Open World Jazz Festival 10a Edizione Ivrea/Banchette - 20, 21, 22 ottobre 2011 di Gianni Montano foto di Paolo Dezzutti
Grande successo per l'Open world festival di Ivrea, svoltosi nella città della
provincia di Torino dal 20 al 23 ottobre scorso. Il merito principale è di un'organizzazione
rigorosa e puntuale, capace di allestire una rassegna di indubbio interesse, correlata
da eventi collaterali, stages, presentazione di libri, performance artistiche in
grado di calamitare l'attenzione non solo degli addetti ai lavori, ma anche di un
pubblico intellettualmente curioso.
La sera del 20 ottobre sale sul palco del teatro Giacosa
l'ensemble Odwalla. Rispetto alla formazione presente nel recentissimo disco
"Isis" figurano 3 cantanti, Sabrina Olivieri, Marta Raviglia
e Laura Conti. Sono al loro posto i percussionisti di origine africana e,
ovviamente, al centro del palco si sistema lo zoccolo duro del gruppo:
Massimo Barbiero,
Matteo Cigna,
Andrea Stracuzzi, Alex Quagliotti e Stefano Bertoli. Il repertorio
scelto è in parte tratto dall'ultimo cd, ma non mancano i ritorni indietro a titoli
legati a precedenti incisioni. Il concerto è una vera festa per le orecchie e per
gli occhi. Conducono il gioco
Massimo Barbiero
e Matteo Cigna
a marimba e vibrafono, che tratteggiano motivi iterativi di derivazione africana,
filtrati attraverso la lezione minimalista di Seve Reich. Si può definire il tutto
come musica occidentale con radici nel Continente Nero o il contrario, a piacere.
In prima fila si agitano con conga, tom tom e altri oggetti sonori da battere, assicurando
un accompagnamento ridondante e un effetto scenico assolutamente unico, i percussionisti
africani. La parte in cui vengono lasciati da soli è forse la più debole del concerto,
perché non c'è la rielaborazione, la rilettura propria delle altre sequenze. Oltre
che al movimento dei percussionisti africani e allo scambio di postazione e di strumento
fra gli italiani, già di per sé spettacolari, le sorprese sono costituite anche
dall'ingresso e dall'intervento delle cantanti, raramente impiegate in trio. Più
spesso sono lasciate sole con una band in dimensioni più ridotte. Non basta. A questo
meccanismo innervato da uno schema prestabilito, quanto libero, si aggiunge la danza
fisica, "carnale" di 5 ballerini africani, formidabili nel "dare corpo" alla base
musicale. Un tale dispendio di suoni e di effetti scenografici produce un concerto
esplosivo e lirico in un contrasto di toni e di riferimenti che ne costituiscono
il fascino indiscutibile. Gli elementi primitivi e quelli colti sublimati in una
miscela molto bene amalgamata. Il gran successo e il tripudio finale per Odwalla
arrivano indubbiamente meritati.
Il 21 ottobre a Banchette salgono sul palco
Giovanni Palombo
e Maurizio Brunod in un duo impegnato a conciliare folk, pop, blues, come
dalla loro iniziale dichiarazione d'intenti. Palombo suona soltanto la chitarra
acustica, mentre Brunod passa anche all'elettrica o alla semiacustica in alcuni
brani. Si ascoltano quarantacinque minuti di musica molto piacevole. I due fanno
sfoggio di diverse tecniche chitarristiche e dialogano alla pari, concedendosi vicendevolmente
ampi spazi solistici, oltre che ritagliarsi due intermezzi in solitudine. Il loro
programma si fa raccomandare per la cura per i suoni aggraziati, non aggressivi
e per la bellezza degli originals messi in campo. In più in una dimostrazione
nella chiesa di S. Marta il giorno dopo, concludono il set con una "All Blues"
piena di swing e di energia, segno che possono anche riproporre con personalità
ed energia gli standards.
Con un vociare corale di stampo vagamente orientaleggiante, si impossessano dello
spazio, dopo l'intervallo, Actis Dato e i suoi tre compagni di viaggio. Una
volta presa posizione sul palco, si lanciano sui "soliti" temi di matrice araba
e zone limitrofe, tipiche del repertorio del quartetto, a cui seguono lunghi soli
in cui i sassofoni, debitori alla lontana della lezione di Albert Ayler, utilizzano
un campionario di fischi, suoni raddoppiati, irregolari, armonizzati dal "fuoco",
dall'intensità con cui le due ance approcciano la materia. Actis Dato è in vena
e lo si percepisce immediatamente. E' lui il motore del quartetto, quello che accende
la miccia. Gli altri provvedono a farla esplodere. Matteo Ravizza e Daniele
Bertone, rispettivamente basso e batteria, assicurano, da parte loro, un accompagnamento
preciso e vibrante.
