati più di 300.000. Tutto esaurito per i concerti di
Elton John, Al Jarreau e George Benson. Molto bene anche Oscar Peterson,
Tony Bennet e la Count Basie Orchestra. Tre festival in uno: "E' la formula che più ci si addice", ha sottolineato Carlo Pagnotta. "Con i dovuti aggiustamenti, ma è la configurazione che ci accompagna oramai da anni e, crediamo, che per noi sia assolutamente la formula giusta". Il direttore artistico del festival ha poi annunciato, come del resto già comparso sulle pagine del sito, che il "pupillo", Francesco Cafiso, produrrà un album con quanto è stato presentato all'Auditorium di Roma e a Umbria Jazz: "Francesco Cafiso with the strings", una rilettura del celeberrimo album di "Bird", "Charlie Parker with the strings". Il
Jazz Willage - spazio gratuito del Santa Giuliana (che ha sostituito i giardini Carducci, momentaneamente non agibili) - ha funzionato.
Stefano Mazzi, consigliere di amministrazione, ha detto che era una delle sfide di questa edizione: "La sfida l'abbiamo vinta, come abbiamo vinto quella del nuovo main sponsor." "Umbria Jazz non è solo musica, Umbria Jazz è tutti coloro che, volontariamente, ci lavorano: è un'esperienza unica e irripetibile", il sindaco di Perugia,
Renato Locchi - rintuzzando coloro che hanno detto che il Centro storico ha sofferto un po' del fatto che i concerti fossero più concentrati al Santa Giuliana (tra Arena e Jazz Willage), ha ricordato che: "L'Area della chiesa è Centro Storico". L'Alcalde ha anche ricordato che: "Andare da piazza d'Italia al palco di piazza IV novembre, in certe ore del giorno, era praticamente impossibile". Umbria Jazz, quindi, fenomeno commerciale anche e non solo artistico. Secondo Locchi - e non potrebbe essere altrimenti - le presenze a Perugia, per Umbria Jazz, "sono presenze colte e che spesso, durante il giorno, frequentano pure la Galleria nazionale dell'Umbria, per osservare con occhi attenti anche la storia dell'arte della pittura e della scultura, della città". Alla conferenza stampa era presente anche la presidente dell'Umbria,
Maria Rita Lorenzetti, per altro affezionata "utente" dei concerti di UJ. "Col Pil che cala, con i dati dell'economia che fanno rabbrividire
- ha detto la Governatrice - presenziare alle conferenze stampa di Umbria Jazz è piacevole: è sempre un successo". Lorenzetti ha poi ricordato che, in questi trentatré anni di UJ, si sono fatte delle scelte coraggiose: "A volte anche sofferte"; ha detto, ricordando gli anni in cui la manifestazione fu sospesa. "Ora però
- ha aggiunto in conclusione del suo breve intervento -, la formula è rodata ed è una grande formula". Pagnotta ha poi - beh con la solita ironia, polemizzato con chi si lamenta che i concerti vanno a finire troppo tardi: "Il jazz non è la musica della camomilla
- ha detto - è a costoro daremo qualche caffè in più". Il direttore artistico, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha anche annunciato che Francesco Cafiso - oltre che ad essere presente ad UJ Winter, il primo di gennaio con i Solisti di Perugia - sarà a New York per il "Top Italian jazz". "Francesco
- ha ricordato Pagnotta - è l'unico musicista europeo cui gli americani concedono di suonare, per sere consecutive, al nuovo club del Lincoln Center". E a proposito della presentazione del jazz italiano nella "Grande mela". Val bene ricordare che, dal
27 marzo
al
2 aprile
prossimi, a New York, Umbria Jazz presenterà: Dado Moroni
trio, Giovanni Tommaso quartetto con lo special guest di Paolo Fresu, Enrico Pieranunzi
trio, il "laureato" Enrico Rava con il suo quintetto, Stefano Bollani
trio e, appunto, il quartetto (americano) di Francesco Cafiso.
