Verona Jazz 2010
di Giovanni Greto
Teatro Romano 30 giugno 2010
Swallow/Talmor/Nussbaum Trio
Steve Swallow,
basso elettrico; Ohad Talmor, sax tenore; Adam Nussbaum, batteria
Charles Lloyd New Quartet
Charles
Lloyd, sax tenore, tarogato, flauto; Jason Moran, piano; Reuben
Rogers, contrabbasso; Eric Harland, batteria
Teatro Romano 1 Luglio 2010
Chick Corea/Stefano Bollani
Chick Corea, pianoforte;
Stefano
Bollani, pianoforte
Teatro Romano 2 luglio 2010
Cristina Zavalloni Idea "Per caso Aznavour"
Cristina Zavalloni, voce; Stefano De Bonis, piano; Antonio Borghini,
contrabbasso;
Cristiano Calcagnile, batteria, percussioni
Bill Frisell trio
Bill Frisell, chitarra elettrica; Rudy Royston, batteria;
Eyvind Kang, viola
Ottima, la prima serata della 40esima edizione del festival, aperta da un trio privo
di pianoforte, una situazione in cui ognuno, pur rimanendo maggiormente concentrato
nell'ascolto degli altri, è più stimolato al solismo, dando vita ad improvvisazioni
molto più lunghe e libere. I tre hanno presentato una scaletta di composizioni originali,
tratte in parte dal loro CD per la Auand, "Playing in Traffic", che è anche il titolo
di una composizione di Swallow, attraversata da uno swing molto veloce e che abbiamo
ascoltato durante il set. Buona la scrittura di Nussbaum, apprezzato autore della
ballad iniziale "Days of old" e di una movimentata "Hey pretty baby", strutturata
come un blues. Il batterista si è distinto per una sonorità calda dei tamburi, ben
abbinata nella scelta dei piatti, alcuni dei quali chiodati, e per un accompagnamento
mai invasivo e che ha il pregio di valorizzare ancor più il lavoro degli altri. Swallow si conferma un metronomo di una precisione infallibile, assai lirico ed
elegante negli assolo; delicato e grintoso Talmor si è lanciato senza alcun timore
reverenziale in ben congegnate improvvisazioni, sostenuto da una ritmica che molti
solisti vorrebbero avere, esibendo sonorità anche acute che avvicinavano lo strumento
al soprano. Il set si è concluso dopo soltanto 50 minuti, forse per dar spazio al
secondo gruppo, comunque sufficienti per apprezzare e capire l'alta qualità di questo
nuovo progetto.
Non ha guardato l'orologio, né ha mai pensato di centellinare le forze, riflettendo
sulla propria data di nascita (15 marzo 1938),
Charles
Lloyd, alla testa del suo New Quintet. Forse qui all'aperto, la sua
musica jazz disposta ad accogliere influenze etniche nel ritmo, nelle melodie e
nelle armonie, è ancora più apprezzabile che nel chiuso di un teatro, acquistando
maggiore libertà. Le composizioni sono sempre molto lunghe e lasciano spazio a poetiche
improvvisazioni. Il suono del sax tenore è di una corposità, una dolcezza, una forza
e una malinconia, che lo si potrebbe ascoltare anche in solitudine. Affiora un legame
con le culture mediorientali quando Lloyd soffia sul targato (strumento simile all'oboe),
e con la soavità della musica latina o il ritmo di quella africana, quando passa
al flauto. Jason Moran con il passar del tempo suona sempre meglio. A
Reuben Rogers basta poco per far sentire la sua indispensabile presenza, mentre
Eric Harland dà vita ad assolo intensi e spezzettati, contrassegnati da un
caldissimo bass drum, da spruzzi di piatti che sembrano lenire la calura estiva,
incrociati con lo sviluppo di patterns non semplici sui tamburi. E quando il concerto
sembra concluso, Lloyd si riaffaccia sul palco a proporre "Forrest Flower", una
composizione inserita nel CD "Voice in the night", quando ancora Billy Higgins
era in grado di percuotere, come solo lui sapeva fare, il suo drum set. Bello il
riff finale del pezzo, che si conclude con uno stop e che, mentre il pubblico applaude
e si appresta ad andarsene, riparte un'altra volta. In precedenza un gradevole calypso
aveva indotto il leader addirittura alla danza, spostandosi da un solista all'altro,
quasi a conferire un'ispirazione creativa nello sviluppo di un tema esile, che diventa
nel corso delle battute, sempre più maestoso.