Il tema viene esposto alternativamente dal baritono o dal clarinetto basso, poi
intervengono gli altri a tenere alta la tensione, oltre che a prestarsi alle trovate
sceniche, a rendere animata l'esibizione. Così, ad un segnale convenuto, il sassofonista
Beppe Di Filippo si dedica a smontare pezzo per pezzo un clarinetto basso,
mentre il band leader continua a suonare, ogni volta con una parte di meno, sino
a terminare l'assolo con il bocchino. Escono di scena, secondo copione, i 4 sciamannati
e rientrano con abiti paludati variopinti fra l'ilarità generale. Actis Dato, dopo
essere sceso in platea e aver "molestato" bonariamente qualche spettatore, decide
di guidare un coro composto dalle prime file, ricevendo collaborazione da una decina
tra "obbligati" e volontari. Insomma un set volutamente esagerato, a suo modo divertente.
La musica, proveniente da un cd di prossima uscita, almeno in parte, è compatta,
ma un po' troppo uniforme, ripetitiva nel carattere e nella progressione. Fra i
pezzi ascoltati, comunque, si segnalano il classico "Blu cairo", "I 20
sosia di Saddam" ed "Emir". Il pubblico, ad ogni buon conto, rivela un
notevole gradimento per il concerto con una partecipazione attiva all'happening,
se così lo si può definire.
L'ultima sera il cartellone prevede il duo
Uri Caine
e Paolo Fresu.
I due musicisti si conoscono benissimo. Hanno inciso insieme dischi, compiuto tournèe
in mezzo mondo e conservano una maniera complementare di intendere e di vivere la
musica. Non si fermano davanti alle barriere dei generi. Il loro repertorio è, infatti,
aperto a tutta una serie di espressioni musicali, che sono in grado di riprendere
e di modellare secondo la loro sensibilità, cultura e competenza. Così la loro esibizione
si sviluppa con un continuo spiazzamento degli ascoltatori. Si passa dalla proposta
di standards come "Cheek to Cheek" o "Night in Tunisia"
alla riverniciatura di arie classiche come "Lascia ch'io pianga" di Handel,
a brani evergreen quali "Non ti scordar di me" o "E se domani". E'
proprio l'accostamento di umori, colori e storie diverse a determinare un concerto
coinvolgente e "breve", perché dopo un'ora, si chiede ancora qualche meraviglia
ai due fuoriclasse. Fresu suona in maniera rilassata tromba e flicorno risultando
poetico ed efficace in ogni passaggio. Caine sta al gioco con un pianismo non protagonistico,
ma attento alle sfumature e contribuisce alla riuscita di un concerto veramente
appassionante.
Fra le "chicche" ascoltate, una primizia: un brano di Barbara Strozzi, compositrice
del barocco veneziano, a cui sarà dedicato il prossimo disco di
Uri Caine
e Paolo Fresu
con il contributo di "Alborada String Quartet", che dovrebbe essere pubblicato
prima della fine del 2011.
Una chiusura entusiasmante per un festival che certifica come si possa realizzare
una rassegna impegnativa, senza concessioni al "gusto dominante", a musiche foriere
di potenziali e possibili consensi generalizzati e ottenere risposte addirittura
sorprendenti da parte del pubblico. Anche gli appuntamenti pomeridiani con la presentazione
di libri, stages di percussioni, performance di danza e di musica jazz coinvolgono
addetti ai lavori e non solo con una partecipazione attenta e interessata. Accanto
al corretto e piacevole duo "A bassa voce", in programma in due pomeridiane,
impressiona l'ultimo giorno, in particolare, il "Vocione" della talentuosa
cantante Marta Raviglia e del trombonista onnivoro Toni Cattano. Dalla
proposta di pezzi della tradizione ad accattivanti composizioni originali, I due
danno vita ad un intrattenimento ironico, ma non superficiale, concludendo con una
stuzzicante e gradevolissima versione di "Alghero", la hit di Giuni Russo.
La notte, poi, a Borghetto il "Fouffa quartet" contribuisce a far rimanere
Ivrea aperta al jazz fino alle ore piccole.
L'augurio finale è che
Massimo Barbiero
e I suoi valenti collaboratori possano proseguire su questa strada, privilegiando
la qualità, oltre le mode e le tendenze del momento.