Talos Festival 2014 "La melodia, la ricerca, la follia" Ruvo di Puglia, 4-14 settembre 2014 Direttore artistico Pino Minafra testo e foto
di Vincenzo Fugaldi
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L'esperienza del Talos, ripresa da tre anni nell'accogliente Ruvo di Puglia, cittadina
in provincia di Bari, prosegue nel solco tracciato dal direttore artistico, che
prevede un'anteprima destinata a valorizzare la grande tradizione e qualità delle
bande e dei musicisti pugliesi, e quattro giornate internazionali, chiudendo la
stagione dei festival estivi italiani. Ma il Talos è ben più che un semplice festival:
intorno a questo evento si raccoglie un intero territorio con le sue eccellenze
paesaggistiche, monumentali ed enogastronomiche, e l'amministrazione comunale si
impegna attivamente grazie anche al supporto di numerosi sponsor e di un gran numero
di giovani volontari, costituendo un modello da seguire.
Insieme agli appuntamenti musicali, il Talos dà spazio alle arti visive, quest'anno
in particolare a una mostra fotografica sull'Instant Composer Pool di Francesca
Patella, bolognese di stanza ad Amsterdam, dove lavora presso la Bimhuis. La sequenza
di fotografie esposta rappresentava un vero e proprio racconto per immagini, una
storia narrata. Altro evento importante è stato l'incontro, condotto da Roberto
Ottaviano e Riccardo Bergerone, con Häzel Miller, vedova di Harry Miller, sulla
storia della Ogun, l'etichetta inglese che a partire dagli anni Settanta del secolo
scorso ha documentato le feconde collaborazioni tra i musicisti britannici e i sudafricani
rifugiatisi a Londra in fuga dal regime razzista. Grazie alla testimonianza diretta
della Miller si è discusso a lungo su una produzione discografica di eccezionale
valore culturale di un'etichetta fortunatamente ancora attiva e vitale.
Il primo incontro del festival internazionale era affidato a un dialogo tra diversi
linguaggi: quello del clavicembalo di Margherita Porfido e quello dei clarinetti
di Gianluigi
Trovesi. Forse nessun altro musicista jazz in Italia sarebbe più adatto
per una tale sfida, che comportava una dimestichezza con le musiche rinascimentali
e, specularmente, un'apertura piuttosto insolita per una musicista classica. I clarinetti
si sono amabilmente incrociati con le corde pizzicate sulle note di diverse composizioni,
tra cui alcune tradizionali (una costruita sui bassi della danza bergamasca, poi
il basso continuo de La follia, la Soave melodia), alcune dalla penna
di Trovesi dal taglio contemporaneo e descrittivo, poi degli adattamenti per solo
clavicembalo marcati da sonorità balcaniche (Zefiro e Uzbekistan del
figlio
Livio Minafra, la trascrizione di un'improvvisazione di Michel
Godard e le Danze Rumene di Bartók). Il duo ha poi proseguito il concerto, favorito
anche dalla dimensione raccolta della saletta del Convento dei domenicani, su un
brano del clarinettista (Le piccole cose), che si è poi prodotto in una caratteristica
e autoironica sequenza di brevi quadretti in solo, per chiudere sulle note di
Pur ti miro di Monteverdi.
Proseguendo tra i concerti per piccole formazioni, la breve performance per pianoforte
preparato di Keith Tippett, pur se penalizzata dalla collocazione
al chiuso nel PalaColombo ha dato un'idea del multiforme, magmatico, ricchissimo
mondo espressivo dell'artista, intriso di free, blues, melodia, impressionismo,
in una sintesi personale che ne faceva intuire la gloriosa storia musicale.
L'Orobico Quartetto di
Gianluigi
Trovesi, di recente costituzione, riunisce intorno al polistrumentista
bergamasco tre suoi collaboratori, il chitarrista Paolo Manzolini, il bassista
elettrico Marco Esposito e il batterista Vittorio Marinoni. Un taglio
jazzistico per alcune note composizioni del leader (Siparietto, Noparietto,
Gargantella, Canzoncina), e brani tradizionali (La Carpinese, Tammurriata
nera), con esiti interessanti ma non particolarmente innovativi, specie a causa
di alcune sonorità chitarristiche piuttosto scontate.
Han Bennink ha scelto una dimensione acustica, nonostante l'ampiezza di Piazza
Le Monache, per la sua breve solo performance intrisa della migliore tradizione
batteristica e come sempre funambolica e teatrale, esprimendo una potenza di suono
che a settantaquattro è assolutamente invidiabile.
Nell'insolito ma accogliente spazio offerto dalla Cantina Crifo Roberto Ottaviano
ha ambientato, in trio con il contrabbasso di Giorgio Vendola e la batteria
di Enzo Lanzo,
il suo sentito omaggio alla grande figura di
Steve Lacy,
nel decennale dalla scomparsa. I tre, con Ottaviano al soprano, hanno riproposto
con approccio intenso e rispettoso alcuni tra i brani lacyani, ricordandone come
meglio non si potrebbe l'estro compositivo, il personalissimo senso melodico, la
magia del suono che ha traghettato lo strumento nel jazz moderno, il fraseggio pensoso,
l'essenzialità degli arrangiamenti.