I tre "laureati" della Berklee
di Marcello Migliosi
Sono Enrico Rava, Hank Jones e McCoy Tyner, i tre nuovi "laureati" della Berklee School of music di Boston. I riconoscimenti sono stati consegnati a Perugia, con il sottofondo di 250 studenti che hanno suonato in onore di Charlie Parker: quest'anno sono cinquan'anni dalla sua morte. Umbria Jazz tiene molto alla sua sezione "didattica", sono, infatti, vent'anni che la Berklee tiene a Perugia i suoi seminari estivi: sempre in concomitanza con il festival organizzato da Carlo Pagnotta. Per altro, quelli del capoluogo umbro, sono gli unici che la BSOM tiene nel Vecchio Continente. L'orchestra dei "duecentocinquanta" ha suonato – in una sorta di enorme marchino band – gli standard del maestro del sax "bebop", Chiarlie "the bird" Parker. Dalla duecentesca Fontana Maggiore e percorrendo il corso intitolato a Pietro Vannucci, il Perugino, in testa trombe e sassofoni, in mezzo: percussionisti di ogni tipo e, a chiudere il corteo, la classe dei cantanti. Il tutto preceduto da uno striscione del tipo corteo studentesco con slogan che inneggiavano a ''Bird''. L'estensore dei testi del book di Umbria Jazz,
Paolo Occhiuto, tiene a ricordare che un qualche cosa di analogo si svolse, sempre a Perugia, subito dopo la morte di Miles Davis. La cerimonia dell'assegnazione delle lauree, ad honorem, si è svolta nell'austera sala dei Notari, a palazzo dei Priori: sede del Comune di Perugia. Nella sala, con i docenti dei seminari ed i massimi dirigenti del college, tutti nelle austere toghe di rappresentanza, anche molti dei ragazzi iscritti ai corsi. I tre musicisti vanno ad aggiungersi ad una lista non folta ma mozzafiato di cui fanno parte anche Duke Ellington, Elvin Jones, Sonny Rollins, Pat Metheny. E proprio a Rollins, il prestigioso riconoscimento fu consegnato ad Umbria Jazz, nel corso di una passata edizione. Che dire dell'omaggio ad Enrico Rava? Un riconoscimento che va ad un artista che, da tempo oramai, impersona il nostro miglior jazz nel mondo. Gli americani lo conoscono bene: ha partecipato ad alcuni progetti, come: "Escalator over the hill", di Carla Bley. "Sono commosso ed orgoglioso", ha detto il presidente bostoniano dei corsi,
Roger Brown (quello italiano è Giovanni Tommaso), anche perché i suoi due compagni sono figure di riferimento nella musica afroamericana. Per altro McCoy Tyner è stato il protagonista della scorsa notte con una orchestra di "tutte stelle" in cui suona anche
Ravi Coltrane, figlio del mitico John. Con loro anche il "decano" dei pianisti, Hank Jones che suonerà, a mezzanotte, nel quartetto di Joe Lovano.
In piedi, c'è Oscar Peterson!
di Marcello Migliosi
"Reunion blues" di Milt Jackson, e il concerto di Oscar Peterson prende il via. Prende il via con uno standard del vibrafonista del
Modern Jazz Quartet, cui il pianista di Montreal - a metà spettacolo, più o meno -
ha dedicato, come per il bassista Ray Brown, un requiem. Una dolce e triste ballad preceduta da una frase che resterà nella storia: "Una dedica per tutti coloro che hanno fatto del jazz una musica d'arte". Il grande bluesman canadese, provato dai severi acciacchi fisici, ha rappresentato un po' il gabbiano di una fiaba: arrivò sul ponte della nave tutto malandato, ma poi, il suo volo fu straordinario e diretto verso il sole. Oscar Peterson, accompagnato da
David Young al contrabbasso,
da Alvin Queen alla batteria e da un funambolico,
Ulf Wakenius alla chitarra, - ad Umbria Jazz - ha rispolverato diversi standard del "real book", passando anche per "Satin Doll" di Duke Ellington o "Here's that rainy day". Straordinario "When summer comes" del resto come tutte
le ballad dove, come sempre, Oscar Peterson dà il meglio di sè. Se di Duke ha suonato Satin Doll di Count Basie, Peterson non ha certo omesso di presentare "Cute" e poi tanti, ma davvero tanti suoi brani: "Kelly's blues",
"Love ballad", "Hymn to the freedom" e una straordinaria "Sweet Georgia Brown". Il pubblico ha atteso il grande Oscar in piedi e lo ha lasciato in piedi, consapevole di un'occasione che - viva cent'anni - potrebbe non ricapitare mai più nella vita. Ascoltare chi, nella sua, ha accompagnato Charlie Parker, Stan Getz, Billie Holiday, Lester Young e Coleman Hawkins.
