A.A.: Raccontiamo la
giornata di ieri la domenica di
Stefano Bollani a Torino…domenica particolare?
S.B.: E sì molto, innanzitutto non avevo mai suonato così tanto,
parliamo di quantità...
A.A.: E di stanchezza...
S.B.: Ti dirò, è come quando stai sveglio dopo una certa ora e staresti
sveglio tutta la notte, per cui in realtà io avrei continuato oltre le cinque
ore. A me non è dispiaciuta l'idea in partenza e anche la sua realizzazione
perché ormai i jazzisti sono artisti che vanno a teatro, suonano per un'ora
e mezza, ma una volta se si suonava nelle big band di Ellington facevi
la doppia e l'idea di riuscire a coniugare quantità e creatività è interessante
perché: creativi per un' ora va beh, ma creativi per cinque ore è un'impresa,
non c'è stato un momento nel concerto di ieri in cui ho pensato ad un'altra
cosa, ho creato sempre.
A.A.:
Come è nato questo Settembre Musica con
Bollani direttore artistico di se stesso?
S.B.: Me lo hanno proposto loro, tramite il Centro jazz Torino
con cui ho mantenuto i contatti.
A.A.: Hai potuto scegliere
quali dei tuoi progetti suonare?
S.B.: Assolutamente sì e non c'erano ospiti inediti, era molto incentrato
su di me: il trio danese con Jesper Bodilsen (contrabbasso) e
Morten Lund (batteria) che non sono molto conosciuti in Italia,
I Visionari, il mio
quintetto, e poi Petra e Ferruccio e
Antonello Salis.
A.A.:
Bollani
ha infatti raccontato nel pomeriggio la sua musica attraverso il piano in
solo, in duo con
Salis
con il quale collabora ormai da diversi anni (già in L'orchestra del Titanic
il primo quintetto del pianista) e ci spiega che…
S.B.: In realtà il duo con
Salis non è un progetto definito, saliamo sul palco e cominciamo
a suonare, può succedere qualunque cosa, possiamo andare a cadere, come
nel concerto di ieri, su un repertorio che conosciamo entrambi relativo
al Titanic come Un sole caldo caldo
e Soltanto. Con Antonello c'è
sempre stata una bella intesa, penso sia il musicista più creativo che abbiamo.
Il punto è che se lui suonasse l'ocarina io farei un duo con lui,
però sono contento quando faccio il duo di due pianoforti perché lui si
diverte di più e di conseguenza mi diverto di più anche io!
A.A.: Come è emerso anche
sul palco del Lingotto il momento che forse più di ogni altro rappresenta
attualmente il tuo essere oltre che pianista un compositore sono
I Visionari, come sono
nati i brani suonati ieri e che fanno parte del vostro primo doppio disco?
S.B.: Io porto il materiale da compositore,
porto gli spartiti, poi ognuno dice la sua e i pezzi cambiano fisionomia.
La composizione resta quella degli spartiti, ma gli arrangiamenti sono collettivi.
Il disco è nato dopo un anno e mezzo di concerti e anche questo ha contribuito
al mutamento dei brani.
A.A.:
I musicisti del tuo quintetto sono molto legati alla tua musica,
improvvisano ma su una tua struttura molto forte, che emerge in modo evidente...
S.B.: La cosa interessante di questi musicisti
è che sono molto, molto diversi, suonano musiche molto diverse, non so se
suonerebbero insieme se non ci fosse qualcosa (e qualcuno al pianoforte
n.d.r.) che li tenesse insieme:
Ferruccio (Spinetti) fa un duo con
Petra (Magoni) in cui si tratta sostanzialmente di canzoni
e non fanno assoli, Calcagnile (batteria) suona improvvisazione libera
di percussioni durante i laboratori creativi nei centri sociali, poi parte
per seminari di studio in Norvegia, si perde ma poi ritorna,
Gori
(clarinetto) suona omaggi a
Benny Goodman, Guerrini fa progetti con il Cirko
Guerrini e suona con Fossati. Il gruppo funziona perché si divertono
e perché tutti percepiscono che c'è spazio per il loro modo di suonare.
A.A.: La scelta del clarinetto
nel tuo quintetto?
S.B.: Due motivi. Suono tantissimo con le trombe: con
Rava
e nel quintetto
Rava/Fresu
quindi volevo un gruppo con due fiati ma non una tromba. Secondo motivo
perché solitamente scelgo le persone più che gli strumenti. Con
Gori
e Guerrini ho studiato in conservatorio a Firenze, volevo suonare
con loro e per questo li ho scelti.