La serata che ha attirato il maggior numero di persone - tutto esaurito – ed ha
avvicinato la gradinata agli spalti di uno stadio di calcio gremito per le partite
di cartello, è stata quella di mezzo, ossia il reincontro tra
Chick Corea
e Stefano
Bollani. Ormai ad ascoltare il pianista italiano accorre un pubblico
di tutti i tipi. In particolare ha attirato la nostra attenzione una coppia: lui
attento alla musica, lei, per tutta la durata del concerto ad armeggiare con il
videotelefonino. Questa premessa rischia di imprigionare il pianista milanese. Troppe
date, troppi progetti, troppe apparizioni radiotelevisive in cui prevale il lato
cabarettistico, quello che i non abituati al jazz apprezzano di più, se non soltanto.
Chi ne soffre, inevitabilmente, è la musica. E anche Corea, che già di per sé spesso
gigioneggia, si è adeguato al canovaccio. E dunque abbiamo assistito ad una serie
di lazzi, eredi di una commedia dell'arte italiana, teatralmente uno dei generi
di grande successo nel passato del nostro Paese. Tornando al concerto, esso si è
svolto in due set di circa 45 minuti l'uno. I due pianoforti erano collocati uno
di fianco all'altro, le tastiere di fronte, dando l'illusione di un enorme strumento.
Ciò comunque ha permesso di poter seguire il lavoro manuale di entrambi, perché
accadeva spesso che i musicisti si scambiassero di posto. Classicheggiante e romantico,
ma non sdolcinato, è meno irruento il pianismo di Corea: pochi tocchi, cui Bollani
rispondeva con energia, spesso scomponendo una frase in maniera troppo prolissa
e premendo fortissimamente i tasti. Quando a volte i due riuscivano ad avvicinarsi
ad un'atmosfera poetica, l'incantesimo veniva spezzato da gag che facevano ridere
gran parte della platea. Sono stati eseguiti molti brani di Corea, tra cui "Windows",
una delle più belle composizioni giovanili. Bollani dal suo "carioca", ha scelto
di eseguire "Folhas secas" di Nelson Cavaquinho e Guillerme de Brito.
Riletti parecchi standard tra cui "On Green Dolphin Street", "Blue Monk",
"Bye-Ya", a dimostrazione dell'amore di Corea per l'indimenticato
"genius of modern music". Si continua con poche idee, presentate come improvvisazione totale.
Spesso, però, alla fine di un brano, Corea guardava verso il lato destro della tastiera,
dove, riteniamo, ci fosse un minimo di scaletta. Conclusione applauditissima affidata
ad uno dei brani spagnoleggianti di Corea. Il pubblico si spella le mani. I due
ritornano sul palco e Bollani si improvvisa cantante comico, interpretando "There
Will Never Be Another You".
L'ultima serata si apre con il trio della soprano bolognese che in primavera si
era esibita alla Carnegie
Hall di New York. Il set somiglia più al recital di un'affermata entertainer,
pur allacciandosi ad un sostrato jazz grazie all'esperienza jazzistica del trio.
E' strano sentire uno scat, per esempio, fatto da una cantante lirica. La Zavalloni,
comunque, è dotata di personalità, anche se eccede nella spiegazione dei brani.
Il repertorio prende lo spunto da alcune rivisitazioni delle canzoni di Charles
Aznavour limitatamente ai primi anni '60, come
"Ed io tra di voi", plurinterpretato da cantanti italiane che si chiamano Mina e
Milva, contenute nell'album "Solidago", pubblicato l'anno scorso per l'Egea, parte
del titolo della composizione "Solidago Composito" dove, nella prima, la cantante
inanella una lista di sostantivi latini che altro non sono che rimedi omeopatici.
