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Roberto Gatto Quartet: A. Cohen, F. Bearzatti, D. Weiss)
Sixth Sense
Parco della Musica Records (2015)
1. One for Avi (5:06)
2. Sixth Sense (7:25)
3. Hat on the Bobcat (4:43)
4. Togo (5:41)
5. Bonanza (7:50)
6. Dee's Dilemma (4:54)
7. Unknown Shape (5:05)
8. Black and Tan Fantasy (7:01)
9. Remember Rockefeller at Attica (5:36)
10. Peace (7:49)
Roberto Gatto - drums Avishai Cohen - trumpet Francesco Bearzatti - tenor sax and clarinet Doug Weiss Double - bass
Roberto
Gatto è sicuramente il batterista più popolare in Italia, conosciuto
per la miriade di collaborazioni con musicisti nostrani e internazionali di vaglia
e per la sua attività di leader, quest'ultimo un capitolo meno cospicuo rispetto
alla marea di incisioni a cui ha partecipato come sideman. Lo troviamo qui in un
nuovo progetto, un quartetto senza pianoforte, attorniato da tre personalità di
spicco, autentiche stelle del jazz contemporaneo. L'assenza dello strumento armonico,
tastiera o chitarra, permette ai quattro solisti di esprimersi con maggiore libertà,
ma la grande attenzione all'ascolto reciproco garantisce una convergenza dei percorsi
individuali per dar luogo ad una musica in partenza grezza, non rifinita, che assume
sembianze sempre più definite in fieri, nel corso della sua evoluzione. Avendo riunito
improvvisatori-compositori così competenti, c'era il rischio che Gatto si affidasse
completamente al loro estro creativo, credendo ciecamente nelle loro capacità solistiche
e lasciasse fluire la musica senza alcun controllo preventivo o successivo. In realtà,
invece, il disco nasce dopo una serie di concerti in giro per l'Europa, in cui è
stato messo a punto un repertorio, scelto collegialmente e si è maturata una timbrica,
si è affinato il suono del gruppo, che ora appare caratteristico e incisivo ed è
quello pensato e voluto dal bandleader.
Il dialogo fra i due fiati è uno dei momenti qualificanti il quartetto. Avishai
Cohen suona la tromba con un certo impeto, quasi sempre a campana aperta e articola
un fraseggio tagliente e penetrante, inframmezzato da interventi più distesi e cogitabondi.
Francesco Bearzatti
trattiene, in diverse situazioni, la sua energia esplosiva. Il sassofonista friulano
è, tutto sommato, meno estroverso ed enfatico rispetto ad altre registrazioni. Quando
si presenta l'occasione, però, il polistrumentista fa sfoggio del suo stile peculiare
e arriva a punti di tensione altissima, muovendo dal basso e salendo in progressione
vertiginosa. In particolare il solo in "Black and tan fantasy" si contraddistingue
per una serie di glissando e un modo ondeggiante di pronunciare e modulare le note.
E' una maniera antica, attualizzata, di scavare con il clarinetto in un brano notissimo
di Ellington. Cohen, nella circostanza con la sordina, si posiziona sulla stessa
lunghezza d'onda. Insieme ci portano indietro agli anni trenta per proiettarci nel
presente, un presente impregnato nel blues. Doug Weiss è stato selezionato per la sua abilità discorsiva, colloquiale.
Il bassista non si limita, cioè, ad accompagnare, ma copre gli spazi a sua disposizione
con un eloquio grave, ricco di forma e di sostanza.
Roberto
Gatto non è mai stato tanto "africano" come in questo album. Si sente
che i modelli di ispirazione sono Ed Blackwell e la sua maniera di operare
nel quartetto di
Ornette
Coleman o in Old and new dream. La batteria costruisce, infatti, un
continuo sostegno ritmico fisso e mobile, allo stesso tempo, con un tocco sui tamburi
e un modo di accompagnare i partners di chiara matrice black.
Alcuni si sono sbilanciati e hanno scritto che "Sixth Sense" è il miglior disco
in assoluto di
Roberto Gatto. E' un'affermazione condivisibile, perché mai come
in questa occasione, il batterista romano ha saputo andare a briglie sciolte con
consapevolezza e cultura su materiali per la maggior parte di autori molto amati,
come Ellington, Mingus, Brubeck, Horace Silver...servendoli al meglio, grazie
alla coesione di un quartetto di valenti musicisti, perfettamente a loro agio in
un contesto aperto e flessibile come questo.
Gianni Montano per Jazzitalia
27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
15/05/2011 | Giovanni Falzone in "Around Ornette": "Non vi è in tutta la serata, un momento di calo di attenzione o di quella tensione musicale che tiene sulla corda. Un crescendo di suoni ed emozioni, orchestrati da Falzone, direttore, musicista e compositore fenomenale, a tratti talmente rapito dalla musica da diventare lui stesso musica, danza, grido, suono, movimento. Inutile dire che l'interplay tra i musicisti è spettacolare, coinvolti come sono dalla follia e dal genio espressivo e musicale del loro direttore." (Eva Simontacchi) |
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Data pubblicazione: 26/10/2015
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