Stefano Bollani ha schiacciato buona parte della sua vita
di musicista sul palco di Settembre Musica, creando (per oltre cinque ore)
una situazione, che con più evidenza di un assolo, lascia il piacevole gusto
dell'irripetibile.
Bollani ha cantato, scherzato, suonato e lasciato spazio
al duo
Magoni
Spinetti con profonda attenzione come a parte di qualcosa
di profondamente suo, Torino ha avuto la sua immensa mole di jazz.
|
Baldini&Castoldi Editore (2006)
La Sindrome
di Brontolo
Pubblicità e Furto di un' idea: furto di un'idea perché l'idea di mettere
"pubblicità" negli articoli è di Gabriele Romagnoli nelle sue
Navi in Bottiglia di
www.repubblica.it;
"pubblicità" di un' idea: quella di Letizia di inventarsi la libreria Scenario
Libri e Teatro e spesso…jazz www.scenariolibri.it.
Luogo: Scenario Libri e Teatro, Torino, Via Piazzi
7b.
Personaggi: Cliente, Libraia, Ascoltatore di jazz.
Scena prima (e unica!)
Cliente entra.
Libraia: "Buonasera!"
Cliente: "Buonasera a lei, ha il libro
del pianista
Stefano
Bollani?"
Libraia: "Sì, Ecco è lì sulla sua sinistra.."
Cliente (con il libro in mano): "Ma
Bollani
scriverà bene quanto suona??..Mah forse se scrive anche tutto un po' a scatti
e scambi mi sa che sarà un libro un po' pazzo!"
Ascoltatore di jazz (perplesso, comunque in
ascolto): "….?!!!??!"
Libraia: "Mmm, non saprei, io non l'ho letto, ma ascoltarlo mi
piace…"
Cliente (uscendo): "OK grazie, ripasso nei prossimi giorni, buonasera!"
Libraia: "Buonasera, a presto. Grazie."
Ascoltatore di jazz (uscendo, molto perplesso, fra sé e sé): "…"
La sindrome di Brontolo è un breve romanzo in
cui accade di tutto, il pianoforte c'entra poco o nulla. La scrittura di
Stefano Bollani non è "pazza" e il suo suonare con cambi
di ritmo, con tocchi di improvvisazione, di scherzo, di profondità, il suo
scivolare velocissimo prima e morbido poi su una tastiera è semplicemente
il jazz. La scrittura di
Stefano
Bollani è il racconto del silenzio di un musicista che è continuamente
circondato da note, applausi, ringraziamenti, domande, rumore di viaggi.
Le pagine di
Bollani
sono un'idea e non un'analisi, ci parlano di una strana malattia: la nostra
incapacità di sollevarci oltre e al di là della lamento, dell'insoddisfazione,
della velocità apatica e vuota, dell'inconsistenza. Sintomo principale di
questa strana patologia dell'uomo contemporaneo è il dimenticarsi sempre
il nome di uno dei sette nani; sempre lo stesso stupendo, in teoria indimenticabile
nano, il nano più leggero con il verbo più dolce...
Stefano Bollani, conoscitore di nani parla del suo libro
racconta lo stupore di rileggersi e di aver accompagnato i suoi silenzi
con la scrittura.
A.A.:
La sindrome di Brontolo non è il tuo primo
libro, ricordiamo L'America di Renato Carosone
e La cantata dei pastori erranti dallo
spettacolo con David Riondino, ma è il tuo primo romanzo. Parlaci
del suo rapporto, se c'è, con la musica; l'hai scritto ascoltando musica,
i tuoi personaggi non sono musicisti, ma sono musicali…
S.B.: L'ho scritto nel silenzio relativo di un aereoporto, di una
stazione, di un viaggio, di una stanza di albergo; non riesco a scrivere
ascoltando musica. Non pensavo avesse grandi legami con la musica, poi rileggendolo
ora mi sono reso conto che ciò che lo lega alla mia musica è la struttura:
c'è una struttura con dei temi che sono i cinque personaggi: si incontrano,
sembra che vaghino senza far nulla, ma in realtà la struttura è molto molto
rigida. E poi ciò che mi premeva e che ha un legame con la musica è che
letto a voce alta avesse un ritmo e infatti sono solo 88 pagine.
A.A.: Nelle pagine del
tuo libro spesso rifletti (a voce alta) sul tuo essere autore, un tuo personaggio
si riconosce con l'essere un personaggio di un romanzo, ho trovato tutto
questo molto interessante...