Il concerto termina dopo circa un'ora e, dopo una breve pausa tecnica, sale sul
palco il trio di
Bill Frisell. Il brano d'esordio ha riprodotto il cammino di un blues,
pervaso da un alone di mistero e da una tensione accentuata dai controtempi del
batterista che si conquista dopo ogni percorso circolare di Frisell, accompagnato
dalla viola pizzicata a mo' di chitarra, uno spazio sempre più cospicuo. Rimaniamo
affascinati dalla tecnica e dall'affiatamento, mentre un dinamismo maestoso conferisce
al brano un profondo spessore. La presenza di uno strumento a corde come la viola
induce ad episodi malinconici, a lamenti di terre lontane, a nostalgia del paese
natìo. Ottimo il lavoro di Royston, batterista sensibile in grado di capire quando
è lecito prendersi spazio oppure è preferibile stare con i piedi per terra, visto
che il contrabbasso non c'è e la viola sta dialogando melodicamente con la chitarra.
Ci sono anche brani sospesi, secondo una consuetudine caratteristica della scrittura
del leader, da ascoltare in silenzio come parte di un itinerario meditativo. Purtroppo,
e non è la prima volta che succede al teatro Romano, brano dopo brano parte della
platea si alza per andarsene, senza preoccuparsi di interrompere il dialogo stimolante
tra chi suona e chi ascolta. In scaletta c'è anche il brano country-western quasi
obbligato, vista la presenza della viola, ma non dà fastidio perché non è lungo
e conclude il concerto. Frisell è in serata di grazia. Si capisce che, fosse per
lui, il concerto potrebbe proseguire ad libitum. Gli spettatori rimasti sono entusiasti
e lui torna sul palco proponendo un brano jazz semplice nella struttura, ma di forte
impatto, sostenuto impeccabilmente dalla batteria, mentre gli strumenti melodici
eseguono più volte il tema all'unisono con uno swing ed un drive che ti farebbero
saltare dalla sedia, salire sul palco ed unirti a loro in una interminabile jam
session. E non è finita. Il trio ritorna, la viola intona una melodia triste, la
chitarra lavora sugli armonici, la batteria è sfiorata dalle spazzole, il tema a
poco a poco prende forma, sino a farsi riconoscere. E' "Tea for two" come non l'abbiamo
mai sentito e come non lo sentiremo più, anche se Frisell dovesse adottarlo,
affiancandolo nei concerti all'amato "Moon River".
18/08/2011 | Gent Jazz Festival - X edizione: Dieci candeline per il Gent Jazz Festival, la rassegna jazzistica che si tiene nel ridente borgo medievale a meno di 60Km da Bruxelles, in Belgio, nella sede rinnovata del Bijloke Music Centre. Michel Portal, Sonny Rollins, Al Foster, Dave Holland, Al Di Meola, B.B. King, Terence Blanchard, Chick Corea...Questa decima edizione conferma il Gent Jazz come festival che, pur muovendosi nel contesto del jazz americano ed internazionale, riesce a coglierne le molteplici sfaccettature, proponendo i migliori nomi presenti sulla scena. (Antonio Terzo) |
28/11/2009 | Venezia Jazz Festival 2009: Ben Allison Quartet, Fabrizio Sotti trio, Giovanni Guidi Quartet, Wynton Marsalis e Jazz at Lincoln Center Orchestra, Richard Galliano All Star Band, Charles Lloyd Quartet, GNU Quartet, Trio Madeira Brasil, Paolo Conte e l'Orchestra Sinfonica di Venezia, diretta da Bruno Fontaine, Musica senza solfiti del Sigurt�-Casagrande Duo...(Giovanni Greto) |
24/10/2006 | Stefano Bollani, Rita Marcotulli, Andy Sheppard, Bobo Stenson tra i protagonisti del Brugge Jazz 2006 (Thomas Van Der Aa e Nadia Guida) |
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| Bill Frisell ~ Ron Carter Available @ www.Bill Frisell.com ~ July 1, 2002 Montreal, Quebec, with Greg Liesz, Billy Drewes,, Curtis Fowlkes, Ron Miles,, David Piltch, Matt Cham... inserito il 29/04/2008 da bathoshue - visualizzazioni: 3995 |
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Data pubblicazione: 22/08/2010
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