Il duo tra la violoncellista croata Asja Valcic e il fisarmonicista e bandoneonista
austriaco Klaus Paier, con all'attivo alcuni cd per l'etichetta Act, con
buon affiatamento ma senza raggiungere particolari vertici ha presentato dei brani
originali, alcuni dei quali legati alle atmosfere del tango argentino e della
valse musette, altri ai balcani, con una vena melodica e popolaresca.
Un incontro denso di emozioni è stato invece quello tra due musicisti diversissimi
per età, storia, provenienza geografica, ma accomunati dall'amore per l'improvvisazione
e il rischio:
Livio Minafra e Louis Moholo. Lo spazio raccolto del Teatro comunale,
stracolmo di pubblico, ha fatto da cornice all'evento, avviato dal pianista sulle
note vibranti di passione politica di Canto General, che accoglievano il
drumming dell'artista sudafricano attento a cogliere ogni sfumatura del brano. Destinato
a una trasmissione radiofonica, o forse a una pubblicazione su cd, il concerto è
poi sfociato in una improvvisazione marcatamente free, inframezzata da squarci melodici,
in una costante ricerca di intese, convergenze, scontri dialettici, per chiudersi
sulle note di una composizione di Dudu Pukwana, Angel-Nomali.
Alcuni mesi dopo la scomparsa di Frank Zappa, vent'anni fa, la Tankio Band
di Riccardo Fassi incideva per l'etichetta Splasc(h) il cd «Plays The
Music of Frank Zappa», progetto validissimo anche nella dimensione live.
A Ruvo la Band, pur fortemente penalizzata dall'acustica infelice del PalaColombo,
con ospite Antonello Salis alla fisarmonica, ha riproposto i felici arrangiamenti
delle opere zappiane più adatte a un trattamento jazzistico (tra le quali King
Kong, Uncle Meat, Twenty Small Cigars, Oh No, Idiot
Bastard Song), grazie all'affiatamento e all'apporto di Salis, del trombettista
Francesco Lento e del sax alto Sandro Satta, suonando a lungo e con
impegno, riportando l'attenzione su composizioni ricche di suggestioni, che stimolavano
solisti e sezioni.
La proiezione del filmato "Misha enzovoort" di Cherry Duyns, uno straziante documentario
sulla malattia di Misha Mengelberg e sugli effetti di questa nei confronti
di ogni singolo componente del collettivo olandese, e un partecipato seminario che
è culminato in un bel concerto finale nell'atrio del Convento dei Domenicani sono
gli eventi che hanno incorniciato l'esibizione dell'Instant Composers Pool Orchestra,
oggi costituita da nove elementi: Han Bennink (batteria), Michael Moore
(clarinetto,
alto), Ab Baars (clarinetto, tenore), Tobias Delius (clarinetto, tenore),
Wolter Wierbos (trombone), Thomas Heberer (tromba, flicorno), Mary Oliver
(violino, viola), Tristan Honsinger (violoncello), Ernst Glerum (contrabbasso).
Arrangiamenti di Mengelberg – la cui influenza continua a dare identità al
collettivo – e di altri componenti dell'orchestra, per brani di Herbie Nichols,
Ellington, Baars, Sean Bergin e dello stesso Mengelberg, con una concezione
dell'improvvisazione matura e navigata, che affronta i materiali tematici con assoluta
padronanza piegandoli alle esigenze espressive. A Glerum il compito di presentare
i brani, e di sostenere insieme alla potente spinta ritmica costituita dalla batteria
di Bennink, con l'apporto degli altri due archi, i cinque fiati, protagonisti di
pregevoli assoli, tra i quali non si può non menzionare quello strepitoso di Delius
al tenore su Mood Indigo, e di suggestive e variegate combinazioni timbriche
che giocavano sulla contrapposizione tra strumenti a corda e strumenti a fiato.
Reinventare e attualizzare la storia del jazz è un compito non certo facile, al
quale non si è sottratta nemmeno l'ampia compagine orchestrale del progetto Talos
"For Mandela", comprendente, oltre alla Minafric Orchestra, quattro voci
femminili – tra cui quella di Julie Tippets –, il pianoforte di Keith
Tippett e la batteria di Louis Moholo. La collaborazione tra Minafra, Tippett
e Moholo è di lunga data, e il legame stabilito fra di essi è forte, e ha dato buoni
frutti. Le composizioni di Mongezi Feza, Dudu Pukwana, Harry Miller, Tippett e altri
protagonisti di una scena musicale gloriosa e indimenticabile, negli arrangiamenti
in gran parte dovuti alla grande competenza di Roberto Ottaviano, hanno beneficiato
del vitale impulso ritmico impresso da Moholo, dell'entusiasmo collettivo, e la
Minafric, per l'occasione diretta dallo stesso Ottaviano e in un brano da Tippett,
ha dato il meglio, con assoli intensi e brucianti. Minafra ha riservato per sé,
dirigendolo, un solo brano, l'intenso Canto General, con i versi di Neruda
declamati da Michele Sinisi, visibilmente commosso.
Gran festa finale con la quarta grande formazione presente al Talos: Cesare Dell'Anna& GirodiBanda. Il salentino ha concluso il festival con una lunghissima e applaudita
esibizione corredata da giocolieri, mangiafuoco e trampolieri, fra musiche salentine,
balcaniche, tradizione bandistica, coinvolgendo il pubblico in danze divertite e
sfrenate.