S.B.: Io credo che questo sia il tema principale del libro, neanche
troppo nascosto: una scrittura che si interroga su una scrittura come spesso
si è fatto nel ‘900; meglio da uno che pensa cose creative che si interroga
su cosa sta costruendo e perché. Non mi sono reso conto scrivendolo di creare
un' autobiografia, ma in realtà ogni personaggio fa autobiografia di Bollani
e più di tutti la fa l'autore che passa il suo tempo a chiedersi perché
sta scrivendo questo libro e non lo sa. Sapevo però che non volevo
far teoria o "pesantezza" ma volevo riflettere come dice un personaggio:
«una volta ci si raccontava le storie davanti al caminetto adesso se
vuoi raccontare una storia a qualcuno ti tocca rincorrerlo». Io sono
fortunato, le persone sono in teatro ferme, mi ascoltano, ma il mondo ha
fretta non va in quella direzione e infatti i rapporti tra i personaggi
del libro sono veloci perché non c'è tempo non c'è voglia di approfondire.
A.A.: …nel tuo essere
creatore di un'arte (una musica, un testo) ti rivolgi direttamente al tuo
spettatore, al lettore in modo diretto (nella Sindrome di Brontolo), forse
perché stai creando "per" qualcuno, per qualcosa, questo si percepisce spesso...
S.B.: Lo faccio "per", ma anche "per curiosità", cioè
mi interessa sapere che senso ha questo libro per qualcuno, che senso hanno
i miei dischi. Io penso di scrivere o di suonare una cosa molto precisa
e ad ognuno arriverà in maniera diversa è questo è bello. E' un po' il principio
delle fanfole di Fosco Maraini (musicate da
Stefano
Bollani in La gnosi delle Fanfole n.d.r.): io suggerisco,
poi ognuno può decidere se è successo qualcosa oppure no! Io non amo molto
coloro che fanno arte e asseriscono, mandano un messaggio. Io mi limito
a suggerire. Ognuno è compositore nel momento in cui ascolta, autore nel
momento in cui legge…
Buona lettura.
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ECM 2006
Piano Solo
Piano Solo è un uomo libero chiuso in una stanza. L'ultimo disco del
pianista
Stefano
Bollani è un disco, lungo e denso, interamente eseguito al pianoforte.
La solitudine e la concentrazione sullo strumento è totale, a differenza
di Smat Smat, primo lavoro da solista di
Bollani
per la Label Blue che vedeva la partecipazione di fisarmonica e voce.
Questo disco inciso per la Ecm di Manfred Eicher è un insieme,
omogeneo, lineare di dita e idee sulla tastiera: nessuna intrusione senza
uscire dalle ottave del pianoforte, senza una colpo di piede, senza un sospiro.
Piano solo è libertà e improvvisazione: libertà nella scelta dei brani
proposti, che sa estremizzarsi da Antonia
del compositore milanese
Antonio
Zambrini a Don't Talk dei
Beach Boys, improvvisazione pura a rate, pennellata su quattro diverse
tracce chiamate semplicemente Impro.
Bollani è però seduto al pianoforte, sembra a tratti il più
immobile dei funambolici pianisti jazz contemporanei e anche queste è una
profonda attenzione artistica: la struttura del disco è forte, il lavoro
prima della sala di registrazione è una strumento evidente della musica
di Piano Solo come ci racconta il pianista:
«Manfred Eicher ha fatto la scaletta del disco e anche la sequenza
delle foto narrative di Roberto Masotti che compongono il libretto.
Il disco doveva essere un omaggio a Prokofiev. Poi ne è rimasto un brano
solo: On a Theme by Sergey Prokofiev.Tutto
il disco è stato concepito da Manfred Eicher come una suite. Io non
avrei messo i brani i questo ordine, ma bisogna dire che il tutto funziona
e anche molto bene. Spesso i musicisti affermano che Eicher sia troppo invasivo,
ma la realtà è che conosce profondamente la musica e quindi interviene
sul "come" e non sul "cosa" dei sui dischi..»
I confini della musica di
Bollani
sono disegnati e condivisi, ma anche la sua ispirazione nasce su un terreno
ben delineato che è proprio quello del grande compositore russo, con spazi
aperti per la creazione più personale come in Buzzillare
e in alcuni passaggi di quasi citazione delle musiche del quintetto
I Visionari e infatti
spiega
Bollani:
« Buzzillare è un termine usato da Fosco Maraini nelle sue Fanfole.
Ognuno può leggerci quello che vuole in questo verbo, così come nel mio
brano».
Anche gli spazi tra i tasti, i silenzi di questo Piano solo, sono
parte di una libertà pensata, lasciata all'ascoltatore raccolto in una condivisione
di solitudine. Il Piano solo è suonato con una fessura aperta, uno
spiraglio di libertà musicale.
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