Peterson non usa praticamente più la mano sinistra ed entra ed esce a fatica dal palco e si alza a fatica dalla panca del pianoforte. Ma come il gabbiano malandato quando la sua mano tocca la tastiera ci si accorge che anche lui può ancora volare: un volo fatto di ali che resteranno per sempre spiegate sul cielo della musica afroamericana.
Al Jarreau e George Benson, tra funk e jazz: un'onda di note travolge il Santa Giuliana
di
Marcello Migliosi
"Al Jarreau è la prova vivente che Dio lavorò anche di domenica", il cantante del Milwakee, ieri sera all'Arena di Santa Giuliana, ha letteralmente travolto il popolo di Umbria Jazz. Un'onda di note, che il sostegno ritmico di una macchina funk, – la sua -, ha reso incontenibile. Al Jarreau ha presentato il suo ultimo album: "Accentuate the positive", ancora per la Verve: frutto di una ritrovata collaborazione don
Tommy Li Puma. La sua acrobazia vocale è passata da "Save me" a "My old friend",
ma anche su cover quali "Take five" e "Spain"
di Chick Corea. Quest'ultima riletta in uno spasmodico virtuosismo, dove, Al Jarreau ha trascinato i suoi musicisti. C'è stato lo spazio anche per una dedica ad
Elton John, con "Your song", di Bernie Taupin. Fino ai bis con un passaggio in Brasile per un omaggio a Jobim e a Vinicius De Moraes: "Agua de beber". Tutti i componenti della band di Jarreau sono apparsi in ottima forma. In particolare il bassista, il "mancino",
Chris Walzer, ha avuto il suo punto di forza su una dinamica poggiata sul "bass popping", che, seppure tecnica già conosciuta, è sempre capace si suscitare forti entusiasmi ritmici in chi l'ascolta. Seguire Al Jarreau da musicista dev'essere davvero un'emozione straordinaria: il vocalist dà sempre l'idea di non aver preordinato nulla. Fa una citazione e chi suona deve essere pronto a seguirlo: o per lo meno, la sensazione che si ha è questa! In altri termini, sembra che tutto sia improvvisato, anche le frasi più lunghe espresse all'unisono e, questo, si sa bene che non è possibile. Un'ora e mezza di concerto e, dopo i bis, il rimpianto di vederlo andare via. George Benson, dal canto suo, sta diventando sempre più cantante che chitarrista, anche se resta sempre uno dei maestri della sei corde jazz: i suoi soli con l'utilizzo degli accordi sono una pietra miliare dell'improvvisazione. A Perugia ha presentato il suo "Irreplaceable", passando per un passato recente e no.
"In you eyes", "This Masquerade", "Never give up on a good thing" e "Kisses in the moonlight" sono stati
i brani che hanno forse scaldato più la platea dei suoi fan più accaniti. Da segnalare che
Benson, poco prima dell'inizio del concerto, ha avuto un leggero malore: un piccolo collasso, sembra, che non gli ha impedito, però, di presentarsi davanti alle quasi tremila persone dell'Arena.
"Note autorizzate", presentato, ad Umbria Jazz, il disco della Tribunal Mist Jazz Band
di
Marcello Migliosi (si ringrazia Dorotea Rizzo)
Distribuito da Wla
musica per la musica
Arrivederci
- Ask Me Why
(Perugia) - "Arrangiare e creare le parti è stato difficile e stimolante. Difficile perché a volte non avevo più che una partitura da 'Real book' e dovevo realizzare pure le parti per le sezioni dei fiati. Stimolante perché ho dovuto costruire un sottile 'filo rosso' che unisse musicisti di provenienza diversa e di cultura più eterogenea possibile". Il direttore Antonio Solimene, in occasione della presentazione de: "Note autorizzate"; secondo album della
Tribunal Jazz Band di Napoli, ha sintetizzato con queste parole lo sforzo, ma anche e soprattutto, la passione che ha animato il lavoro dei ventuno componenti dell'orchestra partenopea (21 elementi). "Mi emoziono
- ha detto il vibrafonista e direttore artistico, Paolo Pannella, durante la conferenza stampa di presentazione -, per me è un sogno presentare il disco ad Umbria Jazz e avere la possibilità di suonare".
Pannella ci tiene molti a sottolineare che la Tribunal è composta per metà da musicisti professionisti e per l'altra, invece, da chi in passato ha avuto esperienze musicali importanti, ma che, ora, fa tutt'altro lavoro: avvocati, artigiani…Sei mesi di lavoro e il disco è stato realizzato. Il primo brano, firmato nientemeno che da Marco Zurzolo, è un "tango" (Napoletana a tango) dove emerge, delicato e solenne, il solo del pianista Dario Zeno. Non prima, però, che la scansione ritmica sia passata quasi per un "bajon". Forti le venature mediterranee: così come aveva previsto lo stesso arrangiatore e che, inevitabilmente, si sposano con il sentimento mediterraneo dei musicisti. Nel solo Zeno è riflessivo, quasi discostato dalla ritmicità iniziale. Per nulla scontato, Zeno trascina l'orchestra verso un "medium" ben sostenuto dalla "brass machine": la sezione si fa portante, gradevole e trainante fino al
turnaround che restituisce, a chi ascolta, il tango iniziale. Il secondo brano dell'album, non ci crederete, ma è "Arrivederci", di
Umberto Bindi. E qui si ha la possibilità di ascoltare la voce - di "velluto" - di
Nadia Boccarusso. Ottime le scelte armoniche, con le sostituzioni di accordi che offrono un sostegno molto "jazz" per la melodia vocale. Bene i fiati sulle note basse: davvero come le grandi orchestre del passato, su cui si incastra - su un medium incalzante - il solo di Gianfranco Campagnoli.
Boccarusso riesce ad evocare i ricordi che, il grande cantautore genovese ci ha lasciato, usando a meraviglia i suoi risuonatori naturali. "Ask me why" è un "blues" vero dove il vibrafono, di
Pannella, fa capolino tra gli obbligati dei fiati. L'orchestra lavora sul ballad, anche se il sassofono preferisce - ed è un'espressione tutta americana - correre, nel solo, sulle ali dello swing: l'effetto che si ottiene è indubbiamente efficace, sia sul piano ritmico sia su quello della creatività. "Soleada", di Antonio Onorato - per il cui arrangiamento ci ha messo del suo anche Spinosa -, è un "latin" dolce e sensuale, dove la tenuta delle lunghe note della sezione dei fiati è il supporto ideale per il piano di Zeno. Ed è lo stesso Dario Zeno che dà il via a "Hand", di Massimo Spinosa. Torna la voce di
Nadia Boccarusso che, in inglese - quasi a "spiritual singer" - si appoggia su un 4/4 lento e sostenuto dalla "costa" del rullante di
Geppino Capasso. Il sax di Marco Spedaliere fornisce un lirismo blues, colorato da venature mediterranee, che sanno di
blue note: un sax notturno! Di Giovanni Tommaso, "Hotel Excelsior", con i soli di
Tatafiore alla chitarra - come nelle migliori scuole jazzistiche - e Nicola Mozzillo
con il suo clarinetto. Resta, però, il predominio, nell'economia dei pezzi, della "macchina" orchestrale che, in vero, dimostra una compattezza che attesta la Tribunal come organico maturo e musicalmente educativo. Singolarissimo e godibile l'arrangiamento de "Vecchio frac", di
Domenico Modugno e "Libertango" di
Astor Piazzola. Una "farcitura" di melodie e armonizzazioni, a cavallo tra la mediterraneità più pura e i "colori" latini. Chiude l'album: "Sembrerebbe quasi festa", di Renato Sellani. Qui si può apprezzare, sulla delicatezza dell'impianto dei fiati, un solo - realmente da ascolto e molto meditativo del vibrafonista,
Paolo Pannella. Un tocco pulito, "swingeggiante", la cui dimensione musicale si sposa alla perfezione con l'ochestra. Non si può, a dirla come Franco Fayenz, assegnare alla Tribunal l'etichetta di "tradizionalisti" (vedasi
Napoletana a Tango), ma di certo il "collettivo" c'è, e c'è sia per passione sia per abnegazione e dedizione allo studio: uno studio che passa per gli standard e si colorisce con la fantasia e i sapori che solo Napoli può regalare.
"Charlie Parker with strings" by Cafiso. Presto il disco del sassofonista di Vittoria
di Marcello Migliosi
(Perugia) - «Abbiamo registrato tra il 15 e il 18 di giugno scorso ad Umbertide, in Umbria. Ma non so quando sarà pronto il disco», Francesco Cafiso – subito dopo il concerto che lo ha visto protagonista assoluto dei primi giorni di Umbria Jazz -, è un po' titubante a parlarci di questa sua nuova fatica. Si capisce che il successo del 6 di luglio presso l'Auditorium di Roma e quello di ieri, 9 luglio, al Morlacchi di Perugia, un po' l'intimidiscono. Le note dei brani di "Charlie Parker with strings" (Verve), riproposti con il titolo "Cafiso & strings con i solisti di Perugia", sono risuonate nello storico teatro perugino, sancendo, è proprio il caso di dirlo, l'apertura vera dei concerti "jazz" di UJ 2005. Di "the Bird", l'alto sassofonista di Vittoria ha, fra gli altri, suonato "Cherokee", "Ornithology",
ma
anche "Donna Lee", "Yardbird Suite" e "Antropology". Il "dioscuro" del bebop, forse più che mai, è stato rappresentato, in questo lavoro, da Francesco Cafiso. Erano gli anni – quelli del disco della Verve – in cui il bebop sbocciava dal swing. Parker, che aveva scandalizzato tutti con il suo modo di suonare - traendo tutta la sua forza dalla disperazione del blues e da un'infanzia, la sua, non vissuta – con
CP&S riscrive gran parte della storia esecutiva degli standard del jazz. Nel novembre del 1949 Charlie "Bird" Parker registrò diverse composizioni con un jazz ensemble. Le composizioni avrebbero poi portato all'album intitolato
Charlie Parker with Strings che, quando uscì, nel maggio del 1950, divenne rapidamente il più venduto di Charlie Parker. L'album originale conteneva sei esecuzioni (Just Friends,
Summertime, If I should loose you, April in Paris, Everything Happens To Me,
I didn't know what time it was). Si decise di aggiungere più arrangiamenti al repertorio del nuovo ensemble di "Bird", nell'ottica di poter rientrare nei canoni richiesti dai jazz club del periodo. Fu inoltre predisposta un'ulteriore registrazione con gli archi nel luglio del 1950. Poiché tutti i brani scelti avevano una lunghezza fissa, e la performance di ciascuno durava circa tre minuti, apparve subito chiaro che, anche aggiungendo la seconda produzione di brani, il repertorio non sarebbe bastato per coprire un ingaggio in un jazz club. Ad alleviare il problema giunsero altre partiture commissionate per il tour.
Queste ultime non furono mai utilizzate in studio e se ne trovano solo rare versioni. Il programma del festival prevede un ciclo di otto concerti e un seminario di studi. «Le partiture
– spiega lo stesso Cafiso – me le ha fatte avere Capua e io ci ho lavorato insieme ai Solisti di Perugia». Poco fa scrivevamo di "Summertime". Beh, il Morlacchi è quasi "venuto giù" a suon di applausi, prodromici della "standig ovation" della fine e dei bis richiesti in chiusura. Ballad, medium, qualche "swing" e un ultimo "shuffle", per un'opera – ed è proprio il caso di chiamarla così – che ha fatto brillare gli occhi ai giornalisti e coinvolgere, trasversalmente, giovani e meno giovani. Segno, inconfutabile, che il jazz deve, obbligatoriamente, passare per quegli standard che, troppi davvero troppi, musicisti aborriscono e che, molto spesso, nemmeno hanno mai suonato, almeno come puro esercizio accademico. Una volta quando Parker suonava nella band di Count Basie e nessuno era d'accordo col suo modo di suonare, il batterista
Jo Jones gli gettò addosso i piatti in segno di protesta e di ira. Parker si alzò e uscì piangendo. Per giorni i suoi occhi furono rossi e gonfi di pianto. Parker racconta "Non riuscivo più a sopportare le armonie stereotipate che allora erano continuamente impiegate da tutti. Continuavo a pensare che doveva esserci qualche cosa di diverso. A volte riuscivo a sentire qualcosa, ma non ero in grado di suonarlo... Sì quella notte improvvisai a lungo su Cherokee. Mentre lo facevo mi accorsi che impiegando come linea melodica gli intervalli più alti delle armonie, mettendovi sotto armonie nuove, abbastanza affini, stavo suonando improvvisamente ciò che per tutto quel tempo avevo sentito dentro di me. Rinacqui a nuova vita." Incredibile vero? che circa trent'anni dopo, un piccolo-grande siciliano reincarni, pressoché totalmente, il modo di suonare di un uomo, la cui vita, di certo, è stata nell'infanzia e nell'adolescenza, molto meno fortunata della sua. Che suoni gli standard che suonava The Bird, con lo stesso slancio, con la stessa passione e con quel "beboppismo" che i piatti di Jo Jones contestarono, "vendicando" tutti i musicisti "scandalizzati" di quegli anni. L'apporto dei "Solisti di Perugia", per chi non ci crede ancora, è stato determinante: il background degli archi, al seguito del primo violino,
Paolo Franceschini, non ha fatto rimpiangere nulla di CP&S. Il quartetto di
Cafiso, dal canto suo, è oramai rodato a dovere. Era tempo che non si ascoltava un solo di batteria fatto di "spazzole", Stefano Bagnoli "Brushman" (non a caso!) lo ha proposto offrendo un virtuosismo di rara raffinatezza. Forte il sostegno di Riccardo Arrighini
al pianoforte e Aldo Zunino al contrabbasso. Francesco Cafiso, dal canto suo, ha dato il massimo: pur restando coerente con la sua natura e con quella del grande Maestro di Kansas City.
Umbria Jazz per la
pace! Il festival entra nel vivo di Marcello
Migliosi
La musica per inviare al mondo un appello alla pace e alla
fratellanza tra gli uomini: non più guerre ne' attentati, non più morti ne'
attacchi terroristici. Non poteva mancare ad Umbria Jazz 2005 il richiamo alla speranza e l'invocazione alla
non violenza e l'esortazione al rifiuto dei terribili fatti di Londra. Il
festival perugino è entrato nel vivo con la voce – e i panismo sottile e tonale
– di Sergio
Cammariere. Il pianista cantante di Crotone ha dedicato il suo
concerto alle vittime della capitale britannica; sul palco dell'Arena di Santa
Giuliana, è arrivato con una band di sei elementi (lui compreso). Pur di fronte
ad un pubblico – per antonomasia – difficile e dal "palato delicato" e pur non
essendo in possesso di un lirismo da jazzista vero e puro, Cammariere
ha retto l'impatto con il popolo di Umbria Jazz. Ottimo l'apporto del suo
trombettista: Fabrizio
Bosso. Molto compatta la sezione ritmica che, solo forse nel "solo" è apparsa
un po' scontata e "appannata": per il resto background incalzante ed
impeccabile. Il richiamo alla solidarietà, Cammariere
lo ha fatto poco prima di suonare "Dalla pace del mare lontano": brano che arrivato dopo altri
sei in scaletta. Forti le venature latine, a partire già dalla cover di Miles
Davis: "If I where a
bell". Per il resto, pur non discostandosi troppo da proposizioni
ritmiche sud americane e "swingeggianti", il cantante calabrese ha offerto
esclusivamente brani di propria composizione: "Sorella mia", "Cambiamenti del mondo", "Nessuna è come te", "Tempo perduto" e così a seguire.. «Ho un
rapporto viscerale con il jazz – ha detto ai giornalisti Cammariere
-, è viscerale, perché suonare ti dà la possibilità di improvvisare e da
quando ero bambino mi è sempre piaciuto giocare con i tasti e con le note».
Mezz'ora di pausa e arriva la star della serata: Diana Ross. Fisicamente
ancora in forma, la cantante di Detroit è apparsa, invece, indebolita, anziché
no, sul piano vocale, ma, d'altronde, i "mitici anni ‘70" sono ben lontani. La
"regina" della Motown ha, in ogni caso, "tenuto" il palco e l'ha tenuto aprendo
con "I'm coming out",
sostenuta da una band il cui impatto sonoro è stato forse il suo "segreto"
migliore. "Chain
reaction", "My
world" e un tributo alle "Supremes", mitico gruppo al femminile, di
cui Diana Ross ha fatto parte fino al 1970. Il
concerto è stato un riproporre costante dei successi del passato. Da "The boss", del 1979, a "Why do fools fall in love", del 1981. E poi: "If we hold on toghether", "Love child", "It's
my house", fino ad arrivare ad una trascinante e ballabilissima,
"I will survive". Molto
pop e poco jazz, in sostanza, all'Arena di Santa Giuliana. Ma, d'altro canto,
non si può fare diversamente: lo spazio è così grande che allestire un
cartellone da puristi e rientrarci con le spese non è davvero così semplice. Per
chi ama il jazz vero, beh ci sono sempre i pomeriggi, i ristoranti, la sala
Cannoniera della Rocca Paolina, i teatri…E di proposte e novità lì sì che ce ne
sono, una su tutte: il concerto di Francesco Cafiso & "Strings",
dedicato al grande Charlie Parker.
'The best of Blue Note at Umbria Jazz'', con un doppio cd, Umbria Jazz salda la collaborazione con l'etichetta discografica di New York
di Marcello Migliosi
"'The best of Blue Note at Umbria Jazz'', si chiama così il doppio cd realizzato dalla "Blue Note" e dedicato alla lunga storia del festival di
Carlo Pagnotta. 24 brani che rappresentano gli artisti dell'etichetta della "Grande Mela". Proprio i musicisti di New York hanno scritto pagine fondamentali per lo sviluppo del jazz moderno. Tra la
Blue Note ed Umbria Jazz è sempre esistito un legame piuttosto forte, ma in questi ultimi anni è andato, via via, rafforzandosi. Tant'è che, anche in questa edizione, è prevista la serata Blue Note, con la partecipazione di
Cassandra Wilson e Terence Blanchard. Dal punto di vista dei contenuti, il disco,seguendo un percorso cronologico, rievoca i primi anni della manifestazione: quella delle piazze dell'Umbria, quella che, gratuita, divenne un fenomeno di costume, per altro anche più volte contestato. Si parla degli anni dell'orchestra di
Thad Jones e Mel Lewis. In quella formazione cantava una giovanissima cantante: Dee Dee Bridgewater. Erano i tempi di
Charel Mingus, di Art Blakey con il suo hard bop, ma anche di Horace Silver. Il free jazz di Sam Rivers e della tromba di Freddie Hubbard. Distese di sacchi a pelo, gente per le strade…beh, un po' di confusione, in verità, c'era: erano gli albori di quello che poi sarebbe diventato Umbria Jazz. Purtroppo, però nel 1978 – a causa della ingestibilità del "fenomeno" -, il festival su sospeso. Il secondo cd, invece, ripercorre la storia recente, quella di Perugia e della grande organizzazione. Dal punto di vista musicale, val bene ricordare la presenza di: John Scofield, Michel Petrucciani, ma anche le voci di Kurt Elling e Dianne Reeves.
Non poteva mancare il "plotone" degli italiani: Stefano Di Battista, Paolo Fresu e Nicola Conte. Della
Blue Note anche Joe Lovano che, quest'anno a Perugia, si presenta con un quartetto di stelle. Tanto per citarne una: il pianista, quasi novantenne, Hank Jones. Tra le ultime icone della storia del jazz.
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Data pubblicazione: 08/07/